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Robinson sopra una espressione del logion, 2, che si trova in Clemente Alessandrino a proposito di quell'evangelio; e rendono probabile che una relazione fra questo evangelio e il nostro frammento vi sia stata, mentre possiamo con sicura coscienza escludere ogni rapporto coll' evangelio detto degli Ebrei o Ebioniti e coll'altro secondo Pietro. Nondimeno chi guardi i frammenti rimastici di codesto evangelio egiziano che non era nè eretico nè apocrifo perchè intorno al 170 se ne vale, in Roma, l'autore della così detta seconda lettera di Clemente e solo più tardi, costituito che fu il quadriforme » evangelio, è annoverato per la prima volta da Origène tra i falsi evangeli — deve pur riconoscervi i segni di un prodotto più recente di quello che non apparisca il nostro papiro. Mentre in questo troviamo la semplice parola 'Inoue, che nelle citazioni del secondo secolo a confessione dello Harnack è sostituita ordinariamente dall'altra il Signore (6 Kóptos), nell'evangelio degli Egizi si legge sempre disse o dice il Signore. L'evangelio egiziano conteneva una teoria metafisica sull'anima di cui si valsero

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1 Oltre le ragioni esterne della provenienza dell'uno e dell'altro, l' Harnack ileva la relazione somigliante dei due documenti, coi sinottici da un lato e coll'evangelio di Giovanni dall'altro; nei detti 2 e 3 trova i segni di quel rigorismo ascetico al quale doveva essere informato l' evangelio degli Egizi, che gli Encratiti adoprarono; nel detto 4 trova l'indizio di quel modalismo (dottrina che riesciva ad identificare il padre e il figlio) a cui sappiamo avere inclinato quell'evangelio. Ma quest'ultimo raffronto è solo possibile se si ammette la restituzione del frammento escogitata dall' Harnack stesso; mentre nei frammenti dell' evangelio degli Egiziani non si trova alcuna affinità col quarto evangelio.

2 HARNACK, Ueber die Jüngst entdeckten Sprüche Jesu, pag. 25,

num. 2.

3 E si badi non soltanto come formula di citazione, la qual potrebbe appartenere agli scrittori che riferiscono i frammenti, ma nei frammenti stessi. Vedasi, ad esempio, il più esteso di essi (f. 4. Harnack, HILGENFELD, op. cit., pag. 44) che contiene un dialogo fra Gesù e Salomone, dove si legge sempre la parola il Signore (ο Κύριος).

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i Naasseni; segno che apparteneva ad una età non più primitiva pel Cristianesimo. Ora non solo i detti conservati dal papiro non portano traccia di quella dottrina, ma tradiscono una semplicità arcaica. E infine dove tutti gl'indizi conducono a credere che l'evangelio degli Egizi, affine a Matteo e a Luca, non avesse 2 ' alcuna parentela coll'evangelio detto di Giovanni, le poche linee del nostro papiro fanno presentire, sebbene da lontano, l'idealogia del quarto evangelista.

Come dunque possiamo ammettere invece che il nostro frammento appartenga ad una delle redazioni più antiche onde uscì poi l'evangelio degli Egizi, così esso rappresenta (e ciò costituisce una delle ragioni della sua grande importanza) una forma in cui la tradizione fissata poi negli evangeli sinottici accenna ad accogliere le prime linee della teologia onde uscirà il quarto evangelio, confermando quello che mi pare resultare da altre indicazioni attendibili: esservi già stati nella coscienza della famiglia primitiva che si strinse intorno al Maestro i semi di quell' alta idealità onde germinò, col nome d'uno dei suoi più fidi, il fiore mistico del quarto evangelio.

1 V. HilgenfelD, op. cit., pagg. 44, 47. L' Harnack non so perchè neglige questa indicazione nella caratteristica che dà di questo evangelio.

2 HARNACK, Die Chronologie der Altchristl. Literatur, I, 619, Leipzig, 1897.

L'ANTRO DELLA SIBILLA A CUMA

DESCRITTO NEL IV SECOLO d. Cr.

E UN NUOVO FRAMMENTO DELLO SCRITTO DI GIULIANO L'APOSTATA CONTRO CRISTIANI.

(Atti della R. Accademia di Scienze Morali e Pol. di Napoli) Vol. XXXI, 1900.

Ho avuto altra volta l'onore di accennare in questa Accademia al valido aiuto che dai documenti letterari cristiani dei primi secoli, segnatamente d'autori greci, può venire agli studî dell'antichità classica. Non soltanto dalla letteratura patristica antenicena ci fu, come è noto, conservata larga copia di frammenti di opere di filosofi, di poeti, di storici e d'oratori ora perdute, ma in essa è contenuto altresì un ricco e vario tesoro di notizie concernenti le costumanze, i riti religiosi, le leggi, gl'istituti, le tradizioni antiche, e d'indicazioni geografiche ed archeologiche preziose, le quali sovente sfuggono all'occhio anche vigile dei cultori e della letteratura e dell'antichità classica.

Come mi accadde, qualche anno fa, di richiamare l'attenzione del collega Sogliano (il quale lo illustrò poi degnamente sopra un passo dei cosidetti Oracoli Sibillini contenente la più antica narrazione della catastrofe vesuviana, sfuggita agl'illustratori di Pompei,

1 Memoria della R. Accademia d' Archeologia ecc. vol. XVI,

p. 165, ss.

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ed avrei potuto aggiungere l'allusione a quel medesimo avvenimento che trasparisce da un luogo del libro etiopico d' Enoch, anteriore sempre alla celebre narrazione pliniana, così oggi mi sia lecito proporre all'attenzione degli archeologi colleghi nostri un notevole luogo d' uno scritto cristiano, che per molto tempo fu attribuito a Giustino il Martire, il Λόγος παραινετι κὸς πρὸς Ἕλληνας, ove con singolare precisione topografica è descritta la sede dell' antica Sibilla Cumana.

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Che questa Cohortatio ad Graecos debba essere esclusa dalla collezione degli scritti di Giustino, nella quale l'aveva ricompresa ancora l'ultimo editore, il De Otto, nel Corpus Apologetarum saeculi secundi, oggi resulta assai manifesto dalle indagini più recenti dello Schürer, del Völter e dell' Asmus. Non è altrettanto certo invece se l'autore se ne debba cercare in Apollinare di Jerapoli, o piuttosto, come vuole il Dräseke, cui inclina ad assentire il Diels, in Apollinare vescovo di Laodicea, vissuto nella seconda metà del quarto secolo. Ma anche se altri potrà non condividere l'opinione del Dräscke, nè tenere questo scritto per identico a quello che il Sozomemo attribuisce ad Apollinare, col titolo di περὶ ἀληθείας, non pare possa cader dubbio su questo; che intorno a quest' epoca, cioè alla seconda metà del quarto secolo, convenga oramai far ridiscendere questa scrittura dalla metà del secondo a cui si

1 C. 67, cf. DILLMANN, Das Henochbuch, 1854, p. 206; HILGENFELD, Die Jüdische Apokalyptik 1857, p. 163; SCHODDE, The Book of Enoch, Andover, 1882, p. 163 s. ed. Flemming-Radermacher (1901) p.86; SCHÜRER, Gesch. d. jud. Volks III, (1898) p. 194 ss.; e a proposito dei frammenti dell'originale greco ritrovati ad Akmim, vedi per tutti gli altri, l' HARNACK, Gesch. der altchristl. Literatur, I, 2, 4, 1893, p. 852, e Die Chronolog. d. altchr. Lit. I, 1897, p. 563.

2 SCHÜRER, Op. cit.; VÖLTER, Zeitschrift für wiss. Theol., Bd. 26 1883, p. 310; ASMUS, Ivi, Bd. 38, 1895, p. 115 ss. Bd. 40, 1897, p. 268. 3 DRASEKE, Zeitsch. für Kirchengeschichte, VII, 1885, p. 257 ss. Id. Apollinarios von Laodicea, Leipzig, 1892, p. 83 (Texte, und Untersuchungen, n. VII).

4 DIELS, Sibyllinische Blaetter, 1890, p. 56.

soleva assegnarla, quando la si teneva per opera di Giustino. L'autore, quale che esso sia, della Cohortatio, conosce la Cronologia di Giulio Affricano, vissuto fino al 232, e si giova manifestamente dei libri di Porfirio xatà xpistiavõy, composti nell' ultimo trentennio del terzo secolo. Ma quello che più monta, i diligenti raffronti dell' Asmus fanno tenere per molto probabile che la Cohortatio sia come una replica all' Editto dell'Imperatore Giuliano del 362, ed allo scritto polemico di lui κατὰ Γαλιλαίων dell' anno successivo; polemica che molti indizi conducono a credere composta e divulgata prima della morte dell' apostata coronato.

Ora si ponga mente a questo; che dopo la poetica descrizione virgiliana dell' antro della Sibilla (egregiamente illustrata dal collega Cocchia), e un fantastico cenno dello scritto Pseudo-aristotelico De Mirabilibus, forse del terzo secolo,1 nessun'altra descrizione ci avanza del sacro luogo oracolare fino agl'incerti cenni che nel sesto secolo ce ne danno lo storico Agathia e Procopio; e ci sarà agevole intendere quanta importanza abbia questo luogo dello scrittore cristiano del secolo quarto. E tanto più perchè qui non abbiamo una descrizione fatta da lontano su malsicure ed indirette notizie; ma una precisa ed accurata descrizione topografica, fondata sopra la ispezione personale del luogo, ed aiutata da informazioni e, notizie raccolte quivi dalle tradizioni locali.2

Di questo passo si valsero bensì frammentariamente il Beloch e il Diels. Ma il primo, descrittore della Campania, non sembra aver consultato direttamente il Pseudo-giustino, come non sembra averlo consultato il nostro De Iorio, perchè ne riferisce solo

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1 Pseudo-Arist. De Mirabilib. Auscultat. 95, 833, a 5 (ed. Apelt). 2 Di questa autopsia» dubita, senza addurne ragioni, il Geffken, Die Sybille in Preuss. Jahrbücher, Novem. 1901, p. 198. 3 DE IORIO, Viaggio d' Enea, 1823, p. 74.

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