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UNA NUOVA SCOPERTA BIBLICA.'

Che gli ultimi versi del secondo evangelio (Marc. 16, 9-20) sieno un'aggiunta fatta da una mano diversa alla narrazione originale, appariva manifesto alla critica da una serie di indizi intrinsechi, confermati dalle testimonianze esteriori. Non solo le differenze stilistiche che corrono fra quest'ultimo tratto e l'insieme dell'evangelio di Marco, ma la stessa contenenza conduceva naturalmente a quella opinione: Il racconto della pietosa missione delle pie donne al sepolcro termina logicamente a quel punto (168), dove le donne, spaventate dalla vista dell'angelo luminoso, se ne fuggono; a cui teneva dietro probabilmente nel testo primitivo di Marco, come chiusa dell'evangelio, la narrazione delle apparizioni di Gesù nella Galilea, annunziate dall'angelo alle donne (v. 7). Invece in quest'ultima parte si accenna ad una serie di apparizioni in Gerusalemme (come in Luca e nella prima narrazione di Giovanni), che rendono inutile l'andata dei discepoli nella Galilea per vedervi Gesù, secondo l'avviso dell'angelo. E invece delle due Marie e di Salomone (16, 1), si parla qui solo di Maria di Magdala, nel modo come appari

1 CONYBEARE, Aristion the Author of the Last tvelve verses of Mark The Expositor » October, 1893, p. 241-254).

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sce nell'evangelio di Luca e in Giovanni, 1 e della quale anzi si racconta (Ib. 10): « che annunziò l'apparizione di Gesù a coloro che erano stati con lui, i quali facevano cordoglio e piangevano », mentre poco prima si legge (Ib. 8) che le donne spaventate « non dissero nulla ad alcuno ». Dall' insieme poi delle apparizioni accumulate nel racconto di quest'ultima parte trasparisce che questa non sia altro che una derivazione dagli altri tre evangeli, composta forse con l'intendimento di rilevarne l'armonia," miniscenza della narrazione corrispondente di Paolo (I, Cor. XV, 5-8).

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e non senza una re

La tradizione dei manoscritti anch'essa e le testimonianze degli antichi scrittori ecclesiastici parlano piuttosto contro che a favore dell'autenticità di questi ultimi versi del testo di Marco. I due più antichi codici greci, il Sinaitico (B) e il Vaticano (Aleph), che risalgono al quarto secolo, non contengono questi versi, che si leggono invece in altri manoscritti greci, anche non dimolto posteriori. Nel codice Parigino (L) dell'ottavo secolo, vi sono premesse queste notevoli parole: si hanno per tradizione anche queste altre, dopo le parole: avevano timore ». E mentre nelle antiche versioni latine e siriache questi versi non mancano, i manoscritti armeni o li omettono, o recano dopo le parole << avevano.timore » (èçoßoñvto yàp), a modo d'avvertenza queste altre: qui termina l'evangelio di Marco », seguitando poi, dopo un certo spazio, col verso 9. Il fatto è d'altronde confermato da autore

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1 Cfr. anche il frammento dell' Evangelio di Pietro in Nuova Antologia, 15 luglio 1893, p. 227.

2 Per le prove rinvio all' HOLTZMANN, Hand commentar zum N. Testament I, 106, s. 3 ed. 1901.

Sembra però che nell'antichissimo Codice Siriaco scoperto ora dell' Harris in un convento del Sinai (Theolog. Liberaturzeitung. 15 märz, p. 220) manchi questa chiusa di Marco; il che, data la grande antichità del codice parrebbe offrire una conferma notevole di quanto diciamo.

voli testimonianze antiche; poichè Eusebio di Cesarea e Girolamo asseveravano che « in quasi tutti i manoscritti greci » del loro tempo questi versi non si leggevano, ed anche un secolo più tardi (prima metà del quinto secolo) Vittore d' Antiochia, almeno in parte lo conferma. E nondimeno l'alta antichità di questa seconda fine dell' evangelio di Marco non può essere revocata in dubbio. Non solo Ireneo, ma già Papia di Jerapoli, circa la metà del secondo secolo, sembra alludere ad alcuni degli ultimi versi di Marco, come forse vi allude il suo contemporaneo Giustino il Martire (Apol. I, 45) 2 e il Diatessaron di Taziano. Più tardi, al principio del terzo secolo, sembra riferirsi ai medesimi testi anche Ippolito, ed una notevole parte di essi (v. 15-18) trovasi riprodotta negli apocrifici Acta Pilati, che il Tischendorf attribuisce pure al terzo secolo. 3

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Se dunque, come l'ultimo capo dell' evangelio di Giovanni deve tenersi per un'aggiunta relativamente recente, anche l'evangelio di Marco ci presenta due diverse narrazioni finali (16, 1.8 e 16, 9-20), ed ambedue molto antiche, rimaneva per la critica dei Sinottici un curioso ed importante problema a risolvere: a quale età e a quale autore si deve quest'aggiunta finale all'evangelio secondo Marco.

Ora su questo punto così. oscuro per la storia del Canone e del testo evangelico, viene come a spargere una luce inaspettata una scoperta recente. Il signor F. C. Conybeare, insegnante nell' University College di

1 Adv. Haer. III 10. 6. (Migne, Patrolog. graec. VII, p. 894).

2 Cfr. l'articolo del TAYLOR, in The Expositor, (Juli 1893). 3 TISCHENDORF, Evangel. Apocr. 1853, p. 243 e 351.

4 Si fanno poi altre due diverse finali di Marco, l'una delle quali più breve, e conservata dal manoscritto parigino Le in una glossa della versione filoxeniana; l'altra si trova presso Hieronym. Adv. Pelag. II 15 (Opp. ed. Martianay, t. IV, p. 521 e in Migne, Patrolog. XXIII, col. 576.

Oxford, trovò, nel novembre 1891, nella Biblioteca Patriarcale di Ecmiadzin, presso il monte Ararat, un codice armeno degli evangeli, scritto in caratteri onciali nell'anno 986, di cui egli dà ampio ragguaglio nell'articolo sopra indicato. Nella legatura del codice sono impresse due placche di avorio in rilievo, opera di un artefice ravennate del quinto o sesto secolo; e nell'interno, al principio e alla fine del codice, diverse storie del Nuovo Testamento dipinte in Siria intorno al principio del sesto secolo. Ora in questo codice l'evangelio di Marco è trascritto fino al v. 16, 8. Poi segue uno spazio di due linee lasciato libero; dopo il quale, col medesimo carattere unciale e scritte in rosso, si leggono le parole Ariston Eritizou, che significano << di Aristone Presbitero ». Questa intitolazione occupa una linea intera (poichè il codice è a doppia colonna). Indi seguono, scritti dalla stessa mano, gli ultimi dodici versi, terminanti nel foglio seguente. Dati questi elementi di fatto, il Conybeare dimostra in primo luogo che difficilmente può sostenersi l'ipotesi suggeritagli da alcuno, l'autore di questi versi essere Aristone di Pella; poichè costui scriveva ad un'epoca troppo recente (circa il 150) perchè un'aggiunta fatta a quel tempo potesse apparire quasi costantemente nei manoscritti greci; e quello che sappiamo dell'opera letteraria di lui d'altronde non è favorevole ad una tale supposizione. In secondo luogo, tutto fa credere che il nome di «<< Aristone » stia qui invece di « Aristione » perchè nella versione armena della storia ecclesiastica d'Eusebio fatta da un testo siriaco, si ritrova questa medesima alterazione del nome. Ma, quello che più monta, si può con sicurezza escludere che questo « pre

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1 Son riprodotte e illustrate dallo SHEXGOWSKI, Wien, 1892. 2 Cfr. HARNACK, Texte und Untersuchungen, I, 1, p. 126 ss. I, 3, p. 1-136, 1882 e 1883, e del medesimo la grande opera Geschichte der altchristlichen Literatur, I, p. 92-95, Leipzig, 1893.

sbitero Aristione » sia l'amanuense del codice, poichè questi ha posta la sua segnatura al principio e alla fine così: « Io, Giovanni, l'ho scritto. Ricordatevi di me ». E con quasi eguale certezza si può asseverare che quel nome non designa il traduttore armeno di questi versi; chè Aristone o Aristione non sono nomi armeni, nè i traduttori armeni della Bibbia usano segnarsi, nei codici; e a ogni modo, il nome avrebbe dovuto trovarsi al termine non al principio del brano tradotto. Riman dunque che si tratti dell' autore greco. Sta ad indicarlo, oltre il nome schiettamente ellenico, il genitivo, che indica la paternità d'autore, e segnatamente l'importanza che è data all'intitolazione « di Aristione Presbitero », la quale è scritta in unciali rosse come le altre << di Matteo », << di Marco », « di Luca »>, ed avente nel ccdice la stessa estensione. Sembra adunque che il traduttore armeno avesse dinanzi un manoscritto siriaco o greco dove questi ultimi versi portavano in fronte. il nome di Aristione presbitero come autore di essi (Αριστίωνος πρεσβυτέρου).

A qual'epoca risalga questa versione armena è difficile il dire. I dodici ultimi versi di Marco mancano in tutti i manoscritti armeni anteriori al decimo e all' undecimo secolo, ed un Padre greco di età assai tarda attesta che gli armeni ebbero dapprima questi versi nelle loro traduzioni e più tardi gli esclusero. Quello che si può, secondo il Conybeare, tenere per molto probabile è che lo scriba Giovanni trasse codesti versi da un Codice siriaco. Le miniature siriache contenute nell'evangeliario di Ecmiadzin, del principio del VI secolo, eran già note allo scriba che tentò di copiarle nel suo testo, ed appartenevano probabilmente ad un esemplare siriaco del V o VI secolo. La stessa mutazione del nome « Aristione » in « Aristone » parla piuttosto a favore d'un esemplare siriaco che d'un esemplare greco; nè mancano infine, nei dodici

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