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anche sfavorevoli a tale opera. Una società che crescendo in mezzo alle vive lotte religiose e politiche aspettava di giorno in giorno l'imminente fine dei tempi e il ritorno del Messia giudice e vendicatore sulle nubi del cielo, e che perciò non aveva fede nel futuro, era il terreno meno propizio al formarsi di un'attività letteraria, poichè non vi si poteva sentire nè la necessità nè l'utilità di fissare in forma scritta avvenimenti e dottrine che circolavano sulle bocche di tutti ed eran vivi nella memoria e negli animi dei fedeli. Non soltanto Paolo, e l'autore della lettera ignaziana ai Filadelfesi, ma anche alla metà del secondo secolo Papia d'Ierapoli (presso Euseb. III, 39) mostra di dare molto più valore alla viva parola che alla tradizione scritta, come quella che attinge valore dall' autorità personale di chi la proferisce (sentimento comune, del resto, a tutta l'antichità). Ma allorquando la generazione apostolica a poco a poco si spense, e con lei venne meno quella fede ardente in un vicino rinnovamento delle cose via via smentito dalla storia, soprattutto coi fatti che seguirono alla distruzione di Gerusalemme, e coi contatti sempre maggiori del cristianesimo fuori della Palestina colla cultura ellenica, il bisogno di raccogliere in una continuità di narrazione i ricordi personali del Maestro, e in una esposizione ordinata le dottrine di lui si dove far sentir sempre più vivo; tanto più che a ciò dovevano contribuire le necessità della predicazione cristiana sempre più diffusa fra i Gentili, soprattutto per opera di Paolo.

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Ora quale fosse la forma di questa tradizione primitiva non solo ci è dato dall'analogia di fenomeni simili nelle origini d'altre letterature, ma anche dall'analisi interna dei nostri evangeli. La tradizione orale non

1 Cfr. il mio scritto Le idee millenarie dei Cristiani nel loro svolgimento storico. (Discorso inaugur. dell' Università di Napoli, 1888, che qui ripubblico).

può conservare una narrazione continuata o un sistema dottrinale, ma un insieme di ricordi frammentari di detti o di tratti caratteristici della vita del suo eroe. Di qui il carattere aneddotico e frammentario che presentano ad ogni lettore attento, specialmente i tre primi evangeli; e quella incertezza nel collegare le singole narrazioni e nel collocare le parole di Gesù, che vi appare visibile. Di qui il fatto che negli scritti più antichi e nei più recenti del Nuovo Testamento (I Cor. 11, 2, 23; Joan. 14, 26) la vita spirituale e la forza della fede è soprattutto ricollegata ad una ricordanza continua é viva di Gesù e della parola sua. Paolo insiste sempre in questo ammonimento: « io vi dico questo come una parola del Signore » (I Cor, 7, 10; 22, 25; 9, 19; 11, 24-25. I Thess. 4, 15), quasi una tradizione che risalga fino a lui, vera anima e legge della coscienza cristiana. Ma segnatamente nella comunità madre, quella di Gerusalemme, dove vivevano ancora i testimoni personali di quei fatti e di quelle parole, doveva mantenersi viva quella tradizione, e di là diffondersi nelle comunità fuori della Palestina. Dovevano tramandarsi, innanzi tutto, detti memorabili di Gesù (órz Kopion), brevi sentenze, piene di una efficacia ed evidenza popolare, quale apparisce, ad esempio, nel sermone della montagna, vera collana di perle negli evangeli: « beati i puri di cuore », << voi siete il sale della terra », «< il vostro dire sia si si, no no », « lasciate che i morti seppelliscano i loro morti », e così via. Chi le ha udite una volta, le ricorda per sempre. E così quelle similitudini, quelle parabole così trasparenti, d'una semplicità e vi

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1 Il DELFF, op. cit. p. 318, rileva questa differenza generale fra i Sinottici e Giovanni, che i primi mostrano di ricavare le loro notizie da una tradizione della Galilea, Giovanni invece meglio si mostra informato dei fatti di Gerusalemme. Opinione che mi pare più singolare che verosimile; o che può essere tale, in quanto riguarda il contegno naturalmente differente tenuto da Gesù nella Galilea e in Gerusalemme, non la provenienza diversa della tradizione storica di Giovanni e dei Sinottici.

vezza incomparabile, d'una ispirazione e di un colorito che dà loro come una impronta d'eternità. Ma insieme a questo vivo sentimento della parola, doveva sorgere anche quello pei fatti della vita di Gesù; poichè tutte quelle parole che correvano di bocca in bocca, da una comunità all' altra, si raccoglievano intorno ad una che era come il centro della vita cristiana, « io sono il Cristo, l'aspettato » (èyó eipt. Marc. 14, 62). Codesta parola d'ordine che circolava in quei cenacoli di santi e stringeva tutti i fedeli intorno allo scandalo della croce » (I Cor. 1, 23. Gal. 5, 11', doveva poi compiersi e svolgersi nell'altra: Gesù, il Messia, morto pei nostri peccati, risorto presso il Padre, ritornerà nella sua gloria e nella sua potenza fra noi. La morte e la resurrezione appartenevano al passato, il suo ritorno all' avvenire; quelle erano una memoria, questa una speranza. Due poli fra cui si muove la fede dei primi tempi. Al di fuori di essi, Paolo e l'Apocalisse null'altro sanno della storia di Gesù.

Era naturale che tutto questo lavoro da cui si va componendo la tradizione e la sostanza degli evangeli sinottici, non dovesse andare interamente perduto, ed è lecito aspettarsi che se ne possano trovare tracce, e negli scritti del N. Testamento più antichi degli evangeli, e fuori del Canone, nei più antichi documenti della letteratura patristica. Difatti non soltanto Paolo cita più volte parole e detti del Signore che non si riscontrano negli evangeli canonici e nemmeno negli apocrifi da noi conosciuti, ma anche molti antichi scrittori cristiani li riferiscono in modo che non sembrano ricavati da alcuna scrittura. Nè d'altra parte si può credere che in molti di quei casi si tratti, come alcuno ha pensato,' di citazioni libere, fatte a memoria, del

1 H. HOLTZMANN, Lehrb. d. histor. Krit. Einleitung in d. N. Testam. 2 Aufl., 1886, p. 49. ss.

testo evangelico; poichè le stesse varianti nella citazione di una di queste parole si ritrovano presso diversi scrittori, il che fa pensare ad un fondamento comune. Ora tutti questi detti o sentenze, che sotto il nome di agrapha, cioè derivanti da una tradizione orale, sono stati di recente raccolti e illustrati segnatamente dal Resch e poi da altri, ci riconducono ai primi giorni del cristianesimo e ai primi e più diretti ricordi del suo fondatore, ed hanno talora l'impronta d'una originalità potente e un'efficacia incomparabile. '

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1 Si noti bene che questa doppia distinzione degli agrapha dalle due serie di evangeli, i canonici e gli apocrifi. Una raccolta accurata, ma non completa, fu fatta dal Westcott, Introduction to the study of the gospels (1881), p. 454, ss.; diligentissima, ma forse più ampia che sicura nei particolari, più recentemente dal RESCH, Agrapha: aussercanonische Evangeliene fragmente, Leipzig, 1889 (in Texte und Untersuchungen zur Altchristl. Literat. di Harnach e Gebbardt. V. Bd. H. 4).

Da questa importantissima collezione, crediamo utile trarre, e riprodurre qui, tradotti, alcuni di questi detti del Signore, che hanno l'impronta più arcaica. Logion 3. (presso Epifanio Haer. 80, 5, si trova accennato in parte da Luca 10, 7) « è degno l'operaio della sua mercede e sufficiente all'artefice il suo nutrimento ». Logion 5 (presso Origen. Hom. in Jerem. 20, 3, « dice in fatti il Salvadore medesimo chi è vicino a me, è presso al fuoco: chi è lungi da me, è lungi dal regno » Log. 7. (Clem. Rom. II, 5 analogo a Luca 16, 10) << dice il Signore nell'evangelio: se non custodirete il piccolo, chi vi darà il grande? ». Log. 10 (Barnab. VII, II) dice infatti: « quelli che vogliono vedermi e giungere al mio regno, lo guadagneranno, soffrendo e oppressi ». Log. 15. (Duae viae vel Judic. Petri c. 26. Hilgenfeld. Novum Testam. extra Can. ed. 2. 1884, p. 118) insegnò infatti a

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noi, «che il forte sarà salvato dal debole » (analogo a I Cor. 1, 25). Log. 17. (Hom. Clem. 19, 20) « Ricordatevi del signore e maestro nostro, che ci comandò dicendo: custodite i misteri miei a me e ai figli della mia casa ». Log. 18. (Clem. Rom. I, 46) è scritto infatti: unitevi coi santi, perchè chi si congiunge con essi sarà santificato ». Log. 23. (Macar. Hom. 37). Ascolta il Signore che dice : conservate l fede e la speranza, dalle quali viene l'amore di Dio e degli uomini, che produce la vita eterna ». Log. 25. (Hieronym. in Ezech. 17). « Detto dell' Evangelio: vi è una confusione che conduce alla morte, e una confusione che conduce alla vita ». Log. 27. (Codice di Cambridge, che per le ricerche del Credner attinge a fonti che risalgono alla metà del secondo secolo, ed. Scrivener, pag. 183). Nel giorno stesso vedendo uno che lavorava di sabato, disse a lui: uomo, se tu sai quel fai sei beato; se non lo sai, sei profanatore e violatore della legge ». Log. 30 (Clem. Rom. II, 12). Interrogato il Signore da un tale, quando verrebbe il regno di lui, disse : Quando

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Ma tutta questa materia prima, vagante nella incerta tradizione orale, questa nebulosa diffusa di ricordi personali e di precetti, doveva assai presto, col succedersi delle generazioni e con le mutate condizioni delle comunità cristiane nell' occidente, pur sempre entro il primo secolo, tendere sempre più a fissarsi, ad organarsi in una forma stabile di narrazione continuata, da cui poi doveva uscire il codice e il canone della nuova fede. Quanto meno i fedeli della seconda e terza generazione cristiana potevano completare coi ricordi personali e immediati le poche notizie che circolavano sulla persona del maestro, come avevan potuto fare i primi apostoli di Gerusalemme, tanto più doveva sentirsi il bisogno di un'opera letteraria intesa a raccogliere tutto quello che si narrava della vita e della dottrina primitiva di Gesù il Galileo. Le parole con le quali Paolo annunzia la istituzione eucaristica nell'ultima cena << il nostro Signore Gesù, nella notte in cui fu tradito » (I. Cor. 11, 23), fanno supporre che nella comunità di Corinto, per la quale scrive, fosse noto non solo questo particolare della

i due saranno uno, e il di fuori come il di dentro, e il maschio dopo la femmina, nè maschio nè femmina ». Log. 53. (Si trova in Ephes. 4, 26, ma da alcuni Padri è citato come un detto del Signore). Adiratevi e non peccate. Che il sole non tramonti sulla vostra iracondia». Log. 35 (Doctrina Apost. I, 6, v. Nuova Antologia, 15 settembre 1885). Fu detto perciò: Serba la tua elemosina nelle tue mani, finchè non conosca a chi dai ». Log. 36 A. (Pseudo-Cyprian. De Aleat. c. 3.) insegna il Signore, e dice: non vogliate contristare lo Spirito Santo che è in voi, nè vogliate estinguere il lume che rifulse in voi ». Log. 43. (Clem. Strom. I, 28: Sulle molte varianti di questo detto di Gesù v. Resch, Agrapha, p. 116-127). Egualmente la Scrittura (dice) : Siate valenti banchieri, respingendo alcune cose e ritenendo il buono. » Log. 58. (Const. Ap. II, p. 90), << il Signore.... schernendo Gerusalemme, disse: per te fu giudicata Sodoma ». Il Resch ha fatto l'importante osservazione che nessuno di questi detti non scritti, si accosta al tipo del quarto Evangelio. Indagini più recenti e più accurate sopra questi detti extraevangelici, hanno fatte il NESTLE, Novi Test. graeci supplementum, Lipsiae 1896 e il PREUSCHEN, Antilegomena, Die Reste der ausserkanonischen Evangelien etc. Giessen 1901, riducendo assai il numero di quelli contenuti nelle collezioni del RESCH, Texte und Unters. 1889 e 1893.

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