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GLI ULTIMI BORBONICI

848.58 C94

MEMORIA

LETTA ALL'ACCADEMIA DI SCIENZE MORALI E POLITICHE
DELLA SOCIETÀ REALE DI NAPOLI

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Estratto dal Vol. L (parte prima) degli Atti

della R. Accademia di Scienze Morali e Politiche di Napoli.

Librar Moretti 2-5-31 23277

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Nei primissimi anni dopo il 1860, si era avuto in Napoli qualche debole tentativo di cospirazioni borboniche, del quale si parlò più assai che non meritasse; si erano nutrite, da parte dei più fanatici fautori della caduta dinastia, speranze nel brigantaggio, riacceso in molti punti dall' exregno e innalzante la bandiera coi gigli; un gran numero di famiglie aristocratiche, e non pochi militari, avevano seguito i sovrani spodestati nell'esilio di Roma, contando su una vicina restaurazione e un trionfale ritorno nella loro patria (1). Ma l'energica distruzione del brigantaggio, che presto aveva perduto ogni lustra politica, la guerra del 1866 e l'unione del Veneto al Regno d' Italia, e, finalmente, la partenza degli ex-sovrani per la Baviera e per la Francia, e l'entrata delle armi italiane in Roma, tolsero ogni avanzo di fiducia in un prossimo rivolgimento e piegarono gli animi alla pratica accettazione del fatto compiuto. Dopo il 1870,

(1) Per la vita romana di codesti emigrati, si veda R. DE CESARE, Roma e lo Stato del papa dal ritorno di Pio IX al XX settembre (Roma, 1907); spec. vol. II, capp. 10-14, e 21.

tutte o quasi le famiglie napoletane che avevano esulato, se ne tornarono, in comitiva o alla spicciolata, a Napoli.

E tuttavia persistettero i « borbonici », una società borbonica, che comprendeva, in primo luogo, questa provata coorte, i reduci, e poi molti altri, animati dagli stessi loro sentimenti e propositi, che non avevano potuto o voluto allontanarsi da Napoli, nobili, ex-militari, ex-impiegati, preti, servitorame, plebe. Persistettero per circa un mezzo secolo, e ancor oggi se ne ritrovano alcune sopravvivenze. Era un'accolta di uomini simile a tutte le altre accolte: alcuni saldi in una cavalleresca costanza di fedeltà; altri, candidamente illusi; altri, restii al nuovo ordine per ragioni di decoro personale; altri, mossi dalla vanità di rappresentare una parte; altri, acri e acidi, sia per naturale temperamento, sia per disgrazie sofferte; e altri, infine, imbroglioni e accattoni, che non mancano mai. Ma componevano essi un << partito», come pur dicevano? Un partito vuole un'idea fondata su necessità storiche, e perciò fervida e fattiva. E questa idea non c'era.

Testè ho letto che, quando Francesco II dimorava in Roma, un prete, un don Bosco, da lui interrogato sul suo avvenire, gli predisse che non avrebbe mai riveduto Napoli, in espiazione del male inflitto da parecchi dei suoi antenati, e in genere dal sistema tanucciano, alla libertà della Chiesa (1). La verità è, che un castigo del cielo pesava sui Borboni di Napoli, ma non per quella, che era stata loro opera meritoria: il castigo, bensì, per le stragi e i patiboli del 1799, che offesero profondamente e insanabilmente la coscienza morale e divisero per sempre la nazione napoletana, met

(1) F. CRISPOLTI, Giustizie storiche, nella rivista La Vita nuova di New York, 24 gennaio 1926.

tendo contro i Borboni gli uomini della cultura e del progresso, e lasciando loro intorno quelli dell' ignoranza e della reazione. Della qual cosa era chiaramente consapevole la vecchia regina Carolina d' Austria; e fin dai principî dell'ottocento si distingue vano nettamente i « napoletani borbonici » e quelli antiborbonici o, come allora si diceva per avvedutezza politica e per ricerca di appoggio, « napoletanifrancesi », che erano « la partie la plus éclairée de la nation, les propriétaires, les nobles, les savants, les avocats, les médecins », e che si rifiutavano all' « amalgama » con gli altri, opposti d'idee e d'interessi (1). E sebbene i napoletani-borbonici, ossia i retrivi e reazionarî, riuscissero, pure tra molte scosse rivoluzionarie, a mantenere il potere fino al 1860, essi erano condannati già per questo solo che dovevano contare sulla mera forza della polizia e delle armi e su quella (se tale può chiamarsi) della superstizione e della rozzezza. L'aristocrazia, infatti, non aveva più in Napoli nessun potere politico e nessuna autorità morale, e molti dei migliori suoi rappresentanti si erano uniti alla borghesia quella che restava, era un' aristocrazia di cortigiani, con pochi uomini di valore e questi resi impotenti dall'impotenza della causa che avevano sposata; onde poi i lamenti e le accuse che essa non avesse sostenuto, come doveva, i suoi legittimi re (2). E la plebe era la plebe, una forza sel

(1) Posseggo il rarissimo e importante opuscoletto, da cui sono tratte queste parole: Mémoire pour les Napolitains-français contre les Napolitains-Bourbons par un ami de la vérité (À Naples, 1806, chez les frères Nobile, à l'imprimerie du Moniteur), che fu opera di un uomo del '99, Vincenzo Catalano: vedi in proposito Mémoires et correspondance politique et militaire du roi Joseph, ed. Du Casse, III, 68-9.

(2) Si vedano questi lamenti e queste accuse, tra gli altri, in SALVATORE COGNETTI GIAMPAOLO, Le memorie dei miei tempi (Napoli, 1874.)

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