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di donna in piedi, che rivolta verso i raggi del sole, che la colpiscono, calpesta un serpente coll' epigrafe Super Aspidem, in cui sembra che sia figurata l' eloquenza (1). Nicolò della presente medaglia fu figlio di Pietro e di Nicolosa Brati, quasi un secolo posteriore ad altro Nicolò Verci del 1478. - (Gravisi Gir. Lettera intorno alle antiche e moderne accademie di Capodistria, inserta nelle nuove Mem. per servire alla Storia Letteraria. Tom. III Venezia presso Marsini 1760 p. 407.) Il conte Mazzuchelli (Museum Mazzuchellianum, Venetiis 1761, typis Antonii Zatta in due vol. in foglio) nel Tom. I, pag. 413 ha un articolo sopra Nicolò Verci. e nella Tav. xc. N.o 1. e II. porta il disegno di due medaglie del nostro Verci.

Noi qui trascriviamo quant' egli ne dice. «Null'altro, salvo quello che rilevasi <dalle nostre medaglie, sappiamo noi di Nicolò Verci, vale a dire ch' ei fu di Capo «d'Istria, e giurisconsulto figliuolo d' un tal Pietro. Nell' Istria del Tommasini «(Gymn. Patav.) vien fatta parola d'un Cristoforo Verci da Capo d' Istria, che <professò in Padova logica, e filosofia negli anni 1527, e 1538: ma se Nicolò prima, <o dopo di Cristoforo vivesse, confessiamo di non saperlo.

<<Quanto alle medaglie, vedesi una donna nuda (per avventura la giustizia) «al cielo, onde calano de' raggi, le mani alzando, e co' piedi un serpente calpestando, <<col motto tratto dal salmo 90: SUPER ASPIDEM: col qual simbolo, io son d'avviso, «volersi additare, come il giusto, che in Dio confida, temer non dee gli avvelenati «morsi de' malgi, cui egli con franco piede può calpestare. - L'altra medaglia <<viene simiglia mente fregiata d'una donna, ma incoronata, e decorata di lungo <<manto, avente nella stesa destra mano un quaderno, od un libro, e sostentante col <<manco braccio il corno dell' abbondanza colle parole: LEGIFERAE CERERI: concios«<siachè Cerere, al dire d' Ovidio, di Lucrezio, e di Cicerone (in Verrin. sept.), si <fu la prima, che le leggi inventasse, imperciocchè insegnato avendo ella a coltivare «il terreno si die' anche principio alla divisione de' campi, e per conseguente a «<farsi le leggi intorno all'acquistarli, ed intorno a regolarne i confini: lo che è <chiaro aver rapporto colla scienza del Verci.»>

182.- CAPIDURO Girolamo da Parenzo, fece di pubblico diritto un' opera intitolata: Commentary in Rhetoricam ad Herenium. Venetiis 1555, così riscontriamo dal Vergot. Sag. Ist. di Parenzo.

183. TARSIA Gio. Domenico da Capodistria, personaggio erudito nelle lingue latina e greca. Abbiamo di lui la traduzione: De' fatti de' Romani di Lucio Floro, stampati in Venezia nel 1546 per il Ravanni: ed un' altra traduzione dal latino nel volgare delle Declamazioni Sillane di Gio. Antonio Vives Valentiano, che pubblicò in Venezia colle stampe di Pietro de Nicolini da Sabbio nel 1549 in 8o, colla dedica al savio grande Francesco Veniero, in data 10 marzo dello stesso anno. Conviene credere che fosse un letterato di merito, mentre troviamo nel volume 1 pagina 100 delle Cronache del Mainati che nel 1561 collo stipendio di ducati 100, e casa franca egli fu condotto dalla città di Trieste a pubblico oratore per onorare con sermone il funerale dei consiglieri di rispetto, e delle persone più stimate nel giorno della

(1) Questa medaglia è di modulo medio ed ha un diametro di 0.33 c.m. È riportata dal Kandler nel Medagliere istriano delle Indicazioni.

(E.)

loro sepoltura. Il Tarsia fu il primo oratore funebre di quella città dopo la parte presa da quel consiglio.

184. FEBEO Giuseppe da Capodistria (1528-1571) fu distinto letterato, quantunque di lui non ci sia rimasta cosa alcuna. Il Manzioli ne dà contezza, istruendoci ch' egli fu versatissimo nelle Lettere greche e latine, dotto nella Filosofia, nella Legge, e nella Poesia; ciò rilevasi dal di lui epitafio fatto porre da Girolamo Zarotti nella chiesa di Sant' Anna di quella città:

185,

IOSEPHO PHOEBEO CIVI IVSTINOP. VTRQ. IVRIS
CONSVLTISS. ET IN TOTA RELIQVA PHILOS.
DIVINA PARITER, ET HVMANA ABSOLVTISS.
SVMMISQVE POETIS OPT. COMPARANDO PVRIORIS
CHRIST. VITAE. CONST. INTEGRITATE NITIDISS.
IOANNES ZAROTTUS POS.

OBIIT AN. SAL. MDLXXI AETATIS SVAE XLIII.

Et instar Phoebi, qui sub terras abiit, patriam
sine luce, amicos sine vita reliquit.

TAZIO Giovanni capodistriano, di cui null'altro sono a mia cognizione

che due scritti da lui dati alle stampe:

1. L'ottimo reggimento del Magistrato Pretorio per ben governare qualsivoglia città e provincia. Venezia appresso Francesco de' Franceschini Sanese 1564. 2. L'Istituzione del Cancelliero. Venezia appresso Gabriele Giolito, 1573.

186. FLACIO Matteo (Francovich), detto Flacio Illirico, famoso teologo luterano, nato li 3 marzo 1520 in Albona dell' Istria, città che faceva parte dell' antica Iliria, od Illirio, per il che si faceva chiamare Flacius Illiricus ('). Tutti i biografi ne scrissero la vita, e parzialmente Gio. Battista Ritter, pubblicata colle stampe di Francoforte in 4o nell' anno 1723, e riprodotta con aggiunte nel 1725. Io non mi servirò d'altra fonte, che di quella più antica, ed originale, traducendo letteralmente quanto disse Giovanni Boissardo nell' opera: Iconum Virorum Illustrium. Francofordii ad Moenum, 1598 pars tertia pag. 258, il quale ne porta il ritratto, e nel prospetto di un basamento, vi ha un libro, una penna, un calamaio, ed è scritto: Nascitur Albonae anno 1520. Obiit Francforctii anno 1575, Il Boissardo era contemporaneo del Flacio, e deve persuadere che fosse pienamente istruito, e della patria, e della famiglia, e delle gesta. Mi servo di questo autore per convincere di abbaglio il padre Cerva, il padre Appendini, e particolarmente il chiarissimo dottor Stulli raguseo, il quale coi precedenti ritiene, e vuole (2) Maitia Francovich nato a Giunchetto,

(1) Dal 1420 fino al 1797 Albona come tutte le altre terre istriane, in varie epoche, appartenne per annessione alla Repubblica Veneta. Una monografia storica di questa città fu scritta e pubblicata da T. Luciani coi tipi dell'Istituto Coletti, a Venezia nel 1879. Secondo P. Tedeschi il nome sonoro di Flacius Illiricus sarebbe un'allusione agli antichi Illirici e non già ai moderni Slavi. V. l'opuscolo Degli errori sull'Istria ecc. (E.)

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(2) Vedi in fine di questa biografia l'articolo dello Stancovich intorno agli scrittori controversi sulla patria del Flacio ecc., a cui fa introduzione una lettera del dott. Stulli di Ragusa. Due altri articoli sulla patria del Flacio e sulla famiglia sua pubblicarono nel 1858 Giuseppe Susanni e Tomaso Luciani nell'Eco di Fiume. (E.)

villaggio poco distante da Ragusa. Non è che io dia gran peso a sostenere essere l'Istria patria di un nemico della Chiesa cattolica e dei pontefici, ma lo faccio soltanto per pura verità storica, e per il tema della presente biografia; essendo il Flacio altrettanto mirabile e celebre per la felicità del suo ingegno e del suo sapere, quanto è condannabile per il suo carattere torbido, per il suo accanimento contro la religione cattolica, e per la sua perversa dottrina (').

Matteo Flacio nacque in Albona, castello dell' Illiria (2), ed ebbe per padre Andrea Flacio (Francovich) dell' antica e nobile famiglia dei Flaci, uomo integerrimo, e per madre Giacomina Lucia (Luciani) della famiglia nobile dei Lucii o Luciani di quel castello.

Matteo, di preclara indole fornito, studio in patria le belle lettere, avendo a maestro Francesco Ascerio milanese, uomo dottissimo. Ricevuti in Albona, i primi rudimenti, fu inviato da' suoi genitori a Venezia per progredire negli studii, che esegui felicemente sotto la disciplina del celebre Giovanni Battista Egnazio (3). Pervenuto all' età di anni 17 pensava di entrare in qualche monastero per dedicarsi con più agio alla sua passione per lo studio; ma distolto da un suo parente (creduto suo zio materno) (1) Baldo Lupatini provinciale dei Minori Conventuali, per consiglio di lui passò in Germania ad apprendere la Teologia nell' Accademia di Basilea, ove faceva radice la sètta luterana. Baldo Lupatini frattanto accusato di eresia luterana, dopo sofferta la carcere per il corso di anni 20, fu annegato.

Matteo Flacio a Basilea fu accolto in casa da Simone Grineo, (5) che gli fu precettore sino all'anno 1539, nella fine del quale passò a Tubinga ad apprendere la lingua greca presso il suo connazionale (gentilem) Matteo Garbicio (forse Garbich) illirico; e successivamente si trasferì a Wirtemberga accolto ospite presso Federico Bachovio ministro della chiesa di Wirtemberga, dal quale istruito nelle dottrine luterane, fu poscia presentato a Pomerano ed a Lutero. Da questi riconfermato nelle medesime dottrine, gli fu procurata in quell' Università la cattedra della lingua ebrea (Linguae sanctae) nel 1544, e nel seguente 1545, per consiglio dei medesimi, prese moglie.

Insorta la guerra Smalcaldica, e sospese le scuole nella Sassonia, lasciò Matteo, Wirtemberga, ed andò a Brunswick, invitato da Medlero. Calmato alquanto lo strepito delle armi, ritornò alla sua cattedra di Wirtemberga nell' anno 1547. Ma essendo stato pubblicato l' Interim di Carlo V, si scagliò impetuosamente contro questo, ed essendo nate discordie tra i teologi di Misnia e quei di Sassonia, Matteo, che

(') Studii storici posteriori basati su maggiori indagini critiche mettono il nostro istriano nella sua vera luce. Leggansi tra molti altri lavori l'opuscolo di T. Luciani Mattia Flacio istriano di Albona Notizie e documenti. Pola G. Seraschin, 1869. · Flacio studio biografico storico del Dr. E. Nacinovich e l'articolo di P. Tedeschi nella Provincia dell'Istria ann. XX, n. 5. (E.) (2) A conoscere le condizioni geografiche e politiche di Albona nel secolo in cui nacque il Flacio basti consultare la succitata monografia storica. (E.)

(3) G. B. Egnazio di Venezia, dotto latinista e valente storico, fu allievo di Poliziano e condiscepolo di Papa Leone X, n. 1472 — m. 1553. (E,) (4) Il Luciani o. c. non mette dubbio che il Lupatini o Lupetino oggi Lupetina fosse parente della madre del Flacio. (E.)

(5) Simeone Grineo di Veringen in Isvevia, teologo e filologo, scopritore degli ultimi cinque libri di Livio. (E.)

zelantissimo seguace di Lutero, sosteneva nulla aversi a cangiare dalla professione di lui, incontrò l'odio de' suoi colleghi, e per il suo scatenamento contro Melantone, il quale aveva principii moderati, dovette abbandonare Wirtemberga, e ritirarsi a Maddeburgo, privo di ogni stipendio.

In quella città, quantunque proscritta da tutto l'impero, e soggetta a molti pericoli, vi era la piena libertà di professare qualunque opinione a piacere. Colà ebbe agio Matteo di dar corso ai suoi trasporti, contro la Chiesa romana, e contro i dissenzienti della dottrina luterana, scrivendo prima contro Osiando, e poscia riprendendo Schwenckfeldio. Colà avendo per collaboratori Gasparo Nidpruk, consigliere cesareo, Gio. Battista Heinzetio augustano, Nicolò Gallo, Giovanni Wigando, Matteo Giudice, ed altri, diede principio a stendere una spezie di Storia Ecclesiastica, ben nota, col titolo di Centuriae Magdeburgenses, opera, la quale primo di ogni italiano si accinse a confutare Girolamo Muzio, e poscia il cardinale Baronio ne'suoi celebri Annales. Mentre Flacio s'intratteneva in questa forma all' Elba, i duchi di Sassonia istituivano una nuova Università a Jena, ed invitato ad insegnare colà la Sacra Scrittura, si trasferì nell' anno 1557, da cui dopo 5 anni fu costretto a partire, per discordia insorta tra lui ed il rettore e filologo Vittorino Strigellio sopra la questione del Libero arbitrio, e ritirarsi a Ratisbona, non ozioso però, ma dedito sempre allo studio, e colà compose più opere.

Nell'anno 1567 fu chiamato ad Anversa, dove riformò quella Chiesa, unitamente a Spangenbergio, Hamelmanno ed altri; e partito da questa città si fermò in Argentina, o Strasburgo, ove pubblicò la Glossa del nuovo Testamento. Finalmente col patrocinio di rispettabili soggetti formò suo soggiorno a Francoforte sul Meno; ma insorta questione e rissa tra suoi confratelli sopra l'essenza e natura del peccato originale, che Flacio sosteneva aver corrotto la sostanza stessa dell' anima, fu accusato di manicheismo, difeso da alcuni, sostenendo che questa era la dottrina di Lutero, mori perseguitato e misero nell' anno 1575 agli 11 di marzo, in età di anni 55, capo di nuova setta.

Fu presente alla di lui morte Adamo Lonicero archiatro di Francoforte; le di lui esequie furono onorate da orazione funebre (1) recitata da Gaspare Heldino pastore della chiesa di Cranberg, e da epicedii, ed epitafii in versi scritti da Wendelino d' Helbach, Giovanni Frassineo poeta cesareo, Cristoforo Ireneo, Paolo Reinecero, Marco Volmario teologi. Fin qui il Boissardo.

Ora colla scorta della Biografia Universale dirò, che Mattia Flacio era dotato di grandi talenti, sopra tutto quale critico, di uno spirito vasto, di un sapere profondo; ma il suo carattere impetuoso, querelante, tropo tenace, guastava le sue buone qualità, e causò molti disordini nel suo stesso partito.

(1) Il Sagg. di bibl. istr. n. 2669 registra questo titolo di un opuscolo: Orazione in morte di Mattia Flacio. Helding, in 4, 1675. (E.)

SCRITTORI CONTROVERSI SULLA PATRIA DEL FLACIO

ed osservazioni del canonico Stancovich

Il dottore Stulli in data di Ragusa 25 novembre 1825 scrisse la seguente lettera al sig. Urbano Lampredi a Firenze, ove in quell' Antologia N. 67, luglio 1826 pag. 138 fu stampata.

«Nulla di più vero, che quanto vi diceva di Matteo Flacio illirico, allorchè mi lagnavo delle molte ommissioni, e di alcuni quiproquo, che risguardo agli scrittori di Ragusa incontro nella Biografia degli uomini illustri, che va uscendo in luce a Parigi, e che tradotta in italiano si ristampa a Venezia, Matteo Flacio illirico, o Matteo Francovich, da prima discepolo del Melantone, quindi suo antagonista, perchè propugnatore zelante del rigorismo della dottrina di Lutero, e da ultimo capo di setta egli pure fu raguseo; come che egli stesso denominandosi albonese abbia indotto in errore chiunque di lui scrisse, non escluso il Bayle cima dei critici; quindi è che tutti lo fanno di Albona terra dell' Istria, posta in sul golfo del Quarnaro. Egli nacque nell'anno 1520 nel villaggio di Giunchetto (illiricamente Sciumet) poco lungi da Ragusa dal secolo decimosesto in poi non ci fu raguseo, per quanto di poche lettere, che ciò ignorasse. Ed era ben natural cosa, che tra pel rumore, che a quell'epoca si levò in Ragusa per l'apostasia del Francovich, e per la fama, in cui tosto venne pel prodigioso ingegno, per le molteplici opere, che diede alla luce, e per le vicende della sua vita politica, la tradizione dovesse prendere in guardia il suo nome, conservandolo tra le memorie nazionali, e tra queste dedurlo fino a noi. Ma non è la sola tradizione che vendichi questo cittadino alla sua patria; ci sono documenti irrefragabili, per cui chiaramente apparisce, ch'ei da principio non dicevasi nè albonese, nè illirico, ma raguseo; essi sono le sue lettere, che ognuno poteva vedere nell' archivio della segreteria del governo di Ragusa, per le quali rendeva conto a quel senato dei progressi che in Allemagna andava facendo la dottrina di Lutero, lo eccitava ad abbracciarla, e magnificava le dignità alle quali era stato esaltato tra i riformati. Il senato rispondeva al Francovich con dispregio, e per poco con minaccie; non senza soggiungere ch'egli appellandosi raguseo contaminava il nome della nazione, cui mostrava di appartenere. Rimbeccava Matteo queste acerbe invettive con parole piene di boria, e di sdegno, e finalmente ripudiava una patria, la quale (secondo ciò ch'ei diceva) venuta in cecità di mente da voler trattare in sì fatto modo un tanto uomo, si era renduta indegna di vantarlo tra i suoi cittadini; e fu allora che il Francovich restò di chiamarsi raguseo.»>

«Posta in sodo la patria del Francovich, e non Francovitz, poco monta sapere per qual motivo egli si dicesse albonese; tuttavia non è qui fuor di luogo allegare una congettura, che i biografi ragusei producono in proposito, la quale tra le molte varietà di congetture non è forse la meno probabile. Dicono essi che tutta quella regione pedemontana dell' agro brenese, che a cominciare dall' ultimo villaggio della

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