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nello stabilire il luogo del Concilio generale, ne parla il Pallavicini con grande elogio. Scorse più volte la Baviera, la Francia, la Svevia, e la Boemia, ricevendo settimanalmente lettere dal re Ferdinando, che lo lodava dell' operato, e lo confortava a perseverare in sì bella impresa. Si portò a Vienna, tornò nelle sue peregrinazioni per la Germania, e si diresse espressamente a Berlino, ove talmente si adoperò, che gli riuscì felicemente a sostenere nella religione cattolica i due figli di Gioachimo elettor di Brandeburgo allòra morto, disposti a cambiarla per gli sforzi ed istigazioni della vedova madre, sorella del re di Danimarca.

Nell' andata a Berlino dovette passare per Wittemberga, ove da quel duca ricevette tutti gli onori possibili, sempre scortato da guardie, proibendosi agli albergatori ove alloggiava, di ricevere alcun pagamento. Nell' avvicinarsi a Vittemberga fu incontrato dal luogotenente con nobile comitiva, alloggiato nel palazzo e nelle stanze stesse del duca, e trattato con somma magnificena. In questa città abitava e predicava Martino Lutero, e, fosse capriccio del luogotenente, o intelligenza del duca, la mattina alzatosi il Vergerio per partire, gli fu apprestata una colazione; ed in tale incontro il luogotenente gli presentò il Lutero, e Giovanni Burgenagio, o Bugenhagen, il quale era riputato dottissimo dai protestanti. Il luogotenente introducendoli, disse, che «in assenza della Corte del suo principe, e di altri dotti uomini i quali solevano esser in quella università, allor trasferita in Turingia per cagion della peste, egli non aveva altri (sono parole della lettera di esso nunzio) da farmi tener compagnia, la cui lingua io potessi ben intendere; e che io volessi ascoltar que' due ch'essi avevano per savi uomini, tanto ch'io mangiava. Io non potei mostrarmi altro che consentiente, essendo dove io era; ed ascoltai fra Martino, e quell'altro tanto che durò la colazione, e che i miei servidori andassero a montar a cavallo. >> Qual dispregio il Vergerio concepisse di Lutero apparisce da ciò che segue, vale a dire; «che tanto male parlava in lingua latina, che gli sembrava, «non essere di lui alcuni libri» pubblicati col suo nome, perchè questi avevano qualche «odore di latinità, e d'eloquenza» inoltre ch'era cosi trasformato «nella faccia, nell'abito, ne'gesti, e nelle parole che pareva un' ispiritato: ch' egli è l'arroganza istessa, la malignità, e l'imprudenza.» Finalmente conchiude: «io udiva con gran tormento, non volli mai rispondere, se non due parolette per non parer un tronco. Questo colloquio ebbe luogo ai primi di decembre 1535. Avendo per massima Paolo III. di non inasprire i protestanti, e di procurare di richiamarli con la docilità, e con la dolcezza aveva incaricato il nunzio di raddolcire e lusingare Lutero. Porta fra Paolo Sarpi, che in questa circostanza, il Vergerio gli dicesse, dover considerare che «solo da dieciotto anni la dottrina sua era venuta in luce e pubblicandosi aveva eccitato innumerabili sette, che l'una detestava l'altra; e tante sedizioni popolari con morte, ed esterminio d' innumerabili persone; onde non si poteva conchiudere che venisse da Dio; essere un grand' amore di se stesso, ed una stima molto grande dell' opinione propria quando un uomo voglia turbare tutto il mondo per seminarla e poscia ch' egli soggiungesse queste precise parole: «se avete innovato nella fede, nella quale eravate nato, ed educato trenta cinque anni, per vostra coscienza e salute, bastava che la teneste in voi se la carità del prossimo vi moveva, a che turbare tutto il mondo per cosa di che non v'era bisogno, poichè senza quelle si viveva, e serviva Dio con tranquillità?» La confusione è passata tant' oltre che «non si può diferir più il rimedio,» onde assi

curava che il papa avesse risoluto di radunar un concilio, «dove convenendo tutti gli uomini dotti d' Europa, la verità sarebbe messa in chiaro a confusione degli spiriti inquieti, avendo per ciò destinato la città di Mantova.» Questo è il modo accorto e prudente con cui il Vergerio si condusse con Lutero. Cogli altri innovatori ancora ebbe il Vergerio da trattare, e come egli medesimo assicura nella difesa IV. intorno ai libri proibiti, che per ordine di Paolo III. essendo ritornato in Germania per <<negoziare diverse cose appartenenti alla religione,» gli occorse di abboccarsi con Lutero, col Pomerano, ed anche con Osiandro, Melantone, Bucero, Calvino, Sturumio ed altri.

Frattanto i protestanti riuniti in Smalcalda diedero al nunzio la risposta verso il 21 dicembre 1535 in cui riconfermavano la confessione di Absburgo, e si voleva un concilio libero e pio all' uso dell' antica chiesa, da celebrarsi in Germania. A tale risposta il Vergerio richiese di ritornare a Roma per rendere conto della sua legazione e dello stato della Germania, ed ai primi del 1536 si presentò a Paolo III, il quale lo inviò a Napoli all' imperatore Carlo V. per informarlo d'ogni cosa; il quale istrutto dal Vergerio andò a Roma, e si stabili assolutamente dal papa e dall'imperatore d'intimare il concilio di Mantova, e si creò a tal fine una deputazione composta dai cardinali Picco, Comini, Campeggi, Ghinuzzi, Simonetta, Contarini, Cesis, e Ceserino, con l'aggiunta dell' Aleandro, e del Vergerio. Questi propose due articoli: primo non doversi fare l'intimazione formale senza ricercarne prima l' approvazione espressa degli alemanni per mostrar loro questo rispetto, e con ciò agevolare l'esecuzione; secondo, che nella bolla non si ponesse la particella secondo la forma dei precedenti concilii, la quale non s'era posta neppure nei concilii di Costanza, e di Basilea. Il primo fu rifiutato, ed accettato il secondo; e ciò seguì il giorno nove aprile dell'anno stesso 1536. Sembra che insorgessero dispute tra il Vergerio e gli altri deputati, e particolarmente tra lui e l'Aleandro, onde divennero anche nemici. Quanto grande fosse la contentezza del Vergerio per la seguita determinazione di convocare il concilio si raccoglie dalla lettera all' Aretino di Roma del 24 luglio 1536 dicendo: «per causa di questo concilio, io m'ho faticato tanto, e fermato di modo. che non può esser altrimenti che non si faccia. Questo era tutto il desiderio mio per zelo dell' honore dell'instaurazione della fede di Gesù Cristo, che ne ha bisogno, e poi io era rovinato se questa indizione (del concilio) non si faceva.» In qual riputazione egli fosse tenuto, è da osservarsi, che da Michele Heineccio è qualificato celebris famae jurisconsultus justinopolitanus; il cardinale Bembo lo classificava fra i grandi uomini del suo secolo, scrivendogli da Padova nel 1534: « messer Pietro Bechimio passerà per costi (per Vienna): vuole visitare, e basciare la mano a voi e conoscervi, vaghissimo d' avere di tutti gli uomini grandi e valorosi contezza.» Il Goineo lo dice omnibus ingenii et eloquentiae laudibus ornatissimus ».

Tali furono fino a detto tempo i meriti del Vergerio verso la santa sede; ma erano troppo grandi e troppo palesi, dice il Carli, per non essere invidiato; e però invece di ottenere il premio conceduto ai nunzii che lo avevano preceduto e seguito, cioè la promozione al cardinalato, non si pensò ad altro, che allontanarlo da Roma; e però a viva forza, com' egli scrive, fu eletto vescovo di una piccola chiesa, vale a dire di Modrussa nel di 4 maggio 1536; ma insorta questione tra il papa ed il re Ferdinando pel diritto di elezione al 6 settembre dell' anno stesso fu trasferito

alla chiesa di Capodistria; e con breve primo ottobre 1536 il papa dà avviso al re Ferdinando di aver richiamato dalla nunziatura il nunzio Vergerio, mandato in suo luogo il vescovo di Modena Giovanni Morone.

Quanto sensibile altrettanto rassegnato si mostrò il Vergerio in questa nuova destinazione; ed i primi anni, a confessione de' suoi nemici, e del medesimo Girolamo Muzio, operò con zelo, e con una irreprensibile esemplarità in tutta la sua diocesi da vero pastore evangelico. Ma non andò subito alla sua diocesi, e ritornò in Germania. La residenza dei vescovi essendo allora un problema, che diede argomento di disputa sino al concilio di Trento, non è da far caso, se il Vergerio invece di andare alla sua diocesi passasse in Germania. Quello però ch'è certo, si è che tra il 1536 e 1539 egli vi fu, mentre vi fece dei regolamenti, e hanno delle ordinazioni da lui fatte nella sua diocesi in quel frattempo. Nel 1539 fu in Abano ed in Padova col cardinale di Trento, ed in lettera del 10 giugno 1539 scrive all' Aretino che il cardinale era il maggior nemico dei Luterani che abbia la nostra età, ed egli stesso scrivendo sotto gli occhi del cardinale di Trento, dice pure nella stessa, che qualche cosa ha da uscire per toccare l'intime viscere di colui (Lutero), dalla penna di un vescovetto discepolo del cardinale di Trento. Questi debbono essere quei tre libri volgari, che mandò al re di Francia. Disegnava pure di presentarne un altro, il quale trattava dei vescovi come apparisce da lettera del 1540. Egli era pure a Mantova, mentre il Bembo al 6 di maggio scrivendo al cardinale di Mantova dice: <«< il vescovo di Capodistria ritornato questi di da Mantova m' ha per nome vostro salutato con molto affetto, e con parole cosi amorevoli che nel partir gli diceste, ch'egli medesimo, che pure è, et memorioso, et eloquente, non parea si potesse ben soddisfare in esporle et esprimerle a pieno. »

Bisogna credere che al nunzio in Vienna Aleandro la venuta in Germania del Vergerio desse gelosia per il posto che occupava, mentre in una lettera del 12 marzo 1539 diretta al Cervino, che poi fu cardinale e papa, detrae dello stesso, discreditandolo, dicendo che avea pratica coi Luterani, e raccomandandogli di bruciarla tosto per non comparir maldicente; ma a sua confusione la lettera esiste, ed è pubblicata, e da essa si scorge l'inimicizia verso il Vergerio, e la calunnia ed impostura mascherata del nunzio, il quale proteggeva un pievano di Pirano, sospeso dal vescovo per la sua mala condotta, e che lo aveva seco in Vienna per cappellano, e temendo egli che il Vergerio dando di lui cattive informazioni a Roma, servisse di ostacolo alla collazione di due benefizii, che gli aveva procurato, stimò opera degna lo screditarlo, dicendo che praticava i Luterani di Pirano, che non si conobbero mai. Alle detrazioni dell' Aleandro basta contrapporre la stima e l'amicizia che il cardinale Bembo conservò sin che visse per il Vergerio. In data 20 agosto 1541 scrive il Bembo da Roma a suo nipote Matteo Bembo podestà di Capodistria: « quando andarete a Capodistria salutatemi il vescovo, e tenetelo per mio amico, che così sua signoria vi dimostrerà ecc. ecc. »

Nel 25 novembre del 1540, fu stabilita una dieta in Vormazia, a cui intervenne il nunzio Campeggio, e vi si trovò anche il Vergerio. Il Sarpi dice: « che il vescovo di Capodistria .... se ben mandato dal pontefice come molto versato nell' intendere gli umori di Germania, intervenne però come mandato dalla Francia per meglio fare il servizio del papa sotto nome alieno. » L' abbate Fleury conferma la stessa cosa,

dicendo che fu inviato con secrete istruzioni da Paolo III comme envoie au nom du roi de France, pour étre moins suspect aux Allemands, et par la plus en état de servir le pape sous le nom d'un autre. Il Vergerio difatti nel 1539 fu prima a Roma, e passò col cardinale di Ferrara, Ippolito II d' Este, in Francia. Il Cortese, che poi fu cardinale, scrivendo al cardinale Contarini, ne fa elogi dicendo: << al presente si ritrova con sua signoria (il cardinal d'Este) il Vergerio episcopo di Capodistria, qual mostra un ardentissimo desiderio dell' onore del Signore Dio, e penso che pur debba fare qualche frutto. » Egli poi lo raccomanda perchè procuri esso cardinale di farlo sgravare dalla pensione: la quale era di cinquanta scudi verso monsignor Elio concittadino e parente di esso Vergerio, e segretario del papa.

Nella prima edizione delle Lettere volgari raccolte da Aldo, e stampate nel 1543 si legge una lettera del Vergerio dalla Francia a messer Ottoniello Vida, a cui dà ragguaglio delle eccellenti virtù della regina di Navarra, con cui si era intertenuto in colloquio; e compiange la disavventura di quel regno d'essere in molta parte corrotto dalle dottrine dei Luterani. Parla di un certo predicatore di Lubiana, che intendeva aver predicato in detta città il luteranismo; «e voi faceste bene (gli dice) prenderla contro di lui: a questo proposito (soggiunge poi) vi dirò con gran dolore, che per tutto ove vado, vi è molta di quella merce sassonica, con tutto che si abbia in molti luoghi usata una gran severità di fuochi per consumarla; ed insomma le cose in ogni luogo vanno peggiorando. » Messer Olloniello suo amico che negli anni antecedenti andò a ritrovarlo a Vienna e in Germania, lo sollecitò a ritornare al suo vescovato, e a lasciare ogni altro pensiero delle corti. Queste lettere sono senza data; come sono le altre di esso Vergerio, scritte alla marchesa di Pescara, a M. Luigi Alamanni, a Camilla Valenti di Mantova, e al cardinal Bembo, ma certo è che furono scritte prima ch'egli andasse a Vormazia. Apostolo Zeno disse che nel 1541 « lo stesso pontefice rimandollo in Germania, come persona pratica degli affari, acciocchè impedisse il concilio nazionale che quivi si meditava: in che fu utilissima l'opera sua. » Servi infatti umilmente, mentre gli riusci di rompere quella dieta che aveva sembianza di concilio nazionale; il che avvenne, al dire del Sarpi, e del Fleury, par le nonce Campegge, et par le menées secreles de l' eveque de Capodistria. La dieta si sciolse ai 18 di gennajo del 1541. Scrivendo da Vormazia alla regina di Navarra dice: «io mi tormento tutto a vedere, che la causa di Gesù Cristo si tratti con tanta indegnità; perchè a me pare ch'essa non sia quella cosa principale, per la quale si faccino ora tante fatiche da tanta gente, ma ch'ella sia un certo pretesto ecc.>> In altra si vede ch'egli andò a Vormazia per commissione della corte di Francia: « Vostra maestá (dic' egli) potrà intendere da monsignore il cancellier alcune poche cose, che ora scrivo di questo colloquio. » Tanto il Sarpi, che il Fleury assicurano che il Vergerio in tal occasione pubblicasse un' orazione intorno all' unità della chiesa, éd all' utilità di un concilio generale, e questa difatti in copia originale esiste nel archivio in Roma, ed è diretta: Ad oratores et theologos principum, et statuum Germaniae, qui Vormatiae convenerunt anno 1541. De unitate, et pace Ecclesiae: e fu stampata in Venezia nel 1542.

Da questa orazione si ravvisa con qual forza egli sostenesse l'autorità della santa sede, e con qual destrezza maneggiasse perchè in Vormazia s'interrompesse la dieta. Il Muzio stesso suo nemico ne fa i dovuti elogi. Da Vormazia passò a Roma,

e fu colà nel mese di giugno del detto anno 1541 come da lettera del 25 dello stesso mese del cardinale Bembo si rileva, scritta a suo nipote: «Vi laudo, (dice egli), di voler far una lieta vita in Capodistria; è loco da ciò. Il vescovo ch'è ancor qui (in Roma) dice che vuole farvi aver delli spassi non pochi. Esso partirà fra due di per tornare al suo vescovato. » Da lettera senza sottoscrizione del 12 dicembre 1540 diretta al cardinal Santa Croce o dal nunzio Campeggio, o dall'Aleandro, si scorge quanto fosse posto in discredito il Vergerio presso il papa, a fronte di tanto merito che si era giustamente acquistato; in modo che non ottenne il cardinalato promessogli anteriormente al ritorno della dieta, come assicurano autori accreditati, e come traspira. anche dalla lettera del Muzio, allo stesso diretta (Vergeriane p. 8 ter.), che il Fedele era d'opinione che dovesse mutare il verde in porporino. Difatti ritornò al suo vescovato da Roma senza ottenere lo sperato premio dei servigi prestati alla santa sede, anzi accorgendosi del cattivo animo che regnava contro di lui, cosi avvertito dal cardinale Ginucci. Con qual animo partisse da Roma il Vergerio ai 25 giugno 1541 per ritornarsene al suo vescovato, può ognuno pensarlo. Egli si ammalò, e può raccogliersi dalla lettera del Bembo, che la cagione del male derivasse da passione, scrivendo egli al nipote, ai 3 novembre 1541, in questi termini: «La infermità di monsignor vescovo di Capodistria mi dispiace assai. Arò caro lo facciate visitare da parte mia, e gli facciate buono animo, e lo esortiate a star allegramente, che così più facilmente guarirȧ. II Vergerio era una di quelle anime sensitive ed altresi (seguita il Carli) che conoscono sè stesse, e dissimular non possono l' ingratitudine e l'ingiustizia che loro. vien fatta,, nel non ottenere le meritate ricompense ai prestati servigj, ed alle sostenute fatiche nelle incombenze alle quali furono destinate; e però è da credere che ne concepisse estremo disgusto, ed anche un male augurato irritamento e dispetto. Al che io aggiungo, che, se si consideri una certa superbia di tali anime, esse diventano poi capaci di dare negli eccessi contrari, e pericolando rovinare se stesse, e perdere ogni ulteriore diritto a giustificazione, per essersi abbandonate nell' errore. - Torniamo al Carli.

Se noi non ci trasportiamo a quei tempi non possiamo formarci una giusta idea del tumulto in cui trovavansi gli animi in ogni angolo d' Europa. In Germania dalla contestazione delle indulgenze, si passò all'esame degli abusi introdotti nella disciplina; poscia si andò ad attaccare molte superstizioni sostenute dall' interesse dei frati e degli altri ecclesiastici, e finalmente si terminó con l'assalto ai dogmi, e col negare il primato al pontefice. L' asprezza dei nunzii (a) e dei legati, le precitate sentenze, la persecuzione contro i Protestanti in Francia, in Inghilterra ed in altri paesi irritarono gli spiriti che volevano la libertà, e dalla libertà la licenza; e con una risoluta reazione, si moltiplicarono le contese, gli assalti alla religione, ed alla chiesa. I libri che si pubblicarono, e le diete diedero argomento ai giornalieri discorsi, onde ognuno interessato nel sommo articolo dell'eterna salute principió a ricredersi, e si ricredeva di fatto, autorizzato ad esaminare ed a ragionare sopra i punti, e sopra le nuove dottrine che si spargevano.

(a) Il Tiraboschi nella Letteratura Ital. T. VII. P. I. p. 263 dice le seguenti precise parole: Lo zelo dell' ALEANDRO sembrò ad alcuni eccessivo e trasportato, e principalmente ad Erasmo, e ne renne la nimicizia che questi gli dichiarò.

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