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Ora s'intende come dal concetto della paternità divina scaturisce tutto un nuovo ordine d'idee; la salute non derivata dalla osservanza puntuale e formale della legge, dalla casuistica farisaica, dalla pratica esterna delle opere; ma dalla fede intima, dalla adorazione di Dio in spirito e verità. L' Iahveh mosaico austero legislatore, era come un creditore inesorabile. Il Dio che annunzia egli, rimette i debiti, è quei che volentier perdona, perchè è padre: e nel momento supremo in cui si sente più vicino al Padre celeste, ei perdona anche ai suoi nemici. Come alcuni degli antichi profeti, tra i quali il secondo Isaia, avevano levata talora la voce contro i sacrifici cruenti e le pratiche del culto, così agli stessi contemporanei del nuovo maestro di Nazareth, e ai greci medesimi, specie ai platonici' non era ignoto questo nome dato a Dio; ma egli solo ne seppe far sentire il significato dolce e profondo. Ora il padre non s'appaga di quello che basta al legislatore, cioè l'osservanza esterna della legge, ma vuole l'intima purità dell' animo. Come la sede del male è, perciò, non nella violazione formale d'una legge, ma s'annida nel segreto del cuore, e l'adulterio vero, il furto, l'omicidio, ogni peccato, si compie in esso, così il bene sta principalmente nella volontà buona, nella purezza dell' animo; la preghiera segreta e silenziosa ha più efficacia dell'ostentata devozione del Fariseo, l'obolo della vedova val più della copiosa ma facile elemosina del ricco. Idea, anche questa, già espressa dai filosofi greci, segnatamente da alcuni platonici e da quasi tutti gli stoici, ma portata da Gesù in un organismo nuovo di dottrina e di azione.

1 Rimando su questo punto al bel libro dell' HATCH The Influence of Greek Ideas ant Usages upon the Chr. Church. London, 1891, spec. p. 238 ss.

Se non che il motivo fondamentale, l'idea autigiudaica della paternità divina, si associava ad una altra che era il segreto della sua azione popolare. L'efficacia di quella paternità divina si faceva sentire solo per la fede in lui, quale inviato da Dio, quale pienezza della sua rivelazione. In lui che sentiva di portare in sè il vero regno dei cieli, doveva credere chi avesse voluto parteciparvi; in lui il divino si congiungeva all' umano, il cielo cominciava a discendere sulla terra. Ora questa idea da cui si è svolta tutta la cristologia del quarto evangelio e fu il perno di tutta la dogmatica cristiana, aveva un senso più semplice, più personale alle origini, come appare dai Sinottici, e dava alla parola e alla persona del Galileo una forza fascinatrice e una serenità dolce e mansueta; la quale intonava bensì coll' incantevole paesaggio della Galilea, dipinto così vivamente anche dal padre Didon e colla semplicità dei suoi primi seguaci, ma urtava di fronte i pregiudizi e le spe ranze popolari nel Messia vindice e restauratore d'Israele. Ecco perchè dei tre appellativi che incontriamo negli evangeli figlio di David,» « figliuol dell' uomo, » <«< figlio di Dio,» il secondo è più frequentemente accettato e adoprato da Gesù. Io non posso qui fermarmi a discutere le interpretazioni che la critica moderna ha dato a questo nome (víòs tõu àvpoлo), a comincare dal Baur venendo fino al Baldensperger e ora all' Holsten'; ma è fuor di dubbio che mentre negli evangeli Gesù respinge, o almeno si mostra diffidente verso il nome essenzialmente politico di figlio di David dato al Messia, e mentre accetta l'ap

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BALDENSPERGER, op. cit., p. 130 ss. HOLSTEN Zeitschrift für wiss. Theol. 34, I, 1901, p. 1-79, che ha riassunto tutto quello che è stato detto su questa così controversa questione.

2 Vedi Marc. 12, 35. Quanto alla reale discendenza davidica di Gesù, negata recisamente dal VOLKMAR, Jes. Naz., p. 33, è da ve

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pellativo di figliuolo di Dio nello stesso senso che nell'antico Testamento viene esteso anche al popolo di Israele, la parola « figliuol dell' uomo, » proveniente dal libro di Daniele (7, 12), è da lui adoprata talora con lo stesso significato apocalittico di giudice finale, ma più di frequente, e nei momenti della sua più dolce effusione, con un senso di umiltà e di mansuetudine, non senza un presentimento delle sue sorti future. Ora a lui certo non sfuggiva come questo senso di mansuetudine e di passione che egli vi introduceva, lo distaccava risolutamente dalla fede del suo popolo. Lo aveva, anzi, già sentito in quel periodo di lotta interna, nella solitudine del raccoglimento e della preghiera, che la coscienza religiosa ha rappresentata intuitivamente nelle tentazioni del deserto. Da questa dura prova era uscito rinunziando alle credenze tradizionali ed elevandosi all' idea pura e spirituale del regno di Dio; ma vinta la lotta con sè stesso, gli rimaneva da superare quella più difficile colle credenze messianiche del suo popolo, allora ravvivate dallo spirito di ribellione contro Roma. Poichè egli non era nè un ribelle patriotta come Giuda il Gaulonite e i Maccabei, nè un semplice riformatore del Rabbinismo ufficiale come il mite Hillel, col quale ha d'altronde tanti punti di contatto, e nemmeno un anacoreta come gli Esseni, o un animo apocalittico come quel Battista, la cui voce chiamante a penitenza nel deserto di Giudea, fu la sola che dal mondo giu

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dersi invece il KEIM, Leben Jesu, II, p. 347. Certo la tradizione risale fino a Paolo e alla Apocalisse; ed anche da Giovanni (6 42) apparisce che la famiglia di lui non fosse sconosciuta a Gerusalemme.

1 Q. Mos. 4, 24; Jer. 31, 9.

2 Matt. 10, 23; 13, 41; 16, 27; 19, 28; 24, 37 ss. Act. 7, 56. Apoc. 1, 13; 14, 14. Joan. 5, 27.

3 Cfr. HOLTZMANN, art. Jesus Cristus in Lexikon für Theol. und Kirchenwesen, Leipzig, 1882, p. 3569.

daico giunse a lui nella pace operosa della natìa Nazareth, e lo trasse alla luce viva della vita pubblica.

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Chi non vuole ammettere, come fa il Didon nelle sue pagine su Giovanni, le più belle forse di tutta opera sua, che il Battista esercitasse un'azione su Gesù, nemmeno può ragionevolmente affermare un'influenza di questo su quello. Sono piuttosto due figure che si muovono nella stessa orbita religiosa, ma con moto opposto. Sono, per così dire, nella stessa linea ideale, e nessuna figura esprime meglio di quella di Giovanni come fossero vive le speranze messianiche ai tempi di Gesù, e il bisogno di scuotere il giogo del farisaismo ufficiale. Hanno in comune la lotta contro questo, e la predicazione di Gesù, come anche il Delff riconosce, non differisce sul principio da quella di Giovanni « fate penitenza, ravvedetevi » (Marc. 1, 15; Matt. 4, 17), e forse la prima opera di lui fu il battezzare al modo di Giovanni (Joan. 3, 22; 4, 1). Ma le loro nature non potrebbero esser più diverse l'una dall' altra; e questo basterebbe a dimostrare erronea l'ipotesi sostenuta da un recente critico tedesco, che Gesù non sia se non un secondo nome di Giovanni creduto resuscitato. Questa era bensì una opinione popolare molto diffusa ai tempi di Gesù (Marc. 8, 28), ma che ci dimostra quanto poco fosse generalmente compreso. Giovanni era davvero un nuovo Elia, un profeta risorto, come il popolo credeva, nel senso che la sua dottrina era un ritorno allo spirito dell'antico profetismo, colorito dall' Apocalittica e dall' Essenismo, col quale ha un' affinità manifesta. Gesù stesso sembra che l'abbia chiamato profeta (Matt. 11, 9).

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Giovanni sente ed annunzia che il popolo non è preparato alla venuta imminente del Messia e del regno

1 SACK, Die Altjüdische Religion, Berlin 1889, p. 429 ss. Cfr. SCHURER, Theolog. Literaturzeitung, 1890 n. 26, p. 647.

di Dio, e lo chiama quindi a penitenza; vuole, anche lui, come Gesù, un'intima purificazione degli animi, di cui è simbolo il lavacro esterno del battesimo. Ma il Messia che annuncia è ancora il Messia vendicatore e giudice, e questa chiamata alla penitenza suona in una parola veemente, impetuosa, austera come la figura di lui e come il deserto di Giudea in cui la sua voce e il suo grido potente si fa sentire come ruggito di leone. Nella solitudine della valle aspra del Giordano si affollano intorno a lui le turbe dei peccatori e dei penitenti; ma egli è e rimane, in mezzo alla moltitu dine, un rude anacoreta. Gesù invece, sebbene di tratto in tratto senta come il bisogno della solitudine e del raccoglimento, è sempre una natura dolce, serena, socievole, se ne togli, forse, le dure parole che rivolge ai suoi (Marc. 3, 32 s. Matt. 12, 46 s.), la cacciata dei profanatori dal tempio di Gerusalemme o la veemente invettiva nel c. XXIII, di Matteo. La voce di Giovanni scuote gli animi e fa tremare: quella di Gesù, è quasi sempre insinuante, persuasiva, serenatrice. E come egli si compiace di sedersi nelle riunioni di conviti e di convegni nuziali, così, in una delle più belle parabole, rassomiglia la sua chiamata al regno di Dio all'invito ad un geniale banchetto; e il regno di Dio raffigura in una serie di parabole e d'imagini deliziose, originali, che gli fioriscono sulla bocca, spiranti un senso vivo e fresco della natura e di quella vita semplice ed agreste che lo circonda, in mezzo alla qualc aveva trascorsi gli anni della sua silenziosa giovinezza. Egli è l'acqua viva che disseta nei secoli; è il buon pastore che raccoglie il gregge debole e disperso; è il seminatore che, escito per la sementa, sparge il buon seme, di cui parte cade sulle pietre, parte fra i triboli e le spine, parte sul buon terreno; è il mietitore

1 Marc. I, 35, 45; 6. 37. Matt. 14, 13. Luc. 6, 18.

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