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pienza e i Salmi di Salomone, l'Apocalisse di Esdra, il 3o e il 4o dei Maccabei, il Testamento dei Dodici Patriarchi, e alcune parti degli Oracoli Sibillini.

Che una parentela dovesse correre fra il noto Enoch etiopico e il nuovo Enoch slavo, era facile e naturale il pensare. Ma in quali termini possa criticamente definirsi, è argomento meritevole di studio, e questione che solo nuove e diligenti ricerche potranno avviare ad una risoluzione sicura.

§ 2.

Ora la contenenza del nuovo libro slavo di Enoch può raccogliersi in brevi tratti così. Il libro che s'annunzia come una visione di Enoch, figlio di Ared, dell'uomo saggio e devoto di Dio, è diviso in tre parti. Dopo una breve introduzione (c. 1), Enoch racconta ai suoi figli la sua ascensione per i sette cieli (c. 2-21). Levato sull' ali di due angeli a tant'altezza, narra estesamente quello che in ciascuno di quei cieli ha veduto. Per tutta questa parte l'analogia coll' Enoch etiopico è manifesta e incontestabile. Ma la stessa materia è trattata più liberamente e sopra un nuovo disegno. Manca all'Enoch etiopico lo schema dei sette cieli, e la distribuzione della materia della visione ad essi corrispondente, come apparisce nel nuovo testo slavo. Nel quale è notevole che il terzo cielo racchiuda il luogo del Paradiso (c. 8), donde, di mezzo alle delizie, è lecito al Patriarca vedere da lungi i luoghi spaventosi degli Inferi, come nell' Apocalisse cristiana di Pietro che gli editori inglesi ingiustamente dimenticano di addurre. Questo particolare fa naturalmente correre il pensiero al famoso luogo della seconda ai Corinti, (12, 2-4): salvochè Paolo dice d'essere stato rapito dal terzo cielo al Paradiso, lasciando così supporre che

questo sia per lui al di sopra del terzo cielo, non entro in termini di esso, come è detto chiaramente nel libro di Enoch.

Una seconda parte è costituita dai seguenti sedici capitoli (c. 22-38). Enoch si trova oramai faccia a faccia di Dio. Abbandonato dagli angeli, come Dante. da Beatrice, nella presenza terribile del Signore, depone i suoi vestimenti terreni, per rivestirsi di una spoglia lucente e celestiale. Ed ecco che Dio gli rivela il mistero e il processo della creazione e tutta la storia del genere umano fino ai suoi giorni. Il qual racconto della creazione è esemplato sostanzialmente su quello mosaico, non senza notevoli aggiunte e decorazioni ed arabeschi fantastici che sanno fortemente di gnostico. La storia umana termina coll' annunzio del giudizio finale e della punizione che Dio infliggerà agli uomini per l'idolatria e l'incontinenza in cui son caduti. Accolta che Enoch ha questa rivelazione, egli vien ricondotto sulla terra. E quivi, nell' ultima parte del libro, (la quale corre per ben ventisette capitoli, c. 39-66) ed ha un carattere essenzialmente parenetico, Enoch ammonisce i suoi figli ammaestrandoli nella virtù e nel timore di Dio, ed accennando alla grazia da lui concessagli di scrivere delle divine rivelazioni nei numerosi suoi libri, (trecentosessantasei) ad edificazione degli uomini. A questa parte che ha non dubbi rapporti col libro del Siracide, e si discosta, non meno della precedente, dall' Enoch etiopico, segue un breve cenno dell' assunzione finale di Enoch nel cielo; e così dopo un breve sguardo retrospettivo alla vita di lui (c. 68), ha termine il mirabile apocrifo.

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Sulla cui importanza, sul luogo che gli spetta nella storia della letteratura giudaico-cristiana, e sull'eta

a cui più probabilmente può riportarsi, la critica si è già pronunziata con sostanziale consentimento di giudizi. Che l' originale fosse una scrittura greca, non par lecito revocare in dubbio. Greci sono i nomi onde sono annoverati i pianeti: Kruno, Afrodite, Ares, Elios, Zeus, Hermes, (Luna) 30, (3); e grecamente, come hanno ben dimostrato gli editori inglesi, viene spiegato il nome di Adam (c. 30, 13), quasi un acrostico dei nomi greci delle quattro regioni del cielo, ανατολή δύσις, ἄρκτος, μεσημβρία: interpretazione questa, che si ritrova nei due scritti del Pseudocipriano De Pascha computus (c. 4) e De montibus Sina et Sion (c. 16) addotti dall' Harnack. E ne è poi conferma l'uso che vi è fatto della versione greca dei Settanta e del libro di Sirach; mentre l'opinione del Charles che una parte del libro fosse scritta in ebraico, poggia tutta sul presupposto, non dimostrato, che il Testamento dei dodici Patriarchi, squisita scrittura le cui relazioni col nostro Enoch sono incontestabili, fosse originalmente redatta in ebraico.

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Se la lingua originale del testo si può così sicuramente determinare, non altrettanto è a dire dell'età e del luogo della sua origine; nel qual rispetto dobbiamo star contenti ad una certa approssimazione. Una serie di testimonianze, che è merito del Charles l'aver raccolte, dimostra che nei primi secoli dell' era cristiana era conosciuto un libro di Enoch, diverso certamente dall' etiopico e simile molto allo slavo. Se non che molte fra esse provano bensì la diffusione di alcune idee contenute nel libro, ma non già che questo fosse il solo o il primo in cui si trovavano. Alcuni luoghi, per vero dire (come un passo di Origine e due tratti dal Testamento dei XII Patriarchi) sembrano un vero

1 Harnack, Geschichte der altchr. Literatur, II, 1, p. 564. Leipzig, 1897.

e proprio riferimento al nostro libro. Ma convengo collo Schürer 1 che formule come queste: avérvov rap ἐν βίβλῳ Ενώχ τοῦ δικαίου, ἀνέγνων ἐν γραφῇ ἁγίᾳ Ενώχ ε simili, anche facendo ragione di una certa affinità nella materia dei luoghi corrispondenti, non escludono la possibilità d' un' allusione ad uno scritto pseudonimo di Enoch diverso anche dal nostro, ovvero ad un'altra recensione di questo. Occorrerebbe l' esatta rispondenza letterale perchè si potesse parlare di vera e propria citazione. E se poniamo mente a questo fatto, che oggi possediamo due libri pseudoepigrafi diversi portanti quel nome di Enoch, siamo indotti a pensare che un considerevole numero di libri apocrifi nei primi secoli cristiani andasse sotto il nome dell' antico patriarca, oltre i due a noi noti, forse derivanti tutti da una fonte o da un fondo comune, e che alla loro materia generalmente possono ben riferirsi le allusioni ad Enoch, ora menzionate.

Ma la questione cronologica è strettamente connessa con quella dello spirito e del carattere del libro. e delle tendenze del suo autore. Il quale è, secondo ogni probabilità, un giudeo ellenista. Nella parte parenetica del libro alita, è vero, uno spirito evangelico che le distingue dalle parti analoghe dell' Enoch etiopico. Alcuni luoghi ricordano a prima vista il Nuovo Testamento; e segnatamente il cap. 49, 1, 2 dove si legge : « io non giuro con alcun giuramento, nè per il cielo, nè per la terra, nè per alcun'altra creatura di Dio.... se fra gli umani non vi è verità, giurate colle parole sì sì, o no, no », dove vien fatto naturalmente di pensare al parallelo sinottico di Matteo 5, 34. Ma non si tratta qui e altrove se non di paralleli, che

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1 Schürer, Theolog. Literaturzeitung, 1896, N. 13, p. 349.
2 Cfr. Lods in Revue de l'histoire des religions, Nov., 1896,

p. 393, e Schürer, Theolog. Literaturzeit. ib. p. 349.

possono ben derivare da una comune tradizione di provenienza giudaica. E in ogni modo rimarrebbe sempre la possibilità d'aver qui uno scritto originariamente giudaico, interpolato da cristiani, secondo è avvenuto dell' Enoch etiopico, e dovrebbe anche pensarsi dell'Apocalisse di Giovanni, ammessa l'ipotesi del Vischer, e delle Lettere di Iacopo e del Pastore di Erma (molto simili al nostro Enoch), se dovesse accogliersi ora l'opinione dello Spitta; e come è del resto avve. nuto generalmente di molti altri documenti della letteratura apocalittica giudaica, accettata dalla cristianità. Ma codeste aggiunte cristiane, se mai, sarebbero di ben poco conto. E il vero è che l'autore non può dirsi un cristiano; perchè non tradisce mai credenze specificatamente cristiane, e invece mantiene opinioni e tradizioni schiettamente giudaiche. Egli parla più volte della venuta gloriosa di Dio, non mai dell' арраrizione d'un Cristo. Raccomanda vivamente l'osservanza precisa della legge, e sopratutto riconosce l'efficacia salutare dei sacrifici cruenti, e talora li raccomanda (c. 59, 1; 45; 61, 4 62, 1, e altrove); il che prova altresì che dovette essere scritto avanti la distruzione del Tempio (a. 70 d. C.), poichè, come è noto, non era lecito ad Israele immolare olocausti se non in Gerusasalemme.

Ma lo squisito aroma religioso e morale che esala da queste pagine, accettabile pienamente da un cristiano, ci fa sentire prossimo o già apparso il sole del cristianesimo nel mondo; e ci suggerisce spontanea la conclusione che l'autore sia un giudeo vivente all' ètà di Cristo, un giudeo ellenista, imbevuto, al modo di Filone, di quello spirito di sincretismo filosofico e religioso che dominava nella Diaspora giudaica dell'èra cristiana. Potremmo anzi aggiungere essere egli probabilmente un giudeo alessandrino; poichè dalla mitologia egizia sembrano essergli derivate le immagini di

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