Slike stranica
PDF
ePub

sioni nelle quali Gesù mostra ancora di aderire al Giudaismo (Matt. 5, 17; 10, 6; 24), alcune delle quali risalgono certo a lui, perchè la mancanza di esse nei luoghi paralleli degli altri due evangeli apparisce come una omissione intenzionale. Ma l'insieme della composizione di Matteo è così artificioso e così dominato nella disposizione della materia da una specie di simbolismo numerico, da far pensare piuttosto ad un lavoro riflesso che ad un'opera primitiva.

Non soltanto al vero principio della storia evangelica che in Marco è l'apparire di Giovanni il Battista (1, 1-4), precede in Matteo una narrazione dominata dallo spirito della generazione posteriore, ma fin dal principio della storia di Gesù vi apparisce il proposito di presentare nel sermone della montagna, che manifestamente è messo troppo al principio, come uno schema anticipato di tutti i miracoli e gli atti in Gesù che seguono nella narrazione; permodochè dal primo evangelio non si può raccogliere un'idea del processo e dello svolgimento della storia di Gesù.

1

Invece il secondo evangelio presenta i caratteri d'una composizione primitiva, o almeno più vicina alle origini. Se accanto alla serie delle singole narrazioni di Marco, si mette da un lato quella di Matteo, e dall'altro quella di Luca, si può dimostrare punto per punto come ognuna di queste due ultime suppone quella come narrazione originaria. Al che si aggiunge che nella maggior parte dei casi la forma della narrazione di Marco apparisce come quella da cui si sono sviluppate le altre due parallele. Le ricerche, delle quali in queste parole annunziamo i resultati, condussero quindi necessariamente a questa per

1 Per la dimostrazione si veda fra tutti l' HOLTZMANN Einleitung in das N. T., 2 ed. p. 367 ss. Hand-commentar a p. 7, ss. B. WEISS, Leben Jesu, I, 44 ss. e il PFLEIDERER Das Urchristenthum, p. 359-416, che però ammette Luca anteriore a Matteo, e più di recente BARTH, Die Hauptprobleme des Lebens Jesu, Gülersloh. 1899.

suasione; che il testo dei sinottici abbia come la sua comune radice nel testo di Marco, o in quel Marco primitivo da cui è direttamente provenuto il secondo evangelio; e che perciò il piano primitivo della narrazione della vita di Gesù ci sia stato conservato soin esso. F realmente le grandi epoche e i grandi movi menti dell'azione di Gesù nella Galilea appariscono chiaramente soltanto in Marco; e, con questo alla mano, noi possiamo seguire assai meglio i momenti vitali e decisivi dell' opera sua, come il progresso della sua predicazione. Questi resultati della critica interna sono del resto mirabilmente confermati dalla testimonianza di Papia, che nel frammento più volte citato, sull'autorità d'un testimone anche più antico, ci parla di un' opera di Marco risalente già all'età apostolica, nella quale questi avrebbe registrate parole e opere di Gesù secondo i ricordi ch'egli ne aveva raccolti dalla bocca di Pietro, e poi scritti a memoria. Senza dubbio la composizione che ne uscì non poteva avere un ordine preciso, e Papia stesso lo attesta (ob tást). Ma è naturale anche che vi fossero ritratte, secondo la testimonianza personale e diretta di Pietro, le epoche principali della vita di Gesù, come vi si possono ancora riconoscere. Dapprima l'apparire del Battista nel deserto di Giudea. e il battesimo di Gesù, la sua prima predicazione al lago di Genezaret, la vocazione dei primi discepoli, la crescente importanza della sua predicazione galilea, e insieme l'aggravarsi dei segni d'ostilità, l'affermazione, dapprima incerta poi sempre più decisa, della sua natura messianica, l' ultimo tentativo di Gerusalemme, la crisi finale, la catastrofe. E questa evidenza nelle parti della composizione si unisce in Marco colla semplicità, efficacia e brevità della narrazione, scevra quasi del tutto da quel colorito allegorico che domina in Matteo; caratteri che sono generalmente propri dei

prodotti primitivi. Il che anche ci spiega come l' antichissimo frammento evangelico del papiro viennese, di cui sopra parlammo, sebbene più antico del testo di Marco e di Matteo, si avvicini però, secondo che tutti riconoscono, molto più a quello che a questi.

1

Così, dunque, da un lato una primitiva scrittura ebraica contenente una raccolta di detti del Signore, ben presto andata perduta, e dall' altro l'evangelio di Marco per la parte narrativa, sono le due fonti primitive da cui sembra esser provenuta la materia che costituisce il contenuto del primo evangelio, scrittura derivata e secondaria, la quale aprì la via all' opera del terzo e del quarto evangelista.

III.

Non si può dubitare che questo consenso sostanziale della critica odierna nei resultati principali intorno alla origine e alla composizione degli evangeli, non giovi a ricomporre, con quello che in essi apparisce di più immediato e di più antico, le linee più essenziali ed originali che la solenne figura storica di Gesù, pur veduta dai biografi odierni da punti di luce così diversi, presenta più e men chiare a tutti. In secondo luogo codesti resultati pongono in grado di ricercare con maggior fiducia quali appariscano dalla narrazione evangelica nel suo fondo primitivo, i momenti vitali e decisivi nell'opera di lui, per ognuno a cui sembra lecito il credere che nella coscienza umana del Maestro di Galilea ci sia stato un progressivo elevarsi verso una idea sempre più chiara della sua missione; il ricercare insomma che cosa fu Gesù, e come divenne quello che fu. Ma

1 V. i miei Studii d'antica Lett. crist., p. 7, ss.

poichè a tentar solo questa impresa terribile occorrerebbe un'opera non meno vasta di quella dell' Edersheim o del Padre Didon, a noi conviene limitarci qui a lumeggiare i tratti che si rilevano più distinti dal fondo storico su cui si disegna questa sovrana incomparabile figura.

Paolo ha detto: « Se alcuno è in Cristo, diviene creatura nuova; le cose antiche passarono: ecco, tutte le cose si sono rinnovate» (I Cor., 5,17). Questa che è verità storica incontestabile pel cristianesimo, come Paolo lo intendeva e lo predicava, deve avere la ragione prima nella natura del suo fondatore. Il quale è, senza dubbio, il più gran nome della storia. Ve ne sono altri che si ammirano; ma nessuno è degno al pari di questo di essere amato e adorato nel senso più alto, più intimo, più spirituale di questa parola. Dopo quasi due mila anni, questa di Gesù di Nazareth è la più viva, la più efficace figura della storia, e bene a lui si può applicare quello che egli diceva di Giovanni il Battista « prima di lui, i profeti, dopo di lui, il regno di Dio. » Niuno nè prima, nè dopo di lui gli si avvicina quanto all' efficacia universale e rigeneratrice della dottrina e dell'opera. Ma appunto perchè egli è come il centro della storia, a cui convergono e da cui ripartono, rinnovate, le grandi correnti ideali della storia umana, la critica storica, per misurarne giustamente la grandezza, deve chiedersi se e in qual misura possa considerarsi come il portatore d'una idea uscente da tutto un vasto moto di secoli e di civiltà, se e in qual senso sia l'espressione del tempo suo. Come la storia non s'intende senza di lui che ne è il centro, così egli non s'intende fuori della storia. Questa verità è stata più o meno sentita dai quattro biografi da cui togliamo occasione al nostro discorso, e ciascuno l'ha riconosciuta nel modo consentito dalle sue convinzioni e dal carattere del

suo lavoro. Mentre un largo sguardo alle condizioni del giudaismo all' età di Cristo, e un uso retrospettivo molto oculato e scientifico delle fonti talmudiche, ha persuaso l' Edersheim che principalmente nella dispersione giudaica occidentale, nel giudaismo ellenizzante si debba ricercare la preparazione positiva dell'evangelio, il domenicano francese non vede nella civiltà greco-romana e nel mondo giudaico altro che una preparazione a così dire negativa dell'opera di Gesù. In un modo analogo Sant' Agostino vedeva nella storia di Roma come indirettamente preparate le vie del Signore, all'opposto di ciò che pensavano i più antichi Padri greci, come Giustino il Martire che trovava in Platone un riflesso di Mosè, ed affermava che il Logos divino avesse parlato per bocca di Eraclito e di Socrate prima di rivelarsi in Gesù; come Clemente d'Alessandria, che diceva Platone essere un filosofo derivante dagli Ebrei. Ora è innegabile che la religione giudaica, dopo la età dei grandi profeti, fosse sempre più degenerata in un formalismo intransigente, sterile, angusto, più atto a difendere con ombrosa gelosia il passato della thora, che a conquistare, a rigenerare la umanità; troppo nazionale e giudaico per poter divenire legge di vita del genere umano. Ai precetti d' Hillel e di Schammai, per quanto prossimi e simili ai suoi, mancava, senza dubbio, quell' energia sovrana, quella potenza fecondatrice che ha la parola di Gesù. Nè si può d'altra parte non consentire che il politeismo pagano, come già tutte le religioni orientali, le forme della religione dei Misteri e tutti i culti che confluirono in Roma dopo Augusto, non avevano una parola di vita per l'anima, nè un fior di speranza spuntava da quella compagine oramai decrepita. Ed è vero altresì che la stessa filosofia antica era sterile, e incapace da sè a rinnovare il genere umano; che tutta le precettistica pratica di Zenone,

« PrethodnaNastavi »