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Ecco che ci si offre l'occasione in questa ristampa di appagare il desiderio espresso dall'illustre barbanese, pubblicando due abbozzi di lettere del Gravisi:

ABBOZZI DI LETTERE SCRITTE AD APOSTOLO ZENO

I.

Capodistria, 23 Ottobre 1730

Ho scorso subito il prezioso libro della Perfetta Poesia del Muratori per poi rileggerlo, e studiarlo con maggior tempo; conosco che mi sarà profittevole per le belle cognizioni che l'adornano, e perchè già principia a disingannarmi. Le confesso però, con mio rossore, che il dover mutare un' opinione che in me aveva preso tutto il possesso, mi costa qualche rincrescimento; incolpo il mio poco sapere e l' affezione, che ho mantenuto da gran tempo per i drammi in musica. Mi dispiace ora vederli nel quarto e nel quinto capitolo del secondo tomo estremamente abborriti e maltrattati. Ho creduto sempre ancor' io, che non possono essere, come le buone tragedie, giovevoli ai costumi dello spettatore, e che il poeta. non possa racchiudervi tutti i pregi di quell' arte difficile, che rende maestosa ed utile la tragedia, dovendo egli servire quasi alla musica, e perciò restringere in poco, ciò che dir si dovrebbe più a lungo per isfogare i concetti, che sono alla favola necessarj, e dovendo introdurvi le ariette che interrompono i serj discorsi, ed inducono l'inverosimile; ma non ho creduto giammai (ed è quello appunto, che ora mi rincresce di esser tenuto a credere) che «Se si misurano, come scrive il Muratori parlando dei drammi, queste immaginarie tragedie con le vere, non vi sia fra loro somiglianza veruna, e che i drammi moderni considerati in genere di poesia rappresentativa siano un mostro, ed un unione di mille inverisimili». Sotto questa severa definizione io riponevo solamente buona parte di quelli che vennero alla luce nello scorso secolo, al parere dei saggi, molto disgustosi e privi del buon ornamento, ma non già riponeva tutti i drammi tolti in universale. Leggendo quelli di V. S. Ill.ma mi par di riconoscere in ognuno la condotta di tutto l'intreccio chiara e verosimile, il costume e il carattere degli attori sempre ben conservato, i detti o le sentenze in bocca loro, utili e grandi, e finalmente mi sento benissimo mover a compassione pegli avvenimenti infelici dell' innocente, o allo sdegno per la reità del personaggio crudele ed ingiusto.

Tanto ancora mi accadde di ammirare in alcun altro buon dramma di moderno. poeta. Quindi da tutto ciò raccoglievo potersi leggere i drammi stessi con qualche diletto e meritare almeno di essere in qualche loro parte riputati, quasi ingegnose imitazioni, non già mostri odiosi della poesia rappresentativa. Questa era la mia opinione, che devo riconoscer falsa per le dette ragioni del sig. Muratori, e molto più, perchè V. S. Ill.ma al cap.o sesto del 2.do tomo del predetto libro, la rigetta e condanna. Dopo lette le sue parole sarei troppo ardito, se sopra ciò mi dilungassi; ma perchè io mi tolga dal cuore un grande avanzo di affetto, che provo ancora per questa sorte di componimenti, desidero due sole sue righe, che me lo comandino; ho detto due righe, non intendendo ch' ella abbia da perdere con me quel tempo, che impiega in cose tanto maggiori. L'avverto però, e sia detto pur con sua pace, che io non lascerò di procurarmi a tutto potere i nobilissimi suoi drammi ed oratorii, ed avutili, di tenerli cari all'estremo.

Nel resto poi, quanto so e posso, la supplico a perdonarmi, se con la presente troppo mi sono esteso; non vorrei essere creduto vano e importuno, avendole scritto di una materia che poco intendo, e non dovrei se non col silenzio ammirare.

II.

Capodistria, 13 Novembre 1730°

A V. S. Ill.ma è piaciuto di scrivermi con gentile sollecitudine un' eruditissima lettera, che non mi stancherò di rileggere e che mi sarà sempre cara in estremo. Quell'affetto che avevo per l'innanzi verso i buoni drammi in musica e che mi pareva dover abbandonare per la severa sentenza del sig. Muratori, ritorna a prendere il suo possesso, giacchè l'autorevole opinione di lui lo assicura e conferma. Venga pure alla luce la bramata raccolta de' suoi drammi e oratorj: serviranno essi al pubblico di perfetti e soli esemplari in un tal genere di componimento difficile. Vien questo condannato particolarmente per la passione d'amore, da molti forse con troppa tenerezza introdotta; ma col lume che mi dá la sua lettera, osservo ne' suoi drammi e nel Lucio Papirio (che ora ho per mano) non esser gli amori di Papiria e Rutilia, sebbene nobili e virtuosi, quelli che muovono gli affetti, ma piuttosto il grande animo dei Fabj e l'austera fortezza dell'inflessibile dittatore. Ma egli è tempo che le renda grazie del bellissimo sonetto speditomi; con tutto che io sia per comparire ancor questa volta vano forse o almeno indiscreto, non posso certamente nasconderle i pensieri che formò la mia mente nel rivederlo. Il suo comando mi scusi, e sappia V. S. che se ardisco toccar certe cose che non bene arrivo ad intendere, non lo faccio che per procurarmi qualche sua risposta e in tal modo ritrar profitto dalla sua particolar maniera di scrivere, e dalle bellissime erudizioni che d' ordinario sparge nelle sue lettere:

O passegger, che per le nostre amate

contrade ognor t'avvogli, e i pregi loro
antichi e novi ammiri, e l'onorate.
cose cercando, a se ne fai tesoro;

Ben qui vedrai marmoree logge ornate
di spiranti metalli, e vedrai d'oro
ricchi templi, e palagi ire in beltate
di par con quei di Roma ed in lavoro;

Ma quel per cui passato il mar fors' hai,
miracol di virtù, primo ornamento
de l'italico ciel più non vedrai.

Nè del prisco parlar l'arte e 'l concento

di tante lingue in una bocca udrai:

chè il tutto par nel gran Salvin già spento. (1)

(1) Il Salvini (Anton Maria Salvini), lodato dal poeta, fu un erudito florentino (1653-1729) che collaborò al vocabolario della Crusca e fu eccellente latinista ed ellenista. S. T.

(E.)

Questa a mio credere è una composizione di ottima fattura; l'ingegno e il giudizio hanno posto tutto il loro potere per far riuscire assai bene la condotta, ornata l'elocuzione. Nè alcuno potrà forse desiderare lo stile alquanto più maestoso o più forte o uno sforzo maggiore di pensieri, essendo tal maniera troppo studiata e mal convenevole al presente doloroso argomento. - Giovami esaminare il sonetto con qualche attenzione, giacchè quanto più si considera, esso acquista sempre nuova grazia e bellezza. Nel primo quadernario principia il poeta a parlare con quel virtuoso passaggiero che va vedendo l'Italia, e in tal modo introduce una buona lode di così bella parte di Europa, degna dell'altrui nobile curiosità. Nel 2.do quadernario si dice che vedrà i ricchi templi e palagi di Firenze, emulatrice di Roma nei sontuosi edifizi. Il primo terzetto poi è quello che mi commove. Ma tu o passeggiero, gli segue a dire, non vedrai quello per cui forse hai passato il mare, quello ch' era l'ornamento del nostro cielo; (') e in fine dell'ultimo terzetto non ascolterai l'arte del buon antico parlare, nè in una bocca il concento di tante lingue: chè il tutto par nel gran Salvin già spento.

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Qui certamente nel leggere questo ultimo verso mi sono alquanto fermato, e la viva commozione in me già mossa dal primo terzetto mi trasportò a levar ogni dubbio e a mutar il sentimento in questa maniera:

Nè del prisco parlar l'arte e 'l concento

di tante lingue in una bocca udrai:

chè il tutto oimè! nel gran Salvini è spento.

Non vorrei, che quella voce dolente, oimè, in luogo di dar un colore più vivo. alla passione e di render il verso più dolce, togliendone i tanti monosillabi, lo rendesse anzi languido e cadente.

Ma chi sa poi che io non levi tutto il buon ordine del sonetto togliendomi dal fine che si era proposto il poeta? Dice egli al suo passaggiero, che non vedrà più il primo ornamento del nostro cielo; cosicchè suppone essere stato il Salvini il primo bensì, ma non già il solo ornamento d'Italia, e in conseguenza restarne ancora alcun altro; quindi a ciò avendo riguardo, dice, che gli pare non già che assolutamente il tutto con lui sia venuto a fine. Io però non crederei doversi riputare di così angusti confini la vasta giurisdizione dei poeti. Nei principii dei loro componimenti possono ben fare alcuna espressione più moderna, ma nel fine, per la forza dei loro trasporti, possono anche valersi di concetti più franchi e più risoluti. Mi sia lecito porre più sotto un sonetto di monsignore della Casa, fatto in morte appunto del cardinale Bembo, piacendomi in questo luogo di comparare il cardinale Bembo col Salvini e monsignore della Casa col Casaregi, due letterati del secolo XVI con due letterati del nostro.

(1) Quando moriva il Salvini (primo ornamento dell'italico ciel), nascevano proprio nello stesso anno 1729 Giuseppe Parini e Lazzaro Spallanzani, e dava già alte speranze del suo potente ingegno drammatico Carlo Goldoni. Furono nello stesso secolo primo ornamento dell' italico ciel Beccaria, Volta, Volpato, Galvani, Mascheroni, Lagrangia, Muratori, Maffei, Denina, Giannone, Botta, Varano, Filangeri, Genovesi, Tiepolo, i fratelli Verri, Poleni, Visconti, Gamba, Carmignani, Carmeli, l'ammiraglio Emo; Zeno, Cesarotti; gl' istriani Tartini, Carli e molti altri di cui in ogni tempo fu ed è feconda la gran madre Italia. (E.)

Or piangi in negra vesta orba e dolente
Venezia; poichè tolto ha morte avara
Dal bel tesoro, onde ricca eri e chiara

Si preziosa gemma, e si lucente.

Cioè nel gran numero dei valentuomini che erano in Venezia morte ha tolto il Bembo che era tra più riguardevoli. E che abbia sotto l'allegoria del tesoro così voluto farsi intendere, chiaramente apparisce nel quadernario che segue:

Nella tua magna, illustre, inclita gente,
che sola Italia tutta orna e rischiara,
era alma a Dio diletta, a Febo cara,
d'onor amica, e a ben oprar ardente.

Questa angel novo fatta, al ciel se n' vola

suo proprio albergo e impoverita e scema
del suo pregio sovran la terra lassa.

Ma benchè il Casa sia andato col Casaregi così bene d'accordo, essendosi ancor' egli fatto intendere nel principio di questo sonetto, essere il Bembo una gemma preziosa, ma non già l'unica di quel tesoro; cioè restarne ancora dei gran soggetti in Venezia, nondimeno professa con maggiore franchezza nel fine rimaner per una tal perdita oscura e abbandonata quella città:

Bene ha, Quirino, ond' ella plori e gema

la patria vostra, or tenebrosa e sola,

e del nobil suo Bembo ignuda e cassa.

E in conseguenza con Venezia rimaner priva del suo decoro tutta Italia, essendo Venezia quella — «Che sola Italia tutta orna e rischiara.» Dopo aver scritto sino a questo termine la lettera ho voluto vedere le annotazioni sopra lo stesso sonetto. Ecco le parole dell' abate Menagio (non le ho potuto ommettere, perchè mi fanno troppo a proposito): Venendo scritto questo sonetto a Girolamo Quirino, persona eminente per dottrina, par non dovesse il Casa chiamar Venezia patria del detto Quirino, tenebrosa e sola, sendo Quirino vivo . . Ma si può credere che qui fu turbato il Casa dalla morte di un tale amico. Il sig. Ottavio Falconieri, gentiluomo eruditissimo rispondeva a favore del Casa ch' egli scrivendo in nome d'un personaggio famoso qual era il Bembo, non doveva aver riguardo se non ad ingrandir la perdita fatta dalla sua patria conforme è l'uso dei poeti in casi simili, benchè verisimilmente nella città, dove muore qualche grand' uomo, ve ne restino sempre degli altri.

Ma devo sciogliere un altro obbietto, che nasce nella mia mente. Chi sa che il poeta non abbia voluto adornare quell' ultimo suo verso con una verità o con un modo più vero di esprimersi qual è il dire: Pare il tutto esser venuto a fine col Salvini? Io però non consideravo questa una verità nova e maravigliosa, apportatrice di un singolare diletto; nè il dolore a mio credere si contenta di un'espressione dal severo giudizio troppo disaminata; quindi il poeta o mosso dal doloroso infelice argomento de' suoi versi, o dal debito che gli corre d'imitare in tali casi la natura, si serve delle immagini più vive e le toglie dalla fantasia, che al dire del sig. Muratori,

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n'è la feconda sorgente. Ora, agitata questa potenza dalla passione di una tal perdita ogni oggetto di virtù che se le appresenta le par affatto deforme, non vedendo in tutta l'Italia, tolto il suo Salvini, alcun altro pregio e ornamento: «Che il tutto oimè nel gran Salvini è spento.» In molti luoghi delle sue rime e nel sonetto che principia Spirto felice, che si dolcemente il Petrarca pianse la morte della sua Laura con maggior iperbole perchè innamorato:

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Nel suo partir parti dal mondo amore:

e cortesia e 'l sol cadde dal cielo,

e dolce incominciò farsi la morte.

Ma devo finire una volta e accorgermi della vana mia fatica di apportar esempî e autorità a chi migliori e infinite me ne potrebbe suggerire. Frattanto per intendere da V. S. Ill.ma, che è il mio buon maestro, il suo parere circa il sonetto e l'approvazione o la condanna di questo mio parere ho disteso una disordinata lunghissima diceria piena d'inutili ripetizioni. Ed il meglio si è che per alcun altro dubbio che mi va nascendo, temo che nemmeno ragionevole le sia per compatire l'ardita mia mutazione del noto verso. Se mai le è possibile mi soffra ancora questa volta o faccia della mia lettera quel buon uso che suol far di quelle di complimento. A costo però di tutta la mia curiosità e del mio profitto voglio correggermi per l'avvenire.

SCRITTI INEDITI"

I. Spogli di storia istriana tratti da antichi scrittori greci e latini.

II. Spoglio di documenti riguardanti la nomina di precettori alla Schola di Capodistria, dall'anno 1461 al 1540. In questo spoglio si discorre anche del celebre Francesco Zambeccari di Bologna, delle cui notizie si servi il dotto tedesco Riccardo Foerster, professore all' Università di Breslavia (Slesia pruss. sull' Oder). Vedi Lettere ad A. G. Capodistria.

III. Lettere sopra argomenti di economia domestica.

Si riferiscono poi allo stesso Gravisi i seguenti scritti:

I. Alcune lettere di G. R. Carli.

II. Elogio funebre recitato nella Cattedrale di Capodistria da Alessandro Gavardo.

III. Lettera di Alessandro Gavardo intorno all'elogio funebre.

IV. Lettera d. d. da Milano 22 giugno 1774 di G. R. Carli a Girolamo Gravisi, in cui il Carli deplora la morte dell'amico suo, la quale qui riportiamo:

Carissimo amico e cugino,

Milano 22 Giugno 1774

La dolorosa storia che in dettaglio mi fate della malattia e morte del nostro marchese Giuseppe Gravisi, m'ha prodotto tal sentimento di tristezza e di afflizione,

(1) Si conservano tra i Mss. Gravisi B.

(E.)

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