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probabilmente letterale e grossolano onde quest' opera veniva intesa da molti, provocava da lui la non meno materiale difficoltà, che il Verbo divino avesse, colla sua passione e morte, data occasione ad un nuovo peccato; difficoltà la quale, (se è lecito ravvicinare due cose così distanti di tempo, come diverse di natura) per alcuni rispetti ci ricorda un sonetto romanesco di Gioacchino Belli.

Altre considerazioni tuttavia ci suggerisce il breve frammento giulianeo. Il termine e il concetto di Tatроntovia ci richiama specialmente all' eresia del Patripassionismo, che ebbe larga diffusione in Roma all' età dei vescovi Vittore e Zefirino. Il Padre per sè impassibile, secondo la terminologia aristotelica. (лadéç), per la sua identità sostanziale col figlio pareva dovesse esser coinvolto nella passione di questi. Ora Giuliano ben poteva attribuire generalmente questa dottrina ai cristiani, se di codesta eresia, frutto del così detto monarchianismo, al dire d' Ippolito era contaminato anche Callisto il successore di Zefirino, in tempi prossimi a quelli in cui Giuliano scriveva. (Philosoph. ΙΧ, 12 τὸν πατέρα συμπεπονθέναι τῷ υἱῷ, οὐ πεποντέναι).

Ora alla censura di Giuliano contenuta nel nuovo frammento, come ad altre parti dell' opera di lui, sembra rispondere, almeno indirettamente, l'autore della Cohortatio ad Graecos, sulla fine della sua apologia'. Poichè Giuliano aveva detto che non vi fosse altra via se non o rimaner fedeli all'antica religione o abbracciare la nuova cristiana, il PseudoGiustino risponde abilmente che codesta novità del

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Pseudo-just. Cohorb. 38 C. (Otto) rod deos hóros axшpytos δυνάμει, τὸν κατ ̓ εἰκόνα θεοῦ καὶ ὁμοίωσιν πλασθέντα ἀναλαβὼν ἄν θρωπον, τῆς τῶν ἀρχαίων ἡμᾶς προγόνων ἀνέμνησε θεοσεβείας. ἤν οἱ ἐξ αὐτῶν γενόμενοι ἄνθρωποι καταλιπόντες διδασκαλίᾳ βασκάνου δαίμονος ἐπὶ τὴν τῶν μὴ θεῶν ἐτράπησαν θρησκείαν.

l'opera del λογος ἀχώρητος δυνάμει sta invece nell' aver risollevato l'uomo alla dignità antica richiamandolo alla prisca religione dei padri, dalla quale il genere umano deviando, era sempre più tralignato nel peccato e nella idolatria. Risposta audace, la quale richiedeva un nuovo e profondo esame del problema del peccato e della redenzione. Era riservato al vescovo d' Ippona, sulle orme di Paolo, di penetrare più addentro ai termini di questo problema, e di costituire una dottrina che doveva dominare incontrastata per tanti secoli nell' Occidente.

SUL LIBRO SLAVO DI ENOCH

(Atti della R. Accademia di Scienze Morali e Pol. di Napoli) 1897.

§ 1.

Alla nostra Accademia, cui è stato riconosciuto il merito di essere uno dei pochi centri scientifici in Italia che non disdegni di trattare argomenti attinenti alla storia e alla letteratura religiosa con quella serena e reverente libertà spirituale che s'addice alla sua tradizione scientifica e alla natura di tanto soggetto, la consorella Accademia straniera, di Gottinga, fra le altre pregevoli pubblicazioni sue, ha offerta, non è molto, una notevole Memoria del Prof. Bonwetsch, ben noto ai cultori degli studi teologici e della letteratura cristiana. Contiene essa la versione tedesca d'un antico libro giudaico dell'età cristiana, intitolato Libro di Enoch o Libro dei segreti di Enoch; il quale, conservato soltanto in un'antica traduzione slava, era fino ad ora accessibile solo a pochissimi, e come ignoto e inservibile alla critica. Dalla tradizione della chiesa slava e dai documenti da essa conservativi, la critica ha derivata negli ultimi anni non poca luce per gli studi dell'antica letteratura cristiana; non minore, per fermo, di quella venuta dalla tradizione della chiesa copta e della chiesa siriaca. Ed è lecito sperarne ancora nuovi aiuti; poichè è facile intendere che, per la mediazione

bizantina, dovettero penetrare nella chiesa slava già ab antico scritti dei primi secoli cristiani, anche dell'età pre-nicena, i cui originali andarono col tempo perduti nell'occidente. A questa fonte dobbiamo ad es. l'aver recuperate di recente alcune parti dello scritto d' Ippolito De Antichristo, gli scritti di Metodio d'Olimpio, pubblicati testè dal Bonwetsch medesimo, e molte altre versioni di scritture giudaiche e giudaico-cristiane venute in luce negli altimi anni. Una diligente enumerazione di antiche versioni slave di scritti cristiani, conservate nelle poco note e poco esplorate biblioteche di Russia, che il Bonwetsch altrove ha pubblicata,1 ci attesta quanto sia ricco il materiale che ancora può fornire la tradizione della chiesa slava alla storia e alla critica scientifica.

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Nè egli è stato veramente il solo cui si debba esser grati per aver portato a cognizione dei dotti, mediante la versione tedesca, l'antico documento. Quasi contemporaneamente o poco prima, ma, certo, indipendentemente da questa, apparve nell'anno scorso, una versione inglese dello stesso testo per cura del Morfill e del Charles d'Oxford, provveduta anch'essa d'una dotta introduzione e di copiose note ed indici. La quale però non scema pregio ed utilità alla versione germanica. Poichè, oltre al vantaggio che viene alla critica dal poter confrontare il testo inglese e il tedesco, la versione del Bonwetsch, a differenza dell' inglese, presenta separatamente le due redazioni del testo slavo su cui la traduzione è condotta; l'una, edita dal già Popov nel 1880 di su un codice della Russia meridionale del 1679, molto più estesa dell' altra, che il Novakovic

1 Vedi in Harnack, Geschichte der altchristlichen Literatur, I, 2, p. 886-917, 1993.

2 The Book of the secrets of Enoch, translated from the Slavonic by W. R. Morfill and edited by R. H. Charles. Oxford, 1886; cfr. anche la recensione del Bonwetsch nella Theologische Literaturzeitung, 1896, n. 9.

pubblicò secondo un manoscritto serbo del sec. XVI, nel 1884. Per questa seconda recensione il Bonwetsch ha potuto confrontare anche un manoscritto viennese. Ora la redazione più breve appare in generale come una derivazione dall' altra; ma ha poi un valore suo proprio, perchè il suo originale differisce notevolmente dalla recensione più estesa; e l'editore tedesco ha quindi saviamente reputato opportuno di riprodurla a piè di questa. D'altronde l'edizione inglese che noi abbiamo tenuta dinanzi scrivendo di questa tedesca ha il vantaggio che le deriva dall'aver potuto gli editori suoi valersi del manoscritto preparato per una nuova edizione del testo slavo (non ancora, per quanto so, venuta in luce) dal professore Sokolov di Mosca e da lui condotta su altri codici. Così possiamo dire che le due edizioni, inglese e tedesca, si completano a vicenda; e lo studioso, mediante il loro confronto, ha modo di farsi una idea criticamente più sicura del documento originale.

Il quale non è da confondersi col già noto libro di Enoch, citato da uno scritto del nuovo Testamento, la lettera di Giuda. Codesto libro, conservato solo in una traduzione etiopica, era già conosciuto dalla critica fin da quando nel 1853 il Dillmann ne dette una versione tedesca, alla quale poi ne seguirono altre fino alle recenti inglesi dello Schobbe (1882) e del Charles medesimo (The Book of Enoch, Oxford 1893), prima che nel codice di Akhmim in Egitto, scoperto dal Bouriant della missione archeologica francese nel 1892, si potessero recuperare due lunghi frammenti dell' originale greco. Ed era noto altresì che codesta Apocalissi dell'Enoch etiopico appartiene a quella ricca letteratura giudaica alessandrina, accolta e in parte rielaborata dalla cristianità, alla quale dobbiamo il Siracide, il libro di Giuditta, di Tobia, le aggiunte al libro di Esther e di Daniele, l'apocalisse di Baruch, il libro della Sa

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