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Fu egli inoltre consigliere dell' arciduca Carlo, e sembra che fosse stato anche segretario di Massimiliano, poichè nella lettera con cui gli accompagnò il dono della sottocoppa, lo chiama nostro antico, e fedele segretario. Il Mainati dice che fu anche in missione a Roma per parte di Ferdinando I., allo scopo di ottenere la dispensa matrimoniale dell' arciduca Carlo colla duchessa di Riviera.

Tutti gli scrittori convengono, che il vescovo Rapicio fosse morto avvelenato nel giorno 31 decembre 1573; ma ch' egli fosse stato avvelenato innocentemente e per equivoco, in uu convito destinato a sedare le discordie di alquanti cittadini, e con un bicchiere preparato col veleno da uno della parte avversaria, come dice il Mainati, avrei molto a dubitare; poichè ad un vescovo che tiene il primo luogo in una tavola, ed è assistito anche da' suoi servi, è difficile concepire un equivoco, col far passare a lui il bicchiere di un' altro. Io ritengo piuttosto, ch' egli espressamente sia stata avvelenato (1)

Ho osservato, che in Trieste vi era una turba di settari, ed un' altra di usurai, e che a questi il Rapicio dava di piglio, ed anche con forti e forse imprudenti misure, mentre l' arciduca stesso lo consigliava di astenersene, affinchè non su cedesse qualche scandalo, o inconveniente alla di lui persona. Aveva dunque il vescovo due forti partiti disgustati con lui, e a lui contrarii, i quali, dobbiamo giudicare che vedendo quant'era potente, e bene accetto alle Corti, tutto dovendo da lui temere, pensarono a liberarsene col macchinare ed eseguire il sacrilego omicidio, col cauto mezzo del veleno: nè di ciò vi ha meraviglia, mentre, a quell' epoca appunto, i sospetti, le vessazioni, i partiti, e le vendette erano in vigore all' estremo, delle quali nel capitolo presente si osserva qualche esempio.

Il nostro Rapicio fu un prelato dotto, zelante, riputato, e dopo l'elogio che ne fece lo stesso Ferdinando è inutile ogni altro (2). L' Ughelli però nella prefazione ai vescovi di Trieste dopo Enea Silvio Piccolomini dice: Rapilius flos scilicet illibatus politiorum hominum, quos nostra aetas tulit; e non già nella colonna e pagina. indicate dal Muinati. Ora secondo il mio metodo, do notizia dei pochi suoi scritti:

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(1) Che non sia stato avvelenato per equivoco è pure opinione di mons. Favento (op. cit.); anzi egli attribuisce l'avvelenameto ad alcuni dei patrizii più furibondi, che per non volersi piegare ad un rappacificamento impostogli dall'autorevole influsso del vescovo, ne possa aver tramato l'iniquo attentato (E.) (2) V. i documenti stampati in Trieste nel 1862 in onore di Enea Silvio Piccolomini, Andrea Rapicio e Rinaldo Scarlicchio. Questo vescovo triestino fu uomo di sommo ingegno, poeta di fino gusto, dotto canonista, carissimo a tutti. Fu spento d'anni 40, vittima di patria carità, all'età nostra, che a libertà tanto agogna e della libertà tanto abusa, soggetto di utile meditazione. G. Favento op. cit. (E.)

OPERE STAMPATE

1. Andreae Rapitii nobilis Tergestini faciliorum musae carminum libri duo, quorum prior epigrammata quaedam continet. Venetiis 1552 in 4 di 54 pag.

2 HISTRIA, poema latino stampato in Vienna nel 1556, di cui diede un'edizione in Pavia il sig. Pietro Kandler nel 1826 colle stampe Bissoni, e nell' anno stesso il di lui avo Dr. Matteo Ceruli una traduzione italiana in versi sciolti colle stampe di Weis in Trieste (').

3. Cinque ODI latine stampate in Vienna col suddetto poema.

4. Tre DISSERTAZIONI di diritto civile in latino indicate dal Kandler, che ignorasi in qual anno stampate, così pure qualche altra poesia.

5. Un EPIGRAMMA latino in lode del canonico Bartolomeo Scardeone padovano, il quale si trova nell' opera: De antiquitate urbis Patarii, e nelle cronache del Mainati. Lasciò tra le opere inedite che si conoscono:

Una relazione del vescovo di Trieste, la quale viene citata da Ireneo della Croce, e dallo Schönleben (2)

Il Mainati dice a p. 116 T. III. che «le sue composizioni si conservano ancora dai signori Rapici in Pisino.» Questa è una gratuita asserzione, non essendo alcuna delle sue composizioni in quella famiglia.

152. - De ANDREIS Francesco da Capodistria, canonico di quella cattedrale, protonotario apostolico, e conte palatino. Nel 1574 da papa Gregorio XIII. fu fatto vescovo di Scopia, città dell' Illirico orientale, tra i confini della Macedonia, e della Bulgaria. Il Coleti nell' Illyricum Sacr. Tom XIII, tipi 1819, porta soltanto il nome del vescovo Andreis senza data, nè patria. In seguito all' articolo di fra Giacinto Macripodani porge la di lui nomina in successione a quella cattedra per la morte dell' Andreis tratta dagli atti concistoriali: an. 1649 11 octob. providit Eccles. Scopien. in part. Infid. vacant. per ob. Francisci de Andreis de pers. Fr. Jacinti Macripodani ord. S. Dominici, ac deputavit suffraganeum ad exercenda Pontificalia in Civit. et Dioec. Strigonien. cum assignatione 300 ducat. auri super fructus mensae archiep. Strigon. pro congr. sustent. Se l' Andreis fu fatto vescovo nel 1574 bisogna credere che a lungo vivesse, e giovane fosse fatto vescovo, mentre nel 1649 gli fu dato il successore, o che a lungo vacasse quella sede. L' Andreis fu pure suffraganeo e coadjutore dell' arcivescovo di Strigonia, ove con zelo esercitò il ministero sino

(1) Fu trovato dal Kandler nel 1826 nella I. R. Biblioteca di Corte in Vienna. Il titolo è: Andreae Rapitii Iurisconsulti tergestini Histria, Viennae 1556. Nel 1830 fu ristampato a Francoforte e a Lipsia; e nel 1870 negli Atti del Ginnasio sup. di Capod. per cura di mons. G. Favento con prefazione, cenno biografico, e note. Due traduzioni italiane si conoscono di questo poema: l'una del Dr. Matteo Ceruti. Trieste, tip. Weis, 1826, l'altra di G. B. de Medici, Trieste, tip. del Lloyd, 1871. (E.)

(2) Altra opera inedita del Rapicio, citata dal Favento: Andreae Rapitii I. C. Terg. poematum liber secundus. Esiste in autografo nel Civico Archivio di Trieste. (E.)

vecchiezza estrema. Spedi in dono alla cattedrale della sua patria, ove conservansi, varie sacre, e ricche suppellettili, fra le quali un superbo ostensorio piramidale, ove il lavoro vince il metallo. In quella sagrestia capitolare esiste la di lui veneranda effigie sotto cui è scritto in lettere corrose:

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153. BRUNI Giovanni nel 1581 fu fatto arcivescovo di Antivari. Il Naldini ed il Manzioli lo annoverano fra il clero di Capodistria, e lo dicono oriundo da Antivari, dalla qual città presa dai Turchi, il cavaliere di lui fratello si era traslocato colla famiglia a Capodistria. Ma egli nacque in Dulcigno, fu arcivescovo di Antivari, preso dai Turchi, e dopo lunga schiavitù soffri il taglio della testa (2). Il Farlati nel Tom. VII ne dà un lungo articolo; lo fa arcivescovo secondo gli atti concistoriali nel 1551, ed è detto presbiter Dulcinensis.

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154 BRATTULICH Simeone generale dell' ordine di S. Paolo primo eremita, nacque in Barbana alla metà del secolo decimosesto.

Gli Annali dei Paulini Eremitani parlano di lui con somma lode, ed ivi si riscontra che nella sua adolescenza entrò in quell' ordine, e che fu nativo dell'Istria senza però indicarne il paese. Paolo Ritter è di contraria opinione, volendolo cittadino Montis Graecensis.

Gli annali di quell'ordine però devono riconoscersi per il più legittimo documento, mentre nessuna fonte può meglio accertare la patria dei confratelli dell'ordine, che i registri dell'ordine stesso; e gli annali appunto di questa congregazione lo danno istriano, e dicono ch' egli fece il suo primo tirocinio nel convento di S. Pietro in Selve, che quell' ordine, dotato di gran fondi aveva in quella parte dell' Istria. Avevano pure questi monaci un monastero considerevole sul Lago di Jessero, un ospizio e molino a Clavar, un molino magnifico nella vale dell' Arsa sotto Barbana, nel qual luogo risiedeva sempre uno di quei monaci per attendere all' economia di quello stabilimento. In Barbana esercitavano annualmente il quaresimale, ed intervenivano di frequente. In Barbana si era progettato e disposto da quei monaci di fondare un ospizio stabile, ed avevano un eremo pure presso la villa e le case Brattulich denominato S. Dionigio, che sussistette sino a mezzo secolo fa ma che ora è diruto. In Barbana anche a' miei ricordi esisteva una famiglia Brattulich, la cui casa situata nella piazza, ora è posseduta dai fratelli Cleva commercianti. Nella parrochia di Barbana vi ha la villa Brattulich, e colà pure vi sono famiglie di tal nome, dalle quali si denomina la villa stessa, e colà vi era l' eremo di S. Dionigio. Non è quindi

(1) Il ritratto si vede ancora in sagrestia del Duomo ed è ristaurato.

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(E.)

(2) Se il Bruni fosse nato in Dulcigno, (Albania sull'Adriatico) benchè di cognome italiano, non dovrebbe essere posto tra i distinti istriani! (E.)

improbabile che Simeone Brallulich, chiamato alla vita monastica, dai Padri Paulini, che frequentavano Barbana ove avevano varii stabilimenti fosse stato preso ed educato nel monastero di S. Pietro in Selve, come parlano gli annali stessi, e che essendo indicato istriano, foss' egli di Barbana, ove questa famiglia Brattulich esisteva divisa in più rami, ed ove era frequente il concorso di quei padri. Su quest' appoggio, che credo ragionevole, io lo ritengo nativo di Barbana o della villa Bratlulich con più fondamento di approssimazione che di altro luogo dell' Istria, perchè certo si è, che egli fu istriano ed educato nel convento di S. Pietro in Selve; e quindi deve aver luogo nella presente Biografia degli uomini distinti dell' Istria perchè istriano. (')

Narrano gli annali stessi che da Fra Stefano Ternarino, presidente generale di detta congregazione, fu aggregato a quell' ordine, e compiti con lode i primi erudimenti nel monastero di S. Pietro in Selve, fu spedito a Roma, ove attendendo con somma diligenza per alquanti anni agli studii, fu egregiamente istruito nelle scienze filosofiche e teologiche; e partito quindi da quella capitale, fu creato priore, poscia vicario generale, e finalmente nell' anno 1590 supremo presidente e generale di tutta la congregazione dei Paulini eremiti.

Elevato alla suprema magistratura di quell' istituto monastico, osservante rigoroso dell'ordine eremitico, eccitò i suoi confratelli coll' esempio, affinchè in essi risplendesse l'esercizio della disciplina eremitica non solo, ma prestò tutte le sue cure perchè fossero gli alunni addottrinati nelle lettere umane e divine. Mancando l'ordine di maestri e di scuole opportune, elesse un buon numero di giovani meglio dotati d'ingegno, e li inviò nelle più illustri scuole di Roma, di Vienna, di Olmütz, e di Praga.

Indotto dalla necessità e dal costume di quei tempi, in unione ad altri vescovi e cenobiti ungheresi militò egli pure, vestito da soldato, nel campo dei cristiani contro i Turchi, e trovossi nei più perigliosi cimenti sortendone con valore; ond' ebbe a dire di lui il generale Volfango Frangipani: in castris loricatus galeam cum thiara et cuculla conjungens, aeque gladium audacter in hostes stringere, quam devote coronam virginis recitare conspectus est.

L' arciduca Massimiliano, fratello dell' imperatore Rodolfo, supremo generale dell'esercito, nel ritorno dall' assedio di Canisa, stava per cadere nelle insidie dei Turchi, e restarne prigioniero, quando opportunemente accorso il nostro Simeone, lo fece avvertito del pericolo, e cangiare direzione; per cui l'arciduca Massimiliano protestandogli la sua gratitudine instò presso l'imperatore perchè gli fosse conferito il vescovato di Sirmio, che ottenne; e con lettera del 31 marzo 1598 in data di Vienna lo invitò a portarsi in quella capitale per intendere le disposizioni che fossero state prese per lui; Eccole: Maximilianus Dei gratia archidux Austriae dux Burgundiae, ord. Teutonici in Prussia administrator, ejusdem per Germaniam, et Italiam magister, comes Tyrolis etc. Reverendo nobis sincere dilecto. quid Sac. Caesar. regiaque majestas, et frater noster observandissimus de te statuerit, id a nobis 15 die futuri mensis aprilis auditurus es. Ut autem voluntatem et gratiam suae majestatis Cesareae regiae, in tuam personam declaratam, uberius cognoscere possis, serio tibi committimus, et mandamus, ut ad 14 diem ejusdem

(') Importante per chi ha seguito la biografia dei prelati istriani si è il vedere quanto pochi (anzi rarissimi nantes) recano nomi non italiani e copersero cattedre in terre straniere. (E.)

mensis huc Viennam venias, suae majestatis mentem altera die a nobis cogniturus; secus non facturus. Datum Viennae ultima die martii domini 1598; ed a tergo, l'iscrizione: Reverendo F. Simoni Brattulich, fratrum eremitarum S. Pauli primi eremitae priori generali etc. nobis sincere dilecto. (Farlati Illyr. Sacr. T. v. p. 553.) Clemente VIII. pontefice confermò la nomina, e colla singolare prerogativa di ritenere il generalato dell' ordine, in cui poscia continuò vita sua durante. Questa circostanza si riscontra dagli atti concistoriali. An. 1601 15 januarii ad nominat. Caes. M. provis. ecclesiae Sirmiensi vacanti per obitum Stephani de persona F. Simonis generalis ord. S. Pauli priori erem. cum retentione dicti generalatus usque ad tempus praefinitum, et facultate, quod de novo eligi possit, quatenus ita constitutionibus ipsius religionis caveatur, et non alias cum clausulis etc. (Farl. Illyr. T. vi, p. 565).

Lo stesso arc. Massimiliano ottenne pure che dal fratello Rodolfo fosse trasferito nel 1603 il nostro Simeone alla cattedra di Zagabria, la qual nomina fu approvata nel 1804 dal pontefice nel modo seguente: 13 septembris 1604 providit ecclesiae Zagabriensi vacanti per obitum Nicolai de persona Simonis Brattulich ep. Sirmiensis, quem ad ecclesiam Zagabriensem ad nominationem Cesareae regiae majestatis transtulit, cum annua pensione ducatorum 400 monelae illarum partium super ecclesiae. fructibus.

Appena pervenne al vescovato volle usare troppa autorità verso i canonici e verso i monaci, per cui insorsero forti discordie e litigi. Essendo passato Nicolò Micaccio dal canonicato di Zagabria al vescovato di Varadino, volle Simeone ritenere per un triennio i redditi di quello, sull' esempio de' suoi precessori che ne ritenevano talvolta l' usufrutto perpetuo, e ciò ad oggetto di ristaurare il palazzo vescovile che ne aveva bisogno. Vi si opposero i canonici, sostenendo essere ciò contrario alle loro costituzioni, nè mai praticato, e competere ad essi di passare i frutti a beneficio di uno de' suoi membri capitolari. Il vescovo trovandosi allora a Lipoglavo nel monastero de' suoi eremiti, ed intesa l'opposizione del capitolo, proibi loro che fosse presa su di ciò parte alcuna; ma i canonici non curanti il divieto vescovile, convocato il capitolo, ed assente il preposito maggiore, al quale competeva la proposizione ed il primo voto, Baldiscera Napulio canonico lettore ne assunse le parti, perorò sull' argomento, e di unanime consenso fu decretato contro la volontà del vescovo. A questa deliberazione Simeone irritossi fortemente, venne a Zagabria, convocò il capitolo li 12 settembre del 1604, esponendo dolersi gravemente che nei primordi del suo pontificato non fosse appoggiato da' suoi fratelli canonici, ma bensì contrariato, e fossero sprezzati i suoi ordini, e con asprissime parole invei contro il lettore Napulio dichiarandolo capo e promotore di tale insubordinazione, giudicata una congiura contro di lui. Non tacque Napulio, ma con libertà espose, e con forza ed audacia sostenne contro di lui la causa e le ragioni capitolari, per la qual cosa il vescovo irritossi maggiormente, ma ritenne nell'animo per tempo più opportuno, repressa l' iracondia. Una porticella annessa alla casa canonicale di Napulio dava passaggio alla gente, come via più breve, per la casa capitolare, e doveva essere chiusa di notte. O per incuria dei servi, o per altro motivo rimase più volte aperta, il che dispiacque a tutti i canonici, i quali non trovarono in ciò la loro sicurezza. Fu imposto a Napulio di farla chiudere di notte, nè vi assenti; si fece istanza al vescovo, il quale l' ordinò con formale mandato, che non fu osservato. Fu allora che il vescovo

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