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tutta l'aria di appartenere non già ad una narrazione continuata come i nostri evangeli, bensì ad una collezione di detti del Signore, che dovè essere la forma letteraria primitiva onde uscirono i nostri evangeli. L'altra ancor più notevole particolarità, che un giornale politico tedesco, la Kölnische Zeitung (1891, n. 386, 453), chiamò con un'espressione iperbolica, una novità da fare epoca, è la più antica indicazione dell'epoca e del giorno della morte di Gesù, che vi si legge nelle seguenti parole (p. 19): « La prima venuta del Signore incarnato, quando nacque in Bethleem, avvenne .il 25 dicembre, nel giorno di mercoledì, regnante Augusto nel suo 42° anno, e 5500 anni dopo Adamo. Pati la morte nel 33° anno, il 25 marzo in giorno di venerdì, nel 18° anno di Tiberio, consoli Rufo e Rubellione ». Se questo passo fosse certamente autentico, conterrebbe la più notevole testimonianza che la tradizione ecclesiastica, secondo la quale la nascita del Cristo cade il 25 dicembre e dalla critica recente fino a qui non tenuta come anteriore alla metà del quarto secolo, risale per lo meno alla fine del secondo: ma soprattutto offrirebbe la più esatta notizia sull'età del Cristo e sul giorno della sua morte che noi abbiamo dai due primi secoli della chiesa, e dovuta a un uomo di grande autorità e dottrina. Il dibattito su questo punto è sorto naturalmente assai vivace fra i critici: nè è questo il luogo di esporre la complicata questione, che si collega con tutta l'antica cronologia ecclesiastica, d'altronde così controversa. Ma è notevole che lo stesso Bratke, editore del commentario, e primo ad elevare il dubbio sull'autenticità dell'indicazione sul giorno Natale, tiene come derivante da Ippolito l'altra sul giorno della passione, cioè il 25 marzo,

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1 BRATKE, Die Lebenzeit Jesu bei Hippolytus in Zeitschrift für wiss., Theol., 1892, II, 128-176. Interamente negativi si dichiarano l' HILGENFELD, Zeitschrift cit., 1892, III, pag. 257 281, 1892, IV, pa

che il Lagarde, editore delle opere d'Ippolito, e il Lightfoot, autore dell'illustrazione più completa di esse, riconoscono l'autenticità dell'una e dell'altra.

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Ma se prescindiamo da queste notizie speciali che solleticano la curiosità erudita, e guardiamo piuttosto nel suo insieme il nuovo documento, l'importanza sua apparisce nell'essere esso testimone fedele dello stato degli animi nella chiesa cristiana al principio del terzo secolo, e del risorger che vi facevano, represse sempre ma non dome mai, le speranze millenarie. Il millenarismo è nel mondo cristiano una proiezione dell' apocalittica giudaica, come questa non era che una trasformazione dell'antico profetismo d'Israele. Ora l'apocalittica aveva come il suo centro nel concetto e nella speranza messianica che si era fatta sempre più intensa negli ultimi tempi, i più dolorosi, del giudaismo dopo la sollevazione dei Maccabei. Quei medesimi motivi d'oppressione e di miseria che avevano di tempo in tempo suscitate le speranze messianiche e le visioni apocalittiche nel popolo giudaico, inauguravano anche quelli che si potrebbero dire i grandi periodi eruttivi del millenarismo cristiano; voglio dire le persecuzioni politiche. Come nell'esilio di Babilonia e durante la oppressione della dinastia idumea si era svegliato l'istinto profetico d'Israele, così nei periodi tenebrosi delle persecuzioni imperiali l'anima della comunità cristiana insorgeva colla profetica minaccia della fine imminente delle cose, e colla fiducia in un trionfo finale dei santi. Il Commentario d' Ippolito a

gine 106-117, e il SALMON nel periodico Hermathena, 1892, pag. 161190. DE LAGARDE, Altes und neues über das Weichnachfest, 1891, pagine 241-323. Di nuovo sulla questione è ritornato il BRATKE in Theologische Studien und Kritiken, 1892, 4 Heft., il BoNWETSCH ed altri.

1 Su queste differenze vedi le giuste osservazioni del THOMSON, Books wich influenced Our Lord and his Apostles, London 1891, pag. 193 e seg.

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Daniele da poco venuto alla luce ne è documento sulenne. Qualcosa del divino spavento che affannava l'anima di Geremia, di Ezechiele, di Daniele, di Giovanni, dei Sibillisti, è passato in quella del vescovo romano.

Due grandi motivi ideali determinano nei primi secoli la storia intima del Cristianesimo come dottrina, i quali si collegano ad una doppia interpretazione dell'opera redentrice del Cristo. O questa si considera e si sente come un preludio al futuro regno di lui aspettato come prossimo, o si considera come fatto di per sè compiuto e i cui effetti per la rigenerazione spirituale dell'uomo sono ormai acquisiti e durevoli. In quest'ultimo ordine d'idee si muove manifestamente il pensiero di Paolo, e ad esso si collega naturalmente tutto quel lavoro intellettuale onde l'ellenismo penetrò in ogni parte del dogma ecclesiastico. L'altro elemento escatologico e millenario è come un avanzo arcaico del giudaismo rimasto nella coscienza cristiana, che sempre più abbandonato col volger del tempo, via via che il Cristianesimo si distaccava dal suo ceppo antico propagandosi nel mondo pagano, ad ora ad ora riappariva al fondo di quei moti di reazione mistica che non vennero mai meno interamente nella Chiesa. Di questi due motivi, quello che più si collegava al messianismo giudaico, cioè la speranza apocalittica nel ritorno di Cristo e nella fine delle cose, prevalse, com'è naturale, nella Chiesa nascente. È un grido che echeggia in quasi tutti gli scritti nel Nuovo Testamento e vibra più concitato e intenso nel libro dell' Apocalisse; segno di una commozione degli animi che si mantiene per tutto il primo secolo. 2 Nei

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Cfr. su questo punto HARNACK, Lehrbuch der Dogmengesch., I, pagg. 123 e segg., 3a ed. 1894 e il mio scritto Le idee millenarie dei Cristiani nel loro svolgimento storico (Discorso inaug. dell'Univ. di Napoli, 1888).

2 Per le prove rinvio al mio scritto citato, pag. 14 e seg.

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documenti invece che appartengono alla fine del primo o alla prima metà del secondo secolo codesta voce ansiosa di speranza si sente affievolirsi a poco a poco, per un complesso di ragioni storiche che altrove abbiamo discorse, e i segni di questo rallentarsi della fede apocalittica si fanno più numerosi e più manifesti. Le ultime lettere di Paolo, alcune delle lettere pastorali, la lettera di Barnaba, quella di Clemente Romano, la dottrina dei dodici apostoli, e la cosi detta seconda di Pietro, o serbano di quella parola ardente come un riflesso stanco, o dànno un significato nuovo e spirituale all'antica speranza in un ritorno sensibile del Cristo, o ne respingono sempre più lontano il termine. L'alta idealità del quarto evangelio e il concetto della eternità del Logos che vi dominano, tanto meno consentono spazio alle fantasie apocalittiche e alla fede nella seconda venuta sensibile del Messia cristiano.

La metà del secondo secolo segna invece un nuovo risveglio dello spirito apocalittico, che prende forma nella dottrina millenaria, e si manifesta segnatamente nella Chiesa dell'Asia Minore e nel moto del Montanismo frigio. Una delle ragioni che più delle altre vi cooperarono fu, senza dubbio, l'estendersi e l'incrudirsi delle persecuzioni politiche contro i Cristiani. Noi dicemmo altra volta come la persecuzione imperiale non prese forma sistematica ed universale se non all'età di Marco Aurelio e dei suoi successori. È in questo momento che insorgono con un grido doloroso di supplicazione e di protesta i grandi apologisti cristiani. Ma tra le forme di reazione della coscienza cristiana in questi periodi di dolori e di oppressione, la più popolare doveva essere, naturalmente, l'idea apocalittica e millenaria, che risorge appunto nel secondo secolo. Il bisogno imperioso d'un balsamo al dolore presente che urge la comunità dei fedeli, come un tempo

aveva suggerito ai profeti e ai Sibillisti d'Israele la minaccia della vendetta imminente di Javeh, così destava ora nell'animo dei Cristiani la speranza d'un rinnovamento vicino e l'abominazione dell'impero dominante, come vera incarnazione di Satana e dell'Anticristo. Alla recrudescenza delle persecuzioni s'accompagna sempre difatti recrudescenza delle idee sull'apparizione dell' Anticristo. Come la persecuzione Neroniana aveva suggerita l'Apocalisse di Giovanni e forse una parte del libro di Enoch; come più tardi il millenarismo di Nepote d' Arsinoe (Euseb. Hist. Eccl., VII, 24) sembra fosse l'eco della persecuzione di Valeriano, così l'eccidio di Lione ispirava il millenarismo di Ireneo, e la persecuzione Severiana ai primi anni del terzo secolo esaltava gli animi dei Cristiani in quelle speranze di un prossimo giudizio di Dio, che si riflettono, fra gli altri, nello scritto d'Ippolito. È in questo periodo che alcune tra le più grandi autorità della Chiesa, specialmente della Chiesa asiatica,1 Papia d' Jerapoli, Melitone di Sardi, lo stesso Giustino il Martire, Ireneo, Tertulliano, ricollegandosi all'Apocalisse e in parte anche ai cosi detti Ebioniti, risvegliano le fantasie apocalittiche. Quello stesso fatto delle persecuzioni che più tardi sarà una delle principali cagioni storiche del sorgere del Monachismo ora suscita l'entusiasmo millenario. La lettera che i martiri di Lione, dal fondo del loro carcere, mandano ad Eleutero vescovo di Roma, e che ci fu conservata in gran parte da Eusebio, è la più solenne e splendida prova di quest'istinto profetico che il sacrificio

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1 V. il mio scritto cit., pag. 34 e seg.

2 L'HARNACK, Dogmengeschichte, I, 570 (1894) nota come Giustino nell' Apologia è fra i negatori del Chiliasmo (Millenarismo): mentre invece nel Dialogo con Trifone giudeo, c. 80-81, considera la fede nella Gerusalemme millenaria come parte essenziale della dottrina cristiana.

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