Slike stranica
PDF
ePub

nell'atto della istituzione eucaristica, il momento meglio noto della sua vita perchè narrato da Paolo, nel quale il pathos sublime della sua anima che si sente tradita tocca il suo più alto segno, la sua figura atteggiata di pietà e di dolcezza si solleva sopra ogni altra uscita del mondo giudaico. Così fra l'austera natura cenobitica di Giovanni, e quella impetuosa e ribelle di Paolo, greco nel pensiero ma figlio d'Israele nell'anima, sta alta, solenne, e come pacata in suo contegno, ma inflessibile, la figura del maestro di Galilea; più mite di Hillel e più spirituale di Francesco d'Assisi, incomparabilmente più audace e più vivificante di Socrate.

IV.

Una così sublime temperanza di atti e di pensiero, richiama la mente se non a un contatto, almeno ad un'azione indiretta dello spirito e della cultura ellenica su lui, degna forse di essere considerata più di quello che non si vuole e non si suol fare dagli storici di Gesù. E non solo dai credenti fra essi, ai quali pure non dovrebbe ragionevolmente apparire irreverente lo scrutare tutta la potenzialità umana della sua coscienza veduta nella sua grandezza storica, ma anche dai razionalisti come il Renan. Chi vuole ricercare i precedenti storici della dottrina di Gesù, per meglio misurare la originalità creatrice di lui, non deve circoscriversi al mondo giudaico, e ricollegarlo solo ad Hillel o al Profetismo antico, o al messianismo apocalittico degli ultimi tempi, ma deve anche volgere lo sguardo all' ellenismo, e segnatamente a quell' ambiente che è idealmente più vicino a lui, il giudaismo ellenistico.

1

Nessuno può negare oramai che la filosofia ed anzi tutta la cultura greca dopo il sorgere dei più antichi cristiani d'Alessandria e dopo la Gnosi abbia efficacemente operato sulla teologia e sulla dogmatica del cristianesimo. Ma tutto induce anche a credere che già alcune di quelle idee, o elementi di quella cultura da cui attinsero così largamente Filone d' Alessandria ed altri molti in quell' età, fossero, o direttamente o per via indiretta, arrivate, anche prima, a Paolo, la cui patria, Tarso, era stata sempre un centro di filosofia greca, donde erano usciti sempre dei filosofi stoici, e poco distante dalla quale era nato lo stoico Crisippo, che fu per lo stoicismo quello che fu Paolo pel cristianesimo. Oltre di che Paolo coi suoi giovanili studi rabbinici doveva esser venuto a contatto, se non altro per ragione di polemica, con elementi di cultura straniera. Aveva anzi avuto maestro quel Gamaliele, al quale la cognizione del greco aveva meritato dei rimproveri; e dopo la sua conversione visse poi sempre fuori della Palestina, nelle città greche d'Antiochia, Efeso, Corinto, Tessalonica, Atene e così via. Si è spesso agitata la questione se e in qual grado lo stoicismo nel suo ultimo periodo, abbia accolti elementi ideali del cristianesimo, e quanto abbia sentita la efficacia di una dottrina, che gli era naturalmente così affine. Si son molto studiati, dopo il Baur, i rapporti personali e ideali fra Seneca e Paolo, e discusso anche negli ul timi anni, se sia lecito pensare ad un'azione del cristianesimo, per mezzo dell'apostolo dei gentili, sul pensiero di Seneca. Ma non si è quasi mai posto il pro

1 Non par già di sentire un pensiero di Paolo nelle parole di Crisippo presso Plutarco De repugn. stoic. c. 11: « La legge impedisce molte cose ai cattivi, ma nulla produce; poichè non può creare la rettitudine?

[ocr errors]

2 KREYHER, L. Annaeus Seneca und seine Beziehungen Zum Urchristenthum, Berlin, 1887.

blema inverso: se o in qual misura il cristianesimo stesso dei primi tempi possa aver avuti contatti colla dottrina la più popolare, la più diffusa fra le dottrine greche, anche nella dispersione giudaica, e se Paolo stesso potesse aver provato la efficacia delle dottrine. stoiche. E pure, non solo le lettere agli Ebrei, agli Efesi, ai Colossesi portano tracce assai chiare della filosofia alessandrina; non solo il sistema d' interpretazione allegorica che domina in Paolo accenna ad una influenza stoica, ma il discorso che l'autore degli Atti degli apostoli (17, 18 ss.) pone in bocca a Paolo in Atene, e che se non autentico, è per lo meno composto secondo lo spirito di lui, ha una intonazione profondamente stoica, ed una corrispondenza, anche letterale, col celebre inno di Cleante. Tanto meno poi parrà potersi consentire che al profeta di Galilea alla autodidatte di Nazareth, non fosse del tutto ignota nè la lingua nè la cultura greca; e lo negarono difatti risolutamente il Renan, il Keim e con essi ora anche l'Edersheim non però, almeno in parte, il Bonghi e il Delff. Ora la questione non sta nel vedere se il Nazareno avesse contatto immediato coll' Ellenismo (cosa molto difficile a pensarsi), ma se alcune delle idee, che, uscite dalla filosofia greca, circolavano allora largamente ed erano, per così dire, nell' aria, portate nella Palestina potessero penetrare in quell'ambiente dal quale egli, come uomo, trasse gli elementi o gl'im pulsi alla sua attività creatrice. Ora questa possibilità non si può ragionevolmente escludere se si pensi che quelle idee, già da due secoli, avevano varcati i confini del mondo greco, e per le infinite vie della cultu

2

1 WEIZSACKER, Das. Ap. Zeit. 1892, p. 87 segg. HOLTZMANN, Handcomm. p. 313, cfr. anche WEYGOLDT, Die Philos. der Stoa, 1883, p. 213. 2 KEIM, Die Gesch. Jesu, 1873, p. 109.

ra, e pei rapporti militari e commerciali filtravano in ogni parte; che i Giudei della dispersione, nella Siria, nell' Asia Minore, nell'Egitto erano, da molto tempo, per mezzo della lingua greca, entrati in rapporto collo spirito e colla cultura ellenica, che poi in mille occasioni potevano comunicare ai loro connazionali della Palestina. E già fino dall'età dei Seleucidi l'influsso dello spirito greco vi si era fatto sentire, anche prima che il tentativo d'Antioco Epifane d'ellenizzare il giudaismo ne avesse così accresciuta l'efficacia. Nè certo la reazione nazionale dei Maccabei valse a distruggere ogni traccia.

Ora, principalmente nel nord della Galilea, già da gran tempo, era penetrato questo elemento di vita ellenica. Anche durante la prevalenza dell'elemento giudaico, dopo il ritorno dall'esilio, la popolazione dei Gentili rimase in quel paese, nè cessò mai per la via del commercio di propagarvi i germi della cultura propria fino all'età di Gesù, quando l'opera di Erode il Grande e di Erode Antipa ne promosse anzi la diffusione. Attratti dalla fecondità del paese affluivano nella Galilea agricoltori di Siria, mercatanti fenici, giuriconsulti e gladiatori di Roma, oratori, artisti, citaredi della Grecia; i quali adopravano comunemente per intendersi la lingua greca. Sorsero ben presto castella, città abitate soprattutto da Gentili. A due ore da Nazareth, Seffori, che dapprima Erode Antipa aveva scelta a sua residenza, abitata specialmente da Greci; al sud-ovest del lago di Genezareth la sontuosa Tiberiade, costrutta nei primi anni di Cristo; al di là del Giordano tutte le città greche o ellenizzate della Decapoli; più al nord, Betsaida, Gamala e la sontuosa Cesarea di Filippo, veri centri di cultura ellenica. E già fino dall'età dei Profeti questa regione si chiamava << Galilea dei Gentili », da quando Isaia (8, 12; Matt. 4, 15) aveva detto « il paese di Zabulon e di Neftali,

ed il paese al di là del Giordano, la Galilea delle Genti. Il popolo che era nelle tenebre ha visto una gran luce ». 1

»

Una grande anima come quella di Gesù, a cui non giungeva l'angustia dei pregiudizi del suo popolo, non poteva rifuggire dall'entrare in rapporto coi Gentili, pel timore di contaminarsi al loro contatto. Già i Galilei, per questo rispetto, si contenevano con maggior libertà che gli altri Israeliti della Palestina: e per questa loro tendenza a mescolarsi coi Gentili erano, anzi, spregiati dai veri Giudei, pei quali era divenuto proverbiale il detto « dalla Galilea non sorse alcun profeta (Joan 7, 52), che applicavano a Gesù dicendo: « può egli venir qualche cosa di buono da Nazareth? » (Joan. 1, 47). Noi, è vero, non raccogliamo chiaramente dagli evangeli se l'idea d'aprire il regno di Dio ai non Israeliti fu espressa da lui, o almeno se intesa pienamente dai suoi seguaci. Mentre Luca e Giovanni 2 parlano dei rapporti di Gesù coi Samaritani, e della sua missione fra i Gentili, Marco e Matteo dicono che egli evitasse studiosamente la Samaria, che proibisse ai suoi d'andare fra i Samaritani e i Gentili, o, secondo la sua efficace imagine, di dare ciò che è santo ai cani. Ma poi troviamo in Matteo stesso, la guarigione consentita al Centurione di Capernaum (Matt. 8, 5, ss.), le due parole che egli dice agl' increduli d'Israele (Luc. 13, 28, s. 21, 43), e il comando finale ai suoi discepoli di predicare l'evangelio a tutte le genti (Marc. 16, 15; Matt. 24, 14); e vi troviamo che Gesù va a Betsaida, nella Decapoli, a Tiro e Sidone, a Cesarea.

3

1 Sull'elemento pagano nella Palestina all'età di Cristo. Cfr. SCHÜRER Gesch. d. Jud. Volks im Zeitalt. J. Chr. 3 ed. 1898, p. 26 ss. e anche COQUEREL, La Galilée, Paris, 1878, p. 27 ss.

2 Luc. 9, 52 ss. 10, 30 ss. 17, 11 ss. Joan. 4, 4 ss. 10, 16.

12, 20 ss.

3 Marc. 10, 1; 7, 25 ss. Matt. 19 1; 15, 21, ss.; 10, 5 ss. 23. 7, 6.

« PrethodnaNastavi »