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di Epicuro non avrebbe salvata l'umanità; che il sermone della montagna val più d'un manuale di Epitteto o d'un trattato di Seneca, che l'evangelio vale incomparabilmente più dei Commentari di Marc' Aurelio.

Ma il problema ha un'altra faccia, e questo lato negativo si salda, per così dire, a un lato positivo. Il cristianesimo se non è una fioritura del giudaismo, nè uno svolgimento del paganesimo, e nemmeno il punto d'incidenza, la resultante adeguata dell'uno e dell' altro, vien su da un concorso di motivi storici che si raccolgono e si fondono in unità mirabile già nella coscienza di Gesù, e poi in tutto quel movimento ideale e sociale che muove da lui. Una delle prime parole di lui, nell'evangelio di Marco (1, 15), nè il Didon dimentica di notarlo, è quella che il tempo era compiuto, che era giunta la « pienezza dei tempi », e che chi lo aveva preceduto aveva « preparato le vie del Signore. » Accanto al giudaismo ufficiale e farisaico c'era difatti nella coscienza e nella storia di questo popolo una corrente viva di speranze, un' attesa ardente d'un rinnovamento religioso e morale, che, scaturita dal profetismo antico, si era venuta accrescendo e determinando nel giudaismo degli ultimi tempi dopo l'età dei Maccabei, in mezzo alle dure prove, e alla oppressione della dinastia idumea e della conquista romana. Questa specie di prospettiva religiosa della coscienza d'Israele che metteva l'età dell'oro non nel passato come i popoli classici, ma nell'avvenire sperato, aveva trovato la sua espressione nell' haggada giudaica, e aveva fatta sentire la concitata sua voce, prima dell' era volgare, in tutta la letteratura apocalittica e sibillina, dal libro di Daniele fino al libro di Henoch, ai così detti salmi di Salomone e alla Sibilla giudaica, e si era sopratutto affermata nell' Essenismo, in opposizione al culto del tempio, e al cerimoniale levitico di

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Gerusalemme. Ora insieme a quell'impeto di speranza e a quel getto esuberante d'ispirazione agitata che vi prevaleva, e che sentiamo vibrare così intensa all' età di Gesù nella predicazione di Giovanni il Battista, nelle parole profetiche di Elisabetta e di Zaccaria, e nel canto fatidico di saluto di Auna e di Simeone al venuto Messia, c'era, come oggi si riconosce, una tendenza ad una interpretazione trascendente del messianismo antico, sempre più elevata e spirituale. Non più la distruzione dei nemici d' Israele, la restaurazione del regno di David s'aspetta e si spera, ma piuttosto un' êra nuova che si contrappone sempre più alle miserie della età presente; alla Gerusalemme terrena sottentra una nuova Gerusalemme celeste, alla speranza del ritorno alla gloria e alla grandezza antica il sogno di cieli nuovi e terre nuove. Ora chi pensi come tutta questa produzione apocalittica scaturisce dal fondo dell' anima popolare, non tarda a riconoscere come di fronte all'intollerante Mosaismo farisaico, alla casuistica dei conservatori fanatici della legge antica si fosse formata quella corrente più liberale, più larga, più viva che fu uno dei più intimi coefficienti del cristianesimo fino dalle origini sue, e che a quest' aspetto religioso dell'attesa messianica soprattutto si colleghi il pensiero e l'opera del suo fondatore. Senza questo fermento vivace degli animi non s'intende nè si spiega il cristianesimo nelle origini sue; e male si è applicato al

1 HENOCH, 89, 32 (ed. Hemming e Radermacher, Leipzig, 1901, p. 12) Ps. Salom. 1, 8; 2, 3; 8, 12, 26 Assumptio Mosis 7. JOSEPH, Antiq. III, 8, 9. LUCIUS, Der Essenismus 1881, p. 75, s 109 s. SCHÜRER, Gesch. d. Volks. Israel II, 3, ed. 1898, p. 496 ss. Baldensperger, Das Selbstbewusstsein Jesu, 44 s. HARNACK, Dogmengesch. I, 3, ed. 1894, p. 95 ss.

2 Che il cantico del Magnificat nell' evangelio di Luca sia posto in bocca ad Elisabetta anzichè a Maria, resulta assai probabile dalle ricerche dell' HARNACK Sitzungebr. d. Berl. Akademie 1900, p. 538 ss. cf. in Zeitschrift für Neutest. Wissenschaft 1901, I, p. 53.

l'opera di Gesù il detto del secondo d'Isaia (53, 2) egli è cresciuto come una pianta da un terreno arido. » 1

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Se non si può parlare col Renan di un cristianesimo prima di Cristo in Israele, nemmeno, dunque, si deve insistere troppo sul particolarismo giudaico come fa il Baur. L'idea che vi è qualche cosa al mondo di superiore alla patria, alla stirpe, alla legge era già accennata spesso dagli antichi profeti, e si era fatta più viva nel giudaismo degli ultimi tempi preparando l'universalità dell' evangelio. E d'altra parte condizione storica alla diffusione di questo fu anche la dispersione (diaspora) giudaica su tutto il littorale del Mediterraneo, l'uso della lingua greca che i giudei adottarono fuori della Palestina preparando le vie alla predicazione cristiana. I giudei della dispersione occidentale e soprattutto il giudaismo ellenizzante furono, prima e dopo l'era volgare, il tramite ideale e reale fra Gerusalemme e Roma, fra l' Oriente e l'Occidente, e il giudaismo stesso preparò il terreno e diresse la conquista dell' evangelio; perchè la formazione storica dei dogmi cristiani comincia prima di Gesù e continua dopo di lui.

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Ma questa diffusione giudaica dipendeva alla sua volta da due grandi coefficienti della propagazione cristiana, cioè l'universalità della cultura ellenica, e della politica e della conquista romana. Non la religione, ma la filosofia ellenica portava in sè il germe della universalità umana, soprattutto nell' idealità quasi religiosa del Platonismo, e nel cosmopolitismo etico de

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STAPFER, La Palestine aux temps de J. C. 1886, p. 462.

2 L'importanza dell'ellenismo alessandrino, come preparazione alla formazione storica del dogma cristiano è stata principalmente messa in rilievo negli ultimi anni dall' HARNACK, Lehrbuch d. Dogmengesch. I, 1894, p. 103, ss.

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gli stoici. Chi anche non volesse riconoscere il valore di quel mirabile e progressivo raffinamento di coscienza morale che conduce lo stoicismo in tanti punti speciali così vicino al cristianesimo, Seneca, quest' anima naturaliter christiana, così vicino a Paolo, e già prima Filone Alessandrino, in molte intuizioni morali così prossimo a Gesù, non può almeno generalmente negare che tanto movimento d' idee, diffuse per mille vie, non penetrasse in qualche modo nell' ambiente cristiano e ne preparasse a poco a poco la trasformazione. Certo tutta la sapienza greca non avrebbe rigenerata l'umanità: ma ci erà il fermento che preludeva e preparava codesta rigenerazione. Se mancava la vita, c'era per lo meno il desiderio, il bisogno della vita, non soltanto l'esaurimento e la decrepitezza. E questa infusione d'una nuova vita spirituale non avrebbe poi potuto operarsi senza che le vie strategiche della conquista romana non le avessero aperto e segnato il cammino. Fra queste due opposte istruzioni ai discepoli che il primo evangelista pone in bocca a Gesù: « Non andate ai Gentili.... ma piuttosto alle pecore perdute delle casa d'Israele » (Matt., 10, 5), e l'altra: « Andate e insegnate a tutte le genti» (Matt., 28, 19) certo quest'ultima risponde meglio alla potenzialità iniziale del suo insegnamento; ma già suppone la persuasione che l'aquila romana abbia preparata la via alla croce, a questo simbolo che parve scandalo ai giudei, e stoltezza ai greci.

Ora questo ci fa sentire come non basti il ricercare da quale concorso di coefficienti giudaici e grecoromani si svolse il cristianesimo, e quale fu il processo di codesto svolgimento; ma come importi risalire alla coscienza primitiva di Gesù, punto di partenza dell'evangelio e dell'età nuova, quale apparisce specialmente nelle parti più antiche dei Sinottici; e vedere in qual misura l'elemento giudaico ed ellenico si asso

ciano e si fondono in una utilità nuova nelle profondità misteriose della sua natura.

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Se noi tentiamo di accostarci, quanto è possibile, ad essa, attraverso l'involucro religioso della narrazione evangelica, da quel che d'indistinto che ha la sua dottrina ed è una delle ragioni della sua efficacia popolare, (perchè senza l'incerto non vi è fede, e senza fede non vi è azione) un tratto essenziale si rileva subito; ed è l'idea nuova che egli porta della divinità e delle relazioni di essa coll' uomo. Certo, i resti della origine e della sua educazione giudaica s'incontrano ad ogni passo nell'opera sua. Nelle parti più storiche degli evangeli egli mostra di partecipare alle credenze del suo popolo; interpreta l'Antico Testamento al modo dei suoi contemporanei (Matt., 22, 31); crede alla presenza degli spiriti maligni negli ossessi; si dichiara talora fedele all' osservanza della legge; conserva talora all' idea messianica ed al regno di Dio un senso giudaico e apocalittico, specialmente nei discorsi escatologici, al quale si collega l' espressione di « figliuol dell'uomo », che verrà come giudice e re nella potenza e nella gloria; talora sembra circoscrivere l'opera sua alla casa d'Israele; e rimane sempre un giudeo osservante fino alla vigilia della morte, in cui celebra la Pasqua coi suoi discepoli. Nello stesso sermone della montagna, uno dei frammenti più antichi e primitivi, parla sempre in tono di futuro: « erediteranno la terra » « saranno saziati », e fino dal principio la predicazione dell' evangelio s' annunzia, come una imitazione di Giovanni, con queste parole: « il regno di Dio

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1 Così questo cenno potrà servire di risposta alla osservazione fattami dal RÉVILLE, Revue de l'hist. des Religions, 1888, p. 357 a proposito del mio scritto sulle Idee millenarie dei Cristiani, cioè che io vi aveva lasciato volontariamente la parte più delicata del mio studio, cioè le idee messianiche di Gesù.

2 Cfr. anche Matth. 5, 29; 6, 10, 33; 19, 3. Luc. 12. 32.

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