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Il che fa pensare che quelle prime espressioni sieno penetrate negli evangeli come portato di quella corrente d'interpretazione restrittiva e giudaizzante, che resistè alla predicazione di Paolo, e si mantenne viva durante il primo secolo. O se si vuol credere che le due correnti, giudeo-cristiana ed ellenizzante, che si contesero poi il terreno della Chiesa, dovevano trovare nelle parole e nell'esempio di Gesù l'appiglio alla loro interpretazione, si può supporre che, nel primo periodo, egli avesse soprattutto diretta la sua predicazione al suo popolo, e che poi, sperimentatane la durezza e vedendo qual buon terreno invece offrissero al seme della sua parola i Gentili, da sè stesso avesse iniziata quella opera di predicazione universale che avrebbe poi affidata ai suoi discepoli. L'efficace parabola del Signore che invita dapprima a banchetto i suoi amici, e poi, rifiutatisi costoro, ordina ai servi di raccogliere e condurgli tutti coloro che trovassero per via (Matt. 22, 2), ha forse questo significato; e lo fa pensare anche il fatto che le due opposte istruzioni ai discepoli, di predicare l'evangelio solo ad Israele, e poi a tutte le genti, si trovano, quella al principio della narrazione evangelica (Matt. 10, 5), questa alla fine (28, 19). Ma è certo che quasi sempre vi erano fra i suoi ascoltatori dei pagani; e nel passo di Giuseppe Flavio (Antiq. 18, 4, 3) noi leggiamo che egli « attrasse intorno a sè molti Giudei e molti Greci ». Tutto quindi fa credere che l'idea grandiosa della universalità fosse la conseguenza dei principii annunziati da lui, e che ne indovinò profondamente il pensiero Paolo, predicando la unità del genere umano in Cristo (Gal. 3, 28), e forse prima di lui un altro ellenista, Stefano (Act. 6, 11).

Ma era anche naturale che egli sapesse e volesse trarre elementi o impulsi all'opera propria dalla cultura dei Gentili. Negli evangeli cita talora non il testo ebraico dell' antico Testamento, ma la traduzione

dei LXX, allora molto diffusa anche nella Palestina, ' e nella quale, come è noto, coi termini greci eran penetrati dei concetti della speculazione ellenica, specialmente platonici e stoici. Già tutto il sermone della montagna, chi ben lo guardi, non è solo una stupenda requisitoria della tradizione giudaica, ma si estende anche al mondo pagano. Ora, in molti punti particolari, sono innegabili le affinità di questa nuova parola con quell'ordine d'idee che era divenuto popolare, e si era largamente diffuso anche nella dispersione giudaica, come era già sorto in una zona geografica vicina alla Palestina, lo stoicismo, dottrina la più orientale per la sua provenienza, e pel suo carattere intimo, di quante fruttificarono sul terreno ellenico.' Se, fra i rappresentanti dello stoicismo che sono quasi tutti d'origine semitica, prendiamo il più vicino e cronologicamente e idealmente al cristianesimo, Seneca, sentiamo in lui delle assonanze mirabili con Paolo, come è noto specialmente dopo le ricerche del Baur e del Lightfoot, e in generale con la intuizione religiosa del cristianesimo, in quel suo sentimento vivo della relazione filiale dell' uomo con Dio, nel concetto spirituale di questo, nella coscienza che ha del peccato come condizione presente della natura umana, in quel raccomandare che fa l'esame della propria coscienza, in quel sentimento vivo e profondo della universalità e della fratellanza umana. Ma quello che è meno considerato e più importa a noi, sono le assonanze con

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1 BEYSCHLAG, Das Leben Jesu II, p. 70 ss. 1885. SCHÜREK, Op. cit., p. 26 ss.

2 Vedi la mia Memoria Sui caratteri orientali dello stoicismo. Atti della R. Acc. di Napoli 1895.

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BAUR, Drei Abhandlungen herausgegeben von E. ZELLER Leipzig, 1876, p. 386 ss. LIGHTFOOT, The Epistle of St. Paul to the Philippians. S ed. 1885 Dissert. 2a p. 271, 333, dissertazione accuratissima e che lascia poco da aggiugere su questo argomento. Cfr. anche CAPES, Stoicism (Chief ancient Philosoph). 1880, p. 166 ss. e KREHYER Op. cit. p. 2.

ciò che v' ha di più primitivo nell' insegnamento di Gesù. Anche Seneca dice che il cuore puro è il tempio del Dio vivente (Epist. 73, 16; 87, 21); anch'egli proclama il principio « date a quel modo che vorreste ricevere.» (De Ben. 2, 19), che il vero peccato si consuma nel cuore (De Ben. 5, 14, 19; De Const. Sap. 7; Epist. 57); che il saggio non si vendica, ma dimentica le offese (De Const. Sap. 14); che bisogna essere benefici come gli Dei, i quali fanno levare il sole anche sui malvagi (De Ben. 4, 26; 1, 1. cf. Matt. 5, 45); che la elemosina e il soccorso ai deboli dev'essere dato in segreto e non con ostentazione (Epist. 5, 1. De Ben. 2, 10), e che, data appena, da chi è data deve dimenticarsi (De Ben. 5, 8); che non bisogna guardar le macchie negli altri, quando si ha il corpo coperto di piaghe (De vita beat. 27); e perfino al principio supremamente cristiano dell' amare i nemici giunge molto vicino, dicendo che « bisogna soccorrerli con amica mano. » (De Otio, 1 De vita Beat., 20). Nè solo i concetti ma anche molte imagini degli evangeli si incontrano in Seneca. Così la similitudine della casa costrutta sulla roccia, della vita considerata come guerra e pellegrinaggio, gl'ipocriti rassomigliati a sepolcri imbiancati, il cingere i lombi, e fin quasi le prime linee di alcune parabole come quella del seminatore, del ricco stolto, del debitore dei talenti dati a usura. Ora, poichè questi concetti ed imagini, sebbene abbondino più negli scritti senili di Seneca, non mancano negli scritti giovanili, composti ad un'epoca in cui il cristianesimo non era ancora penetrato in Roma, siamo indotti a credere che quel modo di pensare e di sentire prevenisse da una sorgente comune nello stoicismo e nel cristianesimo primitivo, formanti quasi una sola corrente ideale che dall' Oriente viene in quella età verso l'Occidente.

Nè dallo stoicismo solo, ma da un altro punto

della cultura antica più vicino intellettualmente al Nazareno, dal giudaismo ellenistico d'Alessandria e dall'Essenismo di Palestina, potremmo ricavare ricca messe di raffronti. Gli scritti morali di Filone d'Alessandria, il contemporaneo di Gesù, così poco ancora considerati, mentre dal Gfrörer fino al Drummond si è così largamente studiata la teologia e la cosmologia di lui, e fra gli altri segnatamente il prezioso trattatello dell'amore degli uomini (repi pihavepoñías) offrono mirabili e sorprendenti affinità colle dottrine procla mate dal martire di Galilea. E se Gesù non sembra aver conosciuto il suo contemporaneo d' Alessandria, questa affinità ci dimostra almeno come fosse preparato il terreno al seme della buona novella. Ma più vicino, e geograficamente e come moto religioso anche idealmente a Gesù, è l' Essenismo; il vero mediatore della influenza ellenica nella Palestina, che vi fioriva da quasi due secoli. Ora che le dottrine e l'istituto degli Esseni, di questi cenobiti del Mar Morto, fossero come una infusione ellenica e più · propriamente neopitagorica nel giudaismo, è un fatto oggi quasi generalmente riconosciuto; e i tentativi, anche recenti, di ricavare l' Essenismo soltanto da elementi giudaici, od ai contatti colla religione persiana e col Buddismo, non hanno resistito alla critica piò autorevole. Ora questo partito religioso così collegato coll' Ellenismo era naturalmente il mezzo per cui le idee dell' Occidente, s'aprivano la via nel mondo giudaico. Gesù non si può certo ricollegare direttamente ad esso,

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1 DRUMMOND, Philo Judaeus or the Jewish-Alexandr. philosophy, Londra, 1888. Cfr. SCHÜRER, Theol. Literatur Zeit, 1888, n. 20.

2 LUCIUS, Der Essenismus, Strassburg, 1881, che sostiene l'origine esclusivamente giudaica. HILGENFELD Ketzergeschichte des Urchristenthums, 1884, p. 141 ss., che ammette un fondamento giudaico, con influenze persiane. Si veda invece ZELLER, Die Philos. der Griech. III, 2, 311 ss. (1881). Zeitschrift für wiss. Theologie 1900. SCHÜRER, Gesch. d. Jud. Volks, n. 3, ed. 1898, p. 481 ss.

e tutto quello che il razionalismo del secolo XVIII saputo dire sulla cooperazione di quest' ordine di cenobiti all' opera umanitaria di lui, oggi è dimenticato. Il rigorismo ascetico, la minuziosa liturgia e tutto l'apparato dottrinale e mistico degli Esseni non ha che fare colla serenità e libertà spirituale del Nazareno, che annunzia il regno di Dio per le città popolose e per le castella. Ma ciò non esclude che egli non potesse trar partito dalla presenza e dalla efficacia religiosa che esercitava nella Palestina una associazione la quale si estendeva anche oltre la cerchia dei suoi affiliati ed aveva i suoi terziari e il suo clero secolare. L'aver dinanzi agli occhi una società, in cui appariva manifesta la pietà religiosa, l'avversione al culto tradizionale e all'uso dei sacrifici, che alla rigidità nazionale del giudaismo aveva sostituito l'amore degli uomini ed aspirava alla purezza dell'animo, non poteva essere per lui un fatto indifferente. Lo provano le parole sul giuramento e sul matrimonio, sulla distribuzione dei proprî beni fra i poveri, ed altri tratti che, negli evangeli, hanno una intonazione schiettamente essenica; come, inversamente, la sollecita cura degli Esseni per gli umili, pei piccoli, pei poveri, la cassa dei denari in comune e il costume loro di cacciare i demòni, ci ricordano parole ed atti di Gesù e dei suoi primi seguaci. Nessuna meraviglia quindi che la pri mitiva comunità cristiana di Gerusalemme, come apparisce dagli Atti degli apostoli, accogliesse nel suo seno ben presto molti Esseni.

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Ma quella potenza assimilatrice e profondamente trasformatrice della vita e della coltura greco-romana che ebbe più tardi il cristianesimo, e per la quale vinse la resistenza che l'occidente avrebbe opposto

1 Su questo punto consulta lo STAPFER, La Palestine aux temps de J. Chr., 1885.

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