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le sue poesie italiane non fossero maggiormente dilaniate dalle mani del volgo (1). La lettera è, senza dubbio, del 1366. Il codice, se non subito, fu certo cominciato ad esemplare dal copista Giovanni (Girolamo non aveva forse contentato il poeta), non più tardi del 1368 (2); perchè, a punto sullo scorcio di quell' anno, il Petrarca vi trascriveva nella carta 41 la canzone: Ben mi credea passar mio tempo omai, come risulta da quest'altra postilla degli abbozzi: trancripsi in alia papiro. post XXIJ. annos. 1368. dominica. inter nonam et vesperas. 22. ottobris. mutatis et additis. usque ad complementum. et die lune in vesperis. transcripsi in ordine membranis (car. 15 a).

III.

Il Mestica, venendo ora all' altra domanda, asserisce che la trascrizione del codice definitivo non deriva direttamente << come << si crede, dagli abbozzi autografi contenuti nel Codice Vaticano « 3196, ma ve ne fu una, se non più, intermedia (p. viii) ». Due sono, se non m'inganno, gli argomenti principali che egli mette avanti per sostenere la sua asserzione. Il primo gli viene fornito da una differenza di lezione che corre tra i due codici, nel sesto verso del sonetto: Le stelle, il cielo et gli elementi a prova. È mai possibile, domanda egli suppergiù, che il copista si prendesse l'arbitrio di scrivere nel codice 3195: Che mortal guardo in lei non s'assecura, quando noi vediamo che nel codice 3196 il poeta cancellò di sua mano guardo e vi sovrappose in sostituzione vista? All'arbitrio del copista non è da pensare nemmeno per idea; ma il Mestica sa bene, e lo ha detto, che il Petrarca, pur facendo mostra di non curarle, tornava e ritornava sempre

(1) Rerum Senilium, Basileae, per Sebastianum Henricpetri, 1581, lib. V, epist. III, p. 795.

(2) Che il copista si chiamasse Giovanni, si rileva dalla nota: transcriptum per Jo(annem), che si legge in testa al sonetto: Almo sol, quella fronde ch'io sola amo (cod. Vat. 3196, car. 1 b).

con la lima sulle sue poesie volgari. Nessuna meraviglia ch'ei mutasse la lezione quando il sonetto era già copiato, e che poi o dimenticasse o non avesse il tempo di sostituirla nel codice; tanto più che la sovrapposizione di vista è fatta con inchiostro così diverso, da potersi riferire a parecchi anni dopo, se non forse agli ultimi giorni della vita del poeta. Il quale non potè nemmeno compiere, come si vedrà più avanti, la distribuzione degli ultimi trentuno componimenti, e non potè nemmeno rifare l'emistichio: d'amar quella di preso (son. CLXXII, v. 7), da lui fortemente abraso, per togliere la non gradita corrispondenza col dolce amaro del verso che precede (1).

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Il secondo argomento deriva dal sonetto: Amor et io sì pien di meraviglia, nel quale « le due quartine osserva il Mestica << - nel Vaticano 3196, rispetto al Vaticano 3195, sono invertite, << sicchè la seconda è prima e la prima è seconda... Questa diffe<< renza prova che la trascrizione del presente Sonetto nel Codice << originale, non potè esser fatta direttamente di su la carta 4 <<< degli abbozzi; e si noti che il trascrittore era qui non il Petrarca, << ma l'amanuense (p. 238) ».

L'argomento parrebbe davvero inoppugnabile, se non venisse infirmato in modo esplicito dall'esame del codice stesso. Il quale ci rivela una circostanza sfuggita alla ordinariamente sagace critica del Mestica; ed è che il Petrarca, per indicare all'ama

(1) Il Mestica ha notate molte abrasioni e sostituzioni continue di lettere e di parole che s'incontrano nel codice; ma gliene sono sfuggite parecchie. Osserverò solo, per la sua importanza, che il madrigale: Or vedi, Amor, che giovenetta donna, non fu trascritto dal Petrarca (carta 26 a) sopra uno spazio bianco, lasciato espressamente nel codice; ma sullo spazio ottenuto dall'abrasione completa della ballata: Donna mi venne spesso ne la mente. Ciò prova che l'idea di scartare cotesta Ballata venne al Petrarca dopo la trascrizione fattane dal copista nel codice definitivo, e distrugge l'ipotesi del Mestica che « giunto l'amanuense al luogo dove nell'antigrafo era la « Ballata da scartarsi, il Petrarca, non avendo ancora deciso qual componi<< mento sostituire ad essa, gli ordinò di lasciare tra i due sonetti XCVI e << XCVII uno spazio bianco; e ivi egli di propria mano, co' suoi caratteri << un po' più piccoli di quelli dell'amanuense, scrisse quindi il Madrigale « (p. 171) ».

nuense l'inversione delle due quartine, richiesta da un più naturale svolgimento del pensiero, si servi, nel margine sinistro del suo autografo, di tre segni convenzionali, rappresentati rispettivamente dalle tre lettere b, a, c: le prime due, per le quartine invertite; l'altra, a stabilire la successione immediata della prima terzina.

Esclusi questi due argomenti, non si creda che io voglia sostenere che tutti i fogli del codice vaticano 3196 abbiano servito alla trascrizione dell'altro codice vaticano 3195. Sarebbe un volere correr troppo. Il codice vaticano 3196 è, chi lo esamini bene, una raccolta tumultuaria e caotica fatta dopo la morte del Petrarca; e la riunione e la successione delle carte è, perciò a punto, assolutamente arbitraria e casuale. Esso va diviso e distinto in due parti. La prima (compresa nelle carte 2, 6, 11, 12, 13, 14 e 15) appartiene a quelle vetustissimis schedulis, delle quali il Petrarca, in una ben nota lettera a Pandolfo Malatesta (1), diceva, e pur troppo diceva il vero, che a stento si potevano leggere (vix legi queant). Di coteste schede non si servi certo il copista e nemmeno il Petrarca nella composizione del codice definitivo. La seconda (compresa nelle carte 1, 3, 4, 5, 7, 8, 9 e 10) rappresenta pochi, ben pochi, di quei fogli volanti indicati nelle schede, e nei quali il Petrarca, ordinandoli in forma di codice, raccoglieva e metteva in pulito nei momenti di ozio (pro quodam quasi diverticulo laborum), non solo le sue cianciafruscole volgari (nugellas meas vulgares) (2), ma ed anche i sonetti di proposta o di risposta di alcuni suoi amici (3). Che cotesti fogli avessero nella mente del Petrarca il legame progressivo di un codice, si vede dal fatto che, ricopiando egli i due sonetti: Quanta invidia io ti porto, avara terra, e: Amor che meco al bon tempo ti stavi, vi aggiungeva la nota: « hos duos misi « tomasio. simul cum illo. In qual parte del cielo, etc. RE

(1) Ep. IV, Variarum, nell'ediz. Fracassetti, Firenze, 1863, III, 323. (2) Variarum, ep. cit., ed. cit.

(3) Vedi i sonetti di SENNUCCIO DEL BENE (car. 1 a), di GIACOMO COLONNA (car. 1 a), di GERI GIANFIGLIAZZI (car. 8b) e di PIETRO DIETISALVI (car. 10 a).

<< SCRIPTO SUPRA » (1). Che servissero poi direttamente alla trascrizione del codice definitivo, ci provano, fra parecchi altri, due argomenti intrinseci d'incontrastabile valore. Il primo è: che nessuno dei componimenti rifiutati dal Petrarca, ha in testa le solite indicazioni di transcriptum o transcriptum per me; il secondo: che coteste indicazioni corrispondono sempre e perfettamente nel codice membranaceo o alla parte autografa o alla parte eseguita dal copista. Nè venga il Cesareo ad affermare che « le note t, tr, transcript e via dicendo, non si riferiscono << solo al V. L. 3195, ma anche a altre raccolte anteriori dove i << componimenti notati furon primieramente trascritti (2) ». Nè venga il Mestica a riaffermare « che il Codice membranaceo, ora << Vaticano 3195, è una redazione posteriore a quella del Codice « membranaceo accennato dal poeta a car. 15 a (p. 293) ». La loro affermazione non solo non avrebbe, come si è visto, nessuna base, per quanto debole, sulla quale potersi appoggiare; ma, se fosse per un momento accettata, imporrebbe la deduzione assai strana che il Petrarca riservasse esclusivamente e sistematicamente a sè il compito di trascriver sempre in ogni codice le stesse poesie.

IV.

Ed eccoci finalmente alla terza quistione. Io speravo che le ragioni messe avanti da me (3), per provare che il codice vaticano 3195 non aveva potuto servire all'edizione aldina del 1501, perchè era stato visto per la prima volta ed acquistato dal Bembo nel 1544, avrebbero persuaso il Mestica a modificare le conclusioni alle quali era venuto in un articolo pubblicato quasi

(1) La casuale numerazione dei fogli autografi ha anteposta la nota a car. 3 b, e posposto il sonetto a car. 5 b.

(2) Su l'ordinamento ecc., p. 257.

(3) Il codice Vaticano 3195 e l'edizione aldina del 1501, saggio di studj petrarcheschi, Roma, tipografia Vaticana, 1893.

contemporaneamente al mio (1). Mi sono ingannato. Il Mestica non solo continua a sostenere che il Bembo abbia collazionata su quel codice la copia che consegnava ad Aldo Manuzio per la stampa; ma, fermo nella sua opinione che « tutti gli errori com<< messi dal Bembo in questo lavoro critico di raffronto procedono << dalla sua convinzione che gli fosse lecito sostituire il proprio << giudizio e il proprio gusto a quello dell'autore (2) », non gli risparmia rimproveri tanto acerbi quanto ingiusti (3).

Mi perdonino dunque gli studiosi se m'indugierò un poco a coordinare e a rinfrescare, con qualche nuova circostanza o deduzione, gli argomenti e le prove che occorrono a levar via un errore, che la molta autorità del Mestica potrebbe continuare nella critica italiana.

La sola testimonianza contemporanea della quale si è menato fin' oggi gran rumore, per sostenere che l'edizione aldina fu derivata << con sommissima diligenza dallo scritto di mano mede<< sima del Poeta havuto da M. Piero Bembo (4) », è rappresentata dalle parole « E se a auto el Petrarcha coscrito de sua mano <«<et olo auto in mane ancora io», che Lorenzo da Pavia scriveva alla marchesa di Mantova, il 26 luglio 1501, dopo di essere stato nell'officina degli Aldi (5). Che valore critico può avere cotesta testimonianza? Lorenzo da Pavia fu (chi degli studiosi non lo sa?) corrispondente artistico in Venezia d'Isabella Gonzaga; fu abilissimo intagliatore e costruttore di strumenti musicali, specie di liuti; fu anche, se fa piacere, amico di molti letterati del suo tempo; ma nessuno ha mai saputo che fosse un

(1) Il « Canzoniere » del Petrarca nel codice originale a riscontro col ms. del Bembo e con l'edizione aldina del 1501, estratto da questo Giornale, vol. XXI.

(2) Il « Canzoniere » del Petrarca, ecc., p. 26.

(3) Cfr. specialmente le pp. 201 n. 12, 210 n. 3, 216 n. 18, 240 n. 14, 312 n. 2, 371 n. 127, 412 n. 5 e 416 n. 14.

(4) Così si legge nella sottoscrizione all'Aldina del 1501.

(5) ARMAND BASCHET, Aldo Manuzio, lettres et documents, Venise, Antonelli, 1857, p. 10. Cfr. per una lezione più corretta: VITTORIO CIAN, Un decennio della vita di M. Pietro Bembo, Torino, Loescher, 1885, p. 95.

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