Slike stranica
PDF
ePub

nifesto. Ancora ogni giurisdizione è più antica, che il giudice suo; imperocchè il giudice è ordinato a essa giurisdizione, e non per contrario. Ma l'imperio è giurisdizione, che nell' amplitudine sua ogni temporale giurisdizione comprende: adunque ella è prima che lo imperadore sia giudice; perciocchè lo imperodore a fine d'essa è ordinato, e non è essa a fine di lui. Di qui è manifesto, che lo imperadore non la può permutare, in quanto egli è imperadore; conciossiacchè egli riceva da lei quello essere, che egli è. Ora dico così: O quegli era imperadore, quando e' dicono che conferi alla Chiesa, o no. E se no, è chiaro che non poteva conferire cosa alcuna dell' imperio. E se era, conciossiachè tale collazione era diminuzione di giurisdizione imperiale, in quanto era imperadore, fare non lo poteva. Ancora; se lo imperadore potesse separare alcuna particula dalla giurisdizione imperiale, per la ragione medesima lo potrebbe l'altro similmente fare. E conciossiachè la giurisdizione temporale sia finita, e ogni cosa finita per finite divisioni si assuma; seguiterebbe, che la giurisdizione prima annichilare si potrebbe e questo non è di ragione. Ancora; perchè chi conferisce ha natura d'agente, e colui, a cui è conferito, l'ha di paziente, come dice Aristotile nell' Etica; a volere che sia lecito il conferire, non si richiede solamente la disposizione di colui che conferisce, ma ancora di colui a cui è conferito, perchè pare, che le operazioni degli agenti sieno nel paziente disposto. Ma la Chiesa in nessun modo era disposta a ricevere cose temporali, per il precetto che espressamente lo vieta, come abbiamo da Matteo: Non vogliate possedere oro nè argento nelle vostre cinture, nè pecunia, e non portate la tasca per la via, ec. E benchè per Luca abbiamo alquanta larghezza, non tanto circa questo precetlo, quanto ad alcune cose; nientedimeno, quanto alla possessione dell'oro ed argento, non ho potuto trovare licenzia data alla Chiesa dopo la proibizione predetta. Per la qual cosa, se la Chiesa non poteva ricevere, dato che Costantino avesse potuto fare questo; nientedimeno tale azione non era possibile riceversi, non essendo il paziente disposto. Adunque è manifesto, che la Chiesa non poteva ricevere per modo di possessione, nè egli per modo d' alienazione conferire. Niente dimeno poteva lo imperadore, in aiuto della Chiesa, il patrimonio suo è altre cose spendere, stando sempre fermo il superiore dominio, l'unione del quale divisione non patisce. E poteva il vicario di Dio ricevere, non come possessore, ma come dispensatore de' frutti a' poveri di Cristo per la Chiesa; la qual cosa sappiamo essere stata dagli Apostoli fatta.

Ancora dicono, che Adriano papa chiamò Carlo Magno in 1) soccorso di se e della Chiesa, per la ingiuria fattagli da' Longobardi nel tempo di Desiderio re loro; e che Carlo da lui ricevette la dignità dello imperio, non ostante che Michele era in Constantinopoli imperadore. Il perchè di

1) I Cod M. e l'ediz. fior. per.

omnes qui fuerunt Romanorum Imperatores post ipsum, et ipse, advocati Ecclesiae sunt, et debent ab Ecclesiâ advocari. Ex quo etiam sequeretur illa dependentia, quam concludere volunt. Et ad hoc infringendum dico, quod nihil dicunt; usurpatio enim juris non facit jus. Nam si sic, eodem modo auctoritas Ecclesiae probaretur dependere ab Imperatore; postquam Ottho Imperator Leonem Papam restituit, et Benedictum deposuit, nec non in exilium in Saxoniam duxit.

CAPUT XI.

Ratione verò sic arguunt. Sumunt etenim sibi principium de decimo primae Philosophiae, dicentes: Omnia, quae sunt unius generis, reducuntur ad unum, quod est mensura omnium quae sub illo genere sunt. Sed omnes homines sunt unius generis: ergo debent reduci ad unum, tanquam ad mensuram omnium eorum. Et cùm summus Antistes et Imperator sint homines, si conclusio illa est vera, oportet quod reducantur ad unum hominem. Et cùm Papa non sit reducendus ad alium, relinquitur, quod Imperator, cum omnibus aliis, sit reducendus ad ipsum, tamquam ad mensuram et regulam; propter quod sequitur etiam idem quod volunt. Ad hanc rationem solvendam, dico, quod cùm dicunt: Ea, quae sunt unius generis, oportet duci ad aliquod unum de illo genere, quod est metrum in ipso; verum dicunt. Et similiter verum dicunt, dicentes, quod omnes homines sunt unius generis. Et similiter verum concludunt, cum inferunt ex his, omnes homines esse reducendos ad unum metrum in suo genere. Sed cùm ex hac conclusione subinferunt de Papâ et Imperatore, falluntur secundùm accidens. Ad cujus evidentiam sciendum, quod aliud est esse hominem, et aliud est esse Papam. Et eodem modo, aliud est esse hominem, aliud esse Imperatorem; sicut aliud esse hominem, aliud esse patrem et dominum: homo enim est id, quod est per formam substantialem, per quam sortitur speciem et genus, et per quam reponitur sub praedicamento substantiae. Pater verò est id, quod est per formam accidentalem, quae est relatio, per quam sortitur speciem quandam et genus, et reponitur sub genere ad aliud, sive relationis. Aliter omnia reducerentur ad praedicamentum substantiae; cùm nulla forma accidentalis per se subsistat, absque hypostasi substantiae subsistentis: quod est falsum. Cùm ergo Papa et Imperator sint id, quod sunt per quasdam relationes; quia per Papatum et per Imperiatum, quae relationes sunt, altera sub ambitu paternitatis, et al

cono, che tutti quegli che dopo lui furono imperadori romani, sono avrocati della Chiesa, e debbono da lei essere chiamati. Onde seguirebbe ancora quella dipendenza, la quale vogliono conchiudere. A distruzione di questo, dico che parlano invano; perchè l'usurpazione della ragione non fa ragione. Imperocchè se la facesse, pel modo medesimo l'autorità della Chiesa si proverebbe dallo Imperadore dipendere; dappoi che Ottone imperadore restitui papa Leone, e depose Benedetto, ed in Sassonia lo mandò in esilio.

Che quel detto d' Aristotile nel X della Metafisica tutte le cose che sono d' un genere, si riducono a uno, ch'è misura di tutte le cose, che sono sotto quello genere non conchiude, che quanto alle cose temporali lo Imperadore sia sotto al Papa.

S. 11. Colla ragione poi cosi costoro arguiscono. E' pigliano il principio del decimo della Metafisica, dicendo: Tutte le cose, che sono d'uno genere, si riducono a uno, che è misura di tutte le cose, che sono sotto quello genere. Tutti gli uomini sono d' uno genere adunque si debbono ridurre a uno, come misura di tutti loro. E conciossiachè il sommo pontefice e imperadore sieno uomini, se quella conclusione è vera, bisogna che si riducano a uno uomo. E perchè il papa non si può ridurre ad altri, resta che lo imperadore con tutti gli altri insieme si debba ridurre a lui, come a misura e regola; onde seguita quello che vogliono. Per solvere questa ragione, dico, che quando e' dicono: Che le cose, le quali sono d'uno genere, bisogna ridurle a qualcuna di quel genere, la quale è misura in esso; dicono il vero. E similemente dicono il vero, quando e' dicono, che tutti gli uomini sono d' uno genere. Similemente conchiudono il vero, quando di qui inferiscono, doversi ridurre tutti gli uomini a una misura nel suo genere. Ma quando per questa conclusione inducono del papa e dello imperadore, sono ingannati secondo accidente. E ad intendere questo, è da sapere, che altro è essere uomo, ed altro è essere papa; altro è essere uomo, altro essere imperadore; come altro è essere uomo, che essere padre o signore. L'uomo è quello ch' egli è per la forma sostanziale, per la quale ha specie e genere, e per la quale si ripone nel predicamento della sostanza. Il padre è quello ch' egli è per forma accidentale, la quale è relazione per cui si riduce a certa specie ed a certo genere, e riponsi sotto il predicamento della relazione. Altrimenti tutte le cose si ridurrebbono al predicamento della sostanza; conciossiachè nessuno accidente per sẻ sussista, senza il fondamento della sostanza sostenente e questo è falso. Adunque essendo il papa e lo imperadore quello che sono, per alcune relazioni, perchè sono tali pel papato e per lo impero, che sono relazioni; e l'una è sotto l'ambito 1) della paternità, l'altra sotto l'ambito

1) Così li due Codd. L' ediz. fior. abito. Vedi sopra la nota 1) a pag. 93.

tera sub ambitu dominationis: manifestum est quod Papa et Imperator, in quantùm hujusmodi, habent reponi sub praedicamento relationis; et per consequens reduci ad aliquod existens sub illo genere. Unde dico, quod alia est mensura, ad quam habent reduci, prout sunt homines; et alia, prout sunt et Papa et Imperator. Nam, prout sunt homines, habent reduci ad optimum hominem, qui est mensura omnium aliorum et idea, ut ita dicam, quisquis ille sit, ad existentem maxime unum in genere suo; ut haberi potest ex ultimo ad Nicomachum. In quantùm verò sunt relativa quaedam, ut patet, reducenda sunt vel ad judicem, si alterum subalternatur alteri; vel in specie communicant per naturam relationis; vel ad aliquod tertium ad quod reducantur, tanquam ad communem unitatem. Sed non potest dici, quod alterum subalternetur alteri; quia sic alterum de altero praedicaretur: quod est falsum. Non enim dicimus a): Imperator est Papa, nec e converso. Nec potest dici, quod communicent in specie; cùm alia sit ratio Papae, alia Imperatoris, in quantùm hujusmodi: ergo reducuntur ad aliquid, in quo habent uniri. Propter quod sciendum, quod sicut se habet relatio ad relationem, sic relativum ad relativum. Si ergo Papatus et Imperiatus, cùm sint relationes superpositionis, habeant reduci ad respectum superpositionis; a quo respectu cum suis differentialibus descendunt; Papa et Imperator, cum sint relativa, reduci habebunt ad aliquod unum, in quo reperiatur ipse respectus superpositionis, absque differentialibus aliis. Et hoc erit vel ipse Deus, in quo respectus omnis universaliter unitur; vel aliqua substantia Deo inferior, in quâ respectus superpositionis, per differentiam superpositionis, a simplici respectu descendens, particuletur. Et sic patet, quod Papa et Imperator, in quantùm homines, habent reduci ad unum; in quantùm vero Papa et Imperator, ad aliud et per hoc patet ad rationem.

:

a) Sic Codd. Ven. et Vat., atque edit. flor: in vulg Decius. Vide contra notam 1).

[ocr errors]

della dominazione: è manifesto che il papa e lo imperadore, in quanto sono tali, si debbano riporre sotto il predicamento della relazione; e per conseguenza ridursi a qualche cosa esistente in essa relazione. E però dico, che altra è la misura, alla quale si debbon ridurre, in quanto sono uomini ; ed altra, alla quale in quanto sono papa ed imperadore. Imperò, in quan'o sono uomini, si debbono ridurre a un ottimo uomo, il quale è di tutti gli altri misura, e per così dire il tipo *, qualunque costui si sia, purche sia massime uno nel suo genere; secondo il decimo dell' Etica. Ma in quanto sono relativi, o si debbono ridurre al giudice, se l'uno è sottomesso all' altro; o comunicano in ispecie per natura di relazione; o ad un terzo, al quale si riducano come a comune unità. Ma non si può dire, che l'uno si sottoponga all'altro come subalterno; imperocchè così l'uno dell' altro si predicherebbe e questo è falso, Perocchè noi non diciamo 1): Lo imperadore è papa, nè il papa è imperadore. E non si può dire, che comunichino in ispezie; perchè altro è l' offizio del papa, e altro è quello dello imperadore, in quanto e' sono tali: adunque si riducono a qualche cosa, nella quale e' si debbono unire. E però si vuole sapere, che quella comparazione che è tra relazione e relazione, quella è tra relativo e relativo. Adunque se il papato e l'imperio, essendo relazioni di sopraposizione, s' hanno a ridurre al rispetto della sopraposizione; dal quale rispetto con le differenze loro dipendono; Papa e Imperadore, essendo eglino relativi, si dovranno ridurre a qualcuno, nel quale si ritrovi esso rispetto di sopraposizione senza altra differenza. E questo sarà o l'istesso Iddio, nel quale ogni rispetto universalmente s'unisce; o una sostanza a Dio inferiore, nella quale il rispetto della sopraposizione, per la differenza della sopraposizione dal semplice rispetto discendente, diventi particulare. E così è manifesto, che il papa e lo imperadore, in quanto sono uomini, s'hanno a ridurre a uno; ma in quanto papa ed imperadore, ad altro e questo basti in quanto alla ragione.

1) Il dicimus del testo latino fu letto e scritto Decius dagl' ignoranti copiatori, tranne i due Codd. Ven e Vat. e l'ediz. fior. Non vedesi che abbia qui a fare un Decio imperatore: nè Decio lesse o scrisse il volgarizzatore, ma bensì diciamo, come hanno li due Codd. L. M. -Per altro il ch. Sig. Rosselli asserisce (Spirito antipapale ecc., Cap. XVIII) che non a caso Dante pose qui un tal nome; sul quale industriasi di fare alcuni ragionamenti, che per altro cadono da sẻ, poiché citando egli probabilmente a me moria, cangiò il nec e converso del testo in sed e converso, nientemeno che il no in sì, mentre tutte le stampe e i co

dici sono concordi nella particella negativa. - Avevamo già da qualche tempo compilato questa nota, quando per cortese dono dell' esimio Prof. Gio. Batt. Pianciani del Collegio Romano ci vennero alle mani due suoi Ragionamenti intorno alle Disquisizioni di Gab. Rosselli sullo spirito antipapale ec.; ne' quali con piacere leggemmo a pag. 97 una osservazione quasi consimile alla nostra, che così finisce : « il sed e converso, invece « di nec e converso, è malavveduta cor« ruzione, che per l'opposto farebbe dire « al ghibellino, che il papa è imperato«re» (Roma, Tipografia delle Belle Arti, 1840, in 8.)

« PrethodnaNastavi »