Slike stranica
PDF
ePub

Poichè qui non è il luogo di dare criticamente il testo originale, ci basti di riprodurne tradotta fedelmente la lettera, ed illustrarne brevemente il senso.

1

§ 2.

1. ..... E allora potrai estrarre la festuca che è nell'occhio del tuo fratello.

È la apodosi d'un detto evangelico, conforme a Matteo, 7, 5 e Luca, 6, 42, ma più al secondo che al primo dei due sinottici. Manca la prima parte che è andata perduta col foglio precedente del libro. Ireneo (IV, 30, 3) conosce questo detto (λóros xuprov) dalla tradizione orale, in una forma perfettamente rispondente al nuovo testo.

2. Dice Gesù: se voi non digiunerete (rinunzierete) al mondo, non troverete il regno di Dio; e se non celebrerete il sabbato, non vedrete il padre.

Questo detto, nuovo ed espressivo, presenta nell'originale varie difficoltà grammaticali ed ermeneutiche, poichè il verbo vystź w non può reggere un accusativo diretto. Mentre a primo aspetto si potrebbe credere di aver dinanzi una prescrizione rituale di spirito puramente giudaico, le ricerche del Rendell Harris e dell' Harnack concordemente ci conducono

al concetto opposto. Le due proposizioni condizionali e i due verbi (μvnotebe e saßßatitev) hanno un significato metaforico e non letterale. Si tratta, cioè, non dell' osservanza del digiuno materiale e del festeggiare il sabbato come nell' Antico Testamento è

1 Seguo la numerazione dell' Harnack anzichè quella degli editori inglesi, perchè mi sembra più esatta. Se l'osservazione del Battifol, Revue Biblique 6, (1897) 501 sull'erronea inversione del recto e del tergo fatta dagli editori fosse esatta, la numerazione sarebbe diversa.

prescritto; ma della rinunzia al mondo (xóop.oc), secondo la formola di Paolo e specialmente di Giovanni, cui ci conduce anche l'espressione «< non vedrete il padre », e della celebrazione allegorica del sabbato perpetuo e spirituale della nuova legge o della vita futura di cui parlano vari antichi scrittori cristiani. Giustino martire adopra anzi (Dial. c. Tryph. 12) la medesima espressione del nostro testo (sabbatizein to sábbaton); e il parallelismo ebraico visibile in questo detto ha ritrovato l' Harris in Clemente Alessandrino (Strom. III, pag. 556). La corrispondenza dell' espressione οἱ κοῦ κόσμον νηστέυοντες in Clemente, notata dal Mayer e Robinson, ha rese inutili le congetture variamente ingegnose del Battifol, del Davidson, e dello Zahn. Tutto fa credere d'aver qui dinanzi una parola genuina di Gesù. Ma forse questa espressione che Gesù, in mezzo al suo popolo e al culto giudaico adoprò in un senso preciso e reale, assume nella mente dell' estensore già un significato allegorico, che prelude da vicino allo spiritualismo di Giovanni e degli Gnostici. Il termine mondo come compendio di tutto ciò cui deve rinunciare il fedele, si ritrova negli scritti giovanniti e nel documento gnostico Pistis Sophia, a cui si riferiscono gli editori inglesi.

1

3. Dice Gesù: Stetti in mezzo al mondo e nella carne mi rivelai ad essi; trovai tutti ubbriachi e nessuno trovai tra loro assetato; e l'anima mia soffre per i figliuoli degli uomini, poichè sono ciechi nel loro cuore, e...

Anche questo detto è interamente nuovo, e solo il lamento che muove Gesù sulla cecità degli uomini ha il suo corrispondente nei nostri evangeli. Ne spira una profonda tristezza, pari a quella che fa piangere Gesù

L'anonimo recensore dell'Athenaeum del 7 agosto vede in questo Logion una dottrina dei Terapeuti; ma è una sua congettura Pistis Sophia (pag. 250, trad. Schwartze) Dixi vobis olim; ἀποτάσσετε κόσμῳ toti et ὕλῃ toti ».

[ocr errors]

alla vista di Gerusalemme, e ricorda il gemito del Gethsemani « l'anima mia è triste fino a morirne ». Il lamento sulla durezza e la insensibilità degli uomini, significato coll' efficace imagine dell' ubbriachezza che non consente loro di aver << sete della giustizia e della verità », è combinato qui con le parole « stetti in mezzo al mondo », le quali manifestamente richiamano il prologo del quarto evangelio (spec. I, 11); con questa notevole differenza che dove in questo si parla del Logos in terza persona, qui è il Cristo che parla di sè in prima persona.

Ma l'analogia ritorna, come ha ben notato l' Heinrici, se teniamo conto del rapporto che corre fra il prologo e il resto della narrazione storica dell' evangelio che porta il nome di Giovanni. Nel nostro fram. mento i tre aoristi sul principio parrebbero indicare un discorso tenuto da Gesù ai suoi, dopo la resurrezione. Ma subito dopo si passa al presente (novel) accennando ad un pathos dell'animo, che sarebbe inverosimile il far soffrire ed esprimere a lui risorto. Comunque sia di ciò, e checchè abbia detto qui il Battifol in contrario, non mai in altri evangeli s'incontra una così ardita dichiarazione, fatta da Gesù medesimo, della sua preesistenza, della sua venuta nel mondo e della sua rivelazione nella carne. Manca il termine di Logos; ma la cristologia astratta del quarto evangelista, imbevuta d'alessandrinismo, si sente già prossima, se non ancora formata; e più lontano s'indovina il lavorìo filosofico e teologico delle scuole gnostiche.

Sventuratamente la fine del frammento è illeggibile. Le tracce di lettere che si scorgono nel logoro papiro e che anche traspariscono dalla fototipia data dagli editori, non bastano, nonostante gli sforzi, dello Swete, del Sanday, del Blass, Zahn, ed altri, a farci ricostituire il testo, irrimediabilmente perduto. E gravemente lacunoso e guasto è pure il principio del

l'altro frammento, il quarto secondo la numerazione dell' Harnack. 1

4. Dice Gesù dovunque essi sieno.... e se uno è solo, io sono con lui. Rimuovi la pietra, ed ivi mi troverai: incidi il legno, ed io son quivi.

2

La seconda parte di questa sentenza così originale e densa di pensiero, sembra essere una applicazione, come ha ben notato l' Harnack, del senso, mal reintegrabile per la lacunosità del testo, contenuto nella prima. In questa le sole parole leggibili sono quelle stupende: « ove uno sia solo, io sarò con lui », le quali sembrano ricollegarsi al pensiero che trovasi in Matteo, 18, 20, e rispondono, ad ogni modo, esattamente ad una parola di Gesù, compresa fra le così dette agrapha, e riferita da Efremo Siro, cioè da Taziano:3 « ubi unus est, ibi et ego sum ». Ora queste parole io sono con lui ci danno la misura per determinare il valore delle altre contenute nella seconda parte « ed ivi mi troverai », «< io son quivi ». Si tratta d'una presenza spirituale o d' un' assistenza del Cristo al lavoro manuale, non già d'una immanenza panteistica di lui negli oggetti materiali, la pietra e il legno, di un Pancristismo secondo hanno sostenuto lo Zahn, il Krüger ed altri, come la lettera parrebbe significare. L'acume di questo mirabile detto sta nell' essere esso antitesi di un passo dell' Ecclesiaste 10, 9, su cui ha richiamato opportunamente l'attenzione dell' Harnack il Dr. Lisco: « rompendo la pietra ne avrà pena, tagliando il legno ne correrà pericolo Mentre il pessimista giudaico am

».

1 Secondo gli editori inglesi quinto, perchè essi credono che un Legion perduto stesse fra il precedente e il successivo. Ma le ragioni che arreca l' Harnack in contrario mi sembrano convincenti.

2 Vedi un'acuta restituzione del Davidson 1. c. rimasta ignota alla critica.

3 V. in ZAHN, Diatessaron, 1881, pag. 169, e RESCHE, Agrapha Paralleltexte zu Matthaeus, pag. 233 seg., 1889.

monisce sui dolori e i pericoli del lavoro, Cristo invece annunzia che dove è lavoro, ivi sarà lui. Se, dunque egli dice, uno è veramente solo, cioè separato dal mondo (secondo il detto precedente), il Cristo sarà con lui, e a lui presente come gli oggeti su cui lavora. Or chi non sente qui una parola nuova che redimerà nel mondo il lavoro manuale? E chi non sente che questa è parola del figlio d'un operaio, operaio egli medesimo? È una parola che suona come protesta contro la tradizione farisaica e sacerdotale, non ancora morta, per la quale la presenza divina si deve cercare solo nel digiuno, nella preghiera o nella meditazione, e nell'osservanza esteriore e puntuale d'una legge deve raccogliersi la vita vera dello spirito.

Se però il detto, così interpretato, non dà senso di panteismo, giova riconoscere che alcunchè di mistico vi è pure racchiuso. Quella particella locale quivi (èxeî) accenna in un modo ancor vago all'idea mistica della immanenza di Gesù nella materia sensibile, che, commista ad elementi della dottrina stoica, sarà poi svolta nella teoria gnostica delle ubiquità del Cristo,1 ed avrà d'altronde delle risonanze anche in alcune espressioni di Paolo o del quarto evangelista. I semi che daran poi germogli strani son già racchiusi in questo documento primitivo e vicino, pel suo spirito, alle origini cristiane.

5. Dice Gesù: non vi ha profeta accetto nella sua patria, ne medico che compia guarigioni fra coloro che lo co

noscono.

La prima parte di questa proposizione è letteralmente nei sinottici, e specie in Luca (4, 24). La

1 Gli editori inglesi adducono lo scritto gnostico evangelio d'Eva (presso Epifanio, Haer. 26, 3) a cui l' HEINRICI (1. c.) aggiunge un passo del Pseudo-Cipriano (De Mob. Mont. c. 13): SCHMIDT, Sitzungsber. der Berl. Akad., 1895, pag. 6. Lo Zahn richiama un passo degli Acta Petri, 10.

« PrethodnaNastavi »