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bertà tutta sua nel valersi per l'uso ecclesiastico di libri, altrove tenuti in sospetto. A chi pensi che anche dopo la metà del quarto secolo come ci assicura Atanasio (Ep. festalis, 39), per l'istruzione dei Catecumeni, si adopravano, come documenti sacri, il libro della Sapienza, quello d' Esther, il Pastore d'Erma, la Dottrina degli Apostoli, parrà meno strano che presso i Cristiani dell'Egitto, i quali furono più o men sempre monofisiti, trovasse credito e si conservasse lungo tempo un evangelio o almeno una parte di esso, che assottigliava tanto l'umanità di Gesù da sottrarlo quasi alle condizioni della natura comune.

A ogni modo, a noi questo frammento ora dissepolto si presenta come l'avanzo di una specie da molti secoli sparita, per dare la miglior parte di sè a scritti congeneri che forse avevano maggiore vitalità, come quelli che raccoglievano la miglior sostanza della buona novella da cui presero il lor nome, quasi nuovo punto di partenza della storia umana.

L'APOCALISSE DI PIETRO

(Nuova Antologia, 15 Luglio 1893).

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Non meno notevole dell' Evangelio di Pietro, ma per ragioni diverse, è l'altro frammento greco appartenente ad una antica Apocalisse di Pietro trovato da poco tempo in Egitto. Dell' evangelio di Pietro, che pure fu tenuto in alta considerazione in alcune chiese d' Oriente, come vedemmo, non si può dire che sia mai stato annoverato veramente dalla Chiesa Ortodossa fra gli scritti del Canone sacro; e se Giustino il Martire ancora liberamente lo adoprava, alla metà del secondo secolo, questo prova soltanto che il Nuovo Testamento non era allora definito in tutte le sue parti, e che l'opera di eliminazione di alcuni antichi scritti cristiani dal novero degli scritti sacri non era ancora compiuta. Non così avvenne per l'Apocalisse o Rivelazione di Pietro; poichè in alcune comunità cristiane questo scritto fu realmente considerato come parte del Nuovo Testamento, sebbene è assai probabile che ciò avvenisse non per lungo tempo, nè senza

contrasti.

Da due grandi centri della Cristianità provengono le due più antiche testimonianze intorno a questa scrittura; da Alessandria e da Roma. Di Clemente Alessan

drino (intorno all' a. 200) ci racconta Eusebio di Cesarea (VI, 14, 1) che in una grande opera, oggi perduta, aveva commentate, oltre alcune delle lettere dette cattoliche, anche l'Apocalisse di Pietro. E ce lo conferma il fatto che codesto antico documento trovasi citato dallo stesso autore come « scrittura sacra» in un trattato che ci è pervenuto, e in un modo che, per quanto ne dice lo Zahn, non ne trasparisce dubbio alcuno circa l'autenticità del libro. Della comunità di Roma, nello stesso torno di tempo, ci è avanzata una parte di un catalogo degli scritti del Nuovo Testamento, noto sotto il nome di frammento del Muratori, che lo pubblicò per primo. E qui pure accanto all' Apocalisse di Giovanni, troviamo menzionata un' Apocalisse di Pietro, con questa aggiunta però : « alcuni dei nostri non vogliono sia letta nella chiesa »; segno che dei dubbi sull'essere suo circolavano nella comunità romana. In ogni modo convien riconoscere collo Zahn2 che codesto scritto dovè esser tenuto in molto maggior conto dalla Chiesa d' Oriente che da quella d'Occidente. Nei cataloghi orientali dal terzo al sesto secolo si trova talora fra gli scritti del Nuovo Testa mento, ma relegato alla fine dell' indice, e non senza qualche segno d'incertezza se quel luogo veramente gli convenga. E di questa incertezza risente la testimonianza di Eusebio di Cesarea, che talora lo respinge cogli altri scritti pseudo-petrinici come spurio (Hist. Eccl. III,3, 2); tal' altra invece, e in un luogo notevole dove classifica gli scritti del Nuovo Testamento, (III, 25, 4), gli assegna il posto degli scritti controversi (antile

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1 ZAHN, Gesch. des Neutest. Kanons II, 105, 1889, (il quale altera arbitrariamente il senso del luogo muratoriano).

2 Gesch. d. Neutest. Kan. I, 1, p. 308 s., 1888. Beilage X, 2. Sui quali confronta M. R. JAMES, The Gospel and the Revelation of Peter, p. 45 e segg., forse la più accurata ricerca sull'Apocalisse di Pietro.

gomena), fra i quali annovera pure l'Apocalisse di Gio

vanni.

Maggior favore invece sembra godesse nelle Chiese dell' Asia minore di Siria. Se è lecito soltanto supporre che Serapione lo comprendesse coll' Evangelio fra gli pseudo epigrafi correnti col nome di Pietro, è certo invece che Metodio d' Olimpo, alla fine del terzo secolo, riferendone un frammento, lo chiama << scrittura divina »; che Macario di Magnesia, un secolo dopo, in uno scritto polemico contro un pagano (forse Porfirio) fa credere che i Cristiani conoscessero questo libro come uno dei loro, poichè lo difende dalle censure, che pure ne suppongono l'esistenza e l'uso assai tempo. prima. Alla Palestina appartiene, intorno alla metà del quinto secolo, la testimonianza dello storico della Chiesa, Sozomeno, da cui raccogliamo che fino al suo tempo in alcune delle comunità della Palestina era letta annualmente nel venerdì prima di Pasqua l' Apocalisse di Pietro. Altre più tarde notizie ci dicono quale fosse l'estensione dello scritto, di cui il nostro frammento è poco meno che la metà, e le cui tracce dirette si possono scoprire in altri antichi documenti cristiani dei primi secoli.

Sembra però che dopo il sesto secolo se ne perda ogni memoria, specialmente nell' Occidente, poichè non se ne trova alcuna versione latina. Invece più tardi si diffusero molte altre Rivelazioni di Pietro, fra le quali

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1 L'HARNACK, Bruchstücke, ecc., ha giustamente osservato che la nostra Apocalisse si accorda col Pastore d'Erma anche nel distinguere fra i peccatori coloro che perseguitarono e tradirono i giusti v. 27): ciò che farebbe credere lo scritto non anteriore all' età di Traiano. D'altronde non si può farne discendere la composizione al di qua della metà del secondo secolo, per l'uso che se ne faceva nelle chiese di Roma e d' Alessandria. Appartiene quindi probabilmente, come l'Evangelio di Pietro, alla prima metà del secondo secolo. Quanto al suo luogo d'origine non si possono fare che congetture. L'affinità che presenta coi libri sibillini fa pensare però all' Egitto.

una araba che noi possediamo, che certo non furono senza qualche lontana attinenza coll' antico scritto cristiano, di cui ci tarda di offrire tradotto ai lettori il prezioso frammento rinvenuto nel codice di Ahkmim.

§ 2.

« 1. Molti di essi saranno falsi profeti, e insegneranno vie e dottrine diverse di perdizione. 2. Quelli poi diverranno figli di perdizione. 3. E allora verrà Dio ai miei fedeli che sono affamati, assetati, e afflitti, e in questa vita cimentano l' anima loro; e giudicherà i figli dell' iniquità».

Il frammento si apre con la chiusa di un discorso del Signore ai discepoli sulla fine del mondo. E poichè nelle parole immediatamente seguenti si legge: « E il Signore inoltre disse: Andiamo al monte e preghiamo » (cfr. Luc., 6, 12), così è probabile che si tratti di un discorso di Gesù durante la sua vita terrena, o almeno dopo la risurrezione; permodochè l' Apocalisse fosse come una continuazione dell' Evangelio di Pietro.1 Della parte perduta di questa Apocalisse ci dà una idea, secondo le ricerche fatte dal James uno scritto siriaco pubblicato dal Lagarde e portante il titolo di Testamento del Nostro Signore Gesù Cristo o

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1 Come suppose il BORMANN, Deutsche Zeitung, numero 7516, Wien, 1892, ed ha sortenuto il Dieterich, Nekyia, Beiträge zur Erklärung der neuentdecken Petrusapok., Leipzig, 1893: lavoro il più completo di quanti sono apparsi finora su questo documento. Per altri lavori cfr. Ehrard, Die Altchr. Literatur von 1884-1900, p. 147-49.

2 JAMES, The Revelation of Peter, p. 54 ss., il quale promette (p. 58) di pubblicare un frammento latino del Testamento del Signore da lui trovato in un ms. dell'8° secolo, in un prossimo numero dei Texts and studies, contributions to Biblical and Patristic Literature, diretti dal Robinson.

Reliquiae Juris Eccles. antiquiss. graece, 1856.

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