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CRISTO il profeta Elisco; ma persuasi da' suoi dotti e robusti ragionamenti, abbracciarono la fede cristiana.

Mentre DONATO coglieva feraci messi nel campo evangelico, Diocleziano nell'anno 393 pubblicò in Nicomedia rigorosissimi editti contro i Cristiani; epoca nella quale ricorda la Chiesa la più fiera delle persecuzioni, ed il sangue dei martiri sparso a torrenti.

Massimiano Erculeo, che risiedeva in Milano, seguendo gli ordini di Diocleziano, sparse il terrore, ed esercitò la ferocia per tutta Italia, e per le provincie di suo dominio. Pervenutagli la fama che in Aquileja DONATO faceva grandi progressi contro il culto pagano, infiammato d' ira spedi satelliti a catturarlo, ed in difetto a portargli la testa. Divulgata la nuova in Aquileja, e prevenuto DONATO da divino consiglio, postosi sopra una navicella passò il fiume Natisa, e solcato il mare, si ritirò a Salona: e sopra la cima di un altissimo monte, poco lontano da quella città, visse per dieci mesi ignoto a ciascuno, dedito intieramente agli esercizii di religione, allo studio dei libri sacri, alla penitenza ed alla contemplazione dei misteri divini.

Diocleziano, celebrato in Roma il vigesimo anno del suo impero, parti da quella capitale per passare in Oriente, e nel mese di maggio dell' anno 304 arrivò a Salona, per rimettersi da una grave malattia, contratta nell' anno precedente, ponendo sua speranza nell'aria natia, e nella salubrità di quel cielo. Portossi un giorno sulla sommità di quel monte, ove DONATO aveva il suo ritiro, per offerire sacrifizii, e porgere voti a Giove e ad Ercole, per la prosperità sua, e di Massimiano; ma trovando muti gli oracoli, nè accetti i voti, sospettarono gli auguri che in quel monte fosse nascosto qualche cristiano. Fatte rigorose perquisizioni fu scoperto DONATO, il quale condotto dinanzi Diocleziano, predicò imperturbato la fede cristiana, a cui per ordine dell' imperatore, furono incaricati rispondere Macario e Teodoro, due de' suoi più dotti e riputati ministri, i quali, da DONATO convinti, esposero destramente al monarca sentimenti favorevoli a quella dottrina. Nel giorno seguente tornarono Macario e Teodoro a ragionare con DONATO, ed un pieno convincimento li rese seguaci di Cristo in modo, che presentandosi a Diocleziano ed esponendo al medesimo le verità della dottrina cristiana, cercarono di persuaderlo e condurlo alla medesima. Sorpreso quel principe dell' avvenuto, minacciò loro i più atroci supplizii, ed essi maggiormente con piena fermezza professarono la fede di Cristo. Diocleziano furente fece accendere un gran rogo nel mezzo del foro, ed incatenato DONATO lo fece gettare nel medesimo in unione a Macario e Teodoro, e per divino prodigio, con istupore universale, rimasero illesi.

Infierendo Diocleziano contro di essi, feceli esporre nell' anfiteatro alla voracità delle fiere, e queste mansuete accarezzando i confessori di Cristo, si avventarono feroci contro i ministri del principe. A questo spettacolo cominciò DONATO per il primo a predicare alla moltitudine colà raccolta le verità evangeliche ed i misteri cristiani, quindi Macario e poscia Teodoro, ai quali applaudendo il popolo, fu convertito un numero grandissimo di gente. Appena cessò Teodoro di parlare, un forte terremoto scosse la città, mise in rovina varii fabbricati, ed impose tale spavento, che tutti fuggendo, rimasero soli nel mezzo dell' anfiteatro i tre confessori, sciolti dalle catene per disposizione del Cielo, ed ammoniti di fuggire il tiranno, ascesero sopra una nave, e nel corso di dodici giorni di navigazione, con prospero vento, arrivarono in Ales

sandria. Proseguirono quindi il viaggio per terra, e giunsero a Thmui città africana, ove reggeva quella chiesa il vescovo Filea, il quale nell'anno 305 ai 4 di febbrajo fu onorato di glorioso martirio.

Con segni visibili del Cielo, per consenso generale del clero e del popolo, a Filea fu sostituito DONATO, il quale, ordinati Macario a sacerdote, e Teodoro a diacono, governo con essi santamente quella chiesa, per il corso di circa quindici anni, e. poscia riportò la palma del martirio intorno l'anno 320, cinquantesimo dell' età sua, avendo l'impero di Oriente, Licinio, che allora crudelmente infieriva contro i cristiani.

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93. S. GIROLAMO il più sapiente dottore della chiesa latina, che l'onorò col titolo di Massimo, fu figlio di Eusebio, e nacque nel castello di Stridone, oggidi Sdregna nel Marchesato di Pietrapelosa, diocesi di Capodistria ('), intorno l'anno 331 secondo la più comune opinione (a), e secondo il Muratori nel 341. Egli fu di una ricca famiglia, accennando le celle dei servi la di lui nutrice comune con Bonoso, ed il di lui precettore Orbilio, sotto cui con fatica, com' egli dice (b), apprese gli elementi della lingua latina. Ebbe pure un fratello Pauliniano, ed una zia materna, Castorina, colla quale lungo tempo ebbe contese, che poscia furono troncate dal santo (c).

Si crede che passasse alcun tempo a studiare in Aquileja, ma è certo che si trovò in Roma nel 360 insieme con Bonoso, allettati ambidue dalla fama di Vittorino rettore, a cui il senato eresse una statua nel Foro Trajano, e di Donato grammatico. Nella scuola di questi insigni precettori, che nomina sempre con riconoscenza, si applicò con istudio indefesso nella Rettorica, nella Logica, nella Filosofia; nè vi ha poeta, oratore, filosofo, o storico si greco che latino da cui non traesse sommo profitto, e della cui erudizione fece poi uso frequente, in tutte le opere di religione.

Suo malgrado però, ed a fronte di tanta applicazione, le delizie di quella capitale irresistibilmente lo attrassero, mentre confessò egli stesso la sua lubrica vita, il trasporto per le danze, e la compagnia di giovani donzelle. Si ammalò, e tocco dalla grazia del Signore, chiese il battesimo, e lo ricevette; quindi si diede intieramente alla pietà, visitando le tombe dei martiri, e nel resto del giorno si dedicò allo studio delle sacre scritture, trascrivendo e facendo trascrivere per suo conto da periti dell'arte, i libri più distinti, ed in modo che durante il suo soggiorno in Roma si procurò un' insigne biblioteca, che gli fu il più caro oggetto nel corso della sua vita.

Dopo 10 anni circa di soggiorno in Roma parti con Bonoso, toccò Aquileja, fece il giro delle Gallie, sempre in traccia degli uomini più celebri, nonchè di codici accreditati. Nell' anno 368 si ritrovò in Treviri, ascoltò S. Ilario vescovo di quella

(') S. Girolamo, gran dottore della Chiesa, nato secondo una costante tradizione locale e provinciale a Sdregna sui monti della Vena. A. Amati e T. Luciani. Studii sull' Istria. 1867.

S. Girolamo da Stridone, ora Sdregna nel distretto istriano di Pinguente, non lungi da possedimento già tenuto dai Vergerii. C. Combi, vedi la nota 1) della Biografia di P. P. Vergerio il Seniore. (E.) (a) Schoel. Abregée de la Littérature romaine, Paris 1815. IV pag. 45. Il padre Dolci nella vita di S. Girolamo, Anconae 1750, ritiene l'opinione del Muratori.

(b) Apol. II. adversus Rufinum.

(c) Nella lettera alla detta Castorina dice: Quid agemus nos in die judicii, super quorum iram non unius dici, sed tantorum annorum sol testis occubuit? Quomodo in quotidiana prece diximus, dimitte nobis debita nostra, sicut et nos dimittimus? Quod si tu, quod procul absit, volueris, ego liber ero. Epistola me hæc mea, cum lecta fuerit, absolvet.

città, e trascrisse il libro del di lui Sinodo, ch'era in estimazione. Al principio dell'anno seguente 369 ritornò in Aquileja e vi si fermò qualche tempo, trattenuto dalla santità e dottrina di Valerio vescovo di quella città, di Nepoziano, di Ruffino, di Eliodoro, di Fiorenzo, di Cromazio, di Giovino, di Nicea, di Grisogono, e di altri celebri monaci, coi quali prese e rinnovò stretta amicizia, e che nelle sue opere chiama Coro di Angeli. Risolvette passare in Oriente, e con dolore si staccò da essi; parti però con Bonoso e Nicea; toccò di volo la patria, i cui costumi depravati egli ci ha tramandati (a). Bramoso di ritirarsi in un eremo, non trovò opportuno il suolo natio, dicendo: monachum in sua patria perfectum esse non posse. Passò nell' Oriente, chiamato dalla fama di quei monaci, scorse la Tracia, il Ponto, la Bitinia, la Gallazia, la Cappadocia, la Cilicia, e come a naufrago gli si presentò fidissimo porto la Siria. In questa peregrinazione visitò con diligenza ciascun eremo, ascoltò quei monaci, e rimase colpito della loro austerità e penitenza; nominò varii di questi fra quali uno della Siria, che per 30 anni chiuso in quel deserto, visse di solo pane di orzo ed acqua fetida, soggiungendo che quelli dell' Egitto lavoravano colle loro mani, non tanto per acquistarsi il vitto necessario, quam propter animæ salutem. Mosso da questi luminosi esempii, passò in Antiochia, ascoltò con piacere Apollinare di Laodicea, il quale non aveva peranco fatto scisma nella chiesa, e concepì di lui grande stima. In quella città si uni in istretta amicizia con Evagrio nobile e ricco prete della Calcide, il quale fu vescovo di Antiochia dopo la morte di S. Paolino. Finalmente nel deserto della Calcide, tra la Siria e l'Arabia, 30 miglia lungi da Antiochia, scelse un luogo per suo eremo, presso Mironia, nel 372, e andò a seppellirsi in quella solitudine co' suoi compagni, prestandosi al lavoro per fuggire l'ozio, e procurarsi il vitto, senza essere di peso ad alcuno, com' egli scrive a Marco Celedese prete della detta Calcide. Nihil alicui præripui; nihil otiosus accipio. Manu quotidie, et proprio labore quærimus cibum, scientes ab Apostolo scriptum esse: QUI AUTEM NON OPERATUR NON MANDUCET. Quali poi fossero i lavori, nei quali s'intrattenevano quei romiti, lo indica S. Girolamo nella lettera al monaco Rustico, cioè: Tesser fiscelle di giunchi, far canestri di vimini, coltivare l'orticello, innestar alberi, far vasi da pecchie, far reti, e scriver libri, AFFINCHÈ LA MANO FATICANDO SI GUADAGNI IL CIBO E L'ANIMO NELLA LEZIONE SI SAZII: e quale fosse il cibo lo-indica nell' epistola a Paolino. Sit levis, et vespertinus cibus. Qui Christum desiderat, et illo pane vescitur, non quærat magnopere, de quam prætiosis cibis stercus conficiat. Quidquid post gulam non sentitur, idem quod, et legumina. Colà scrisse la vita di S. Paolo primo eremita, la dedicò a Paolo di Concordia, e si occupò a tradurre varie opere dal greco. A fronte però delle meditazioni, delle penitenze, dello studio indefesso, e dei lavori corporali, venne assalito dalle tentazioni; e Roma, secondo l' espressione di un antico autore, gli si affacció alla mente, non già vittoriosa e trionfante, ma con le delizie della corte, e coi più bei volti delle dame, che vi avea vedute. Per distrarsi da tali pensieri, e consolarsi dell' involontario rammarico che provava, raddoppiò il

(a) Nell'epistola a Crescenzio: In patria mea, rusticitatis vernacula Deus venter est et in diem vixitur, et sanctior est, qui ditior est. Accessit huie patellae, juxta tritum populi sermone proverbium, dignum operculum, LuricinuS SACERDOS . . . ut perforatam navem debitis gubernator regat, et caecus coccos ducat in forcam, talis sit rector, quales qui reguntur.

digiuno, si percosse il petto, si diede alle preghiere, e si dedicò a studiare la lingua ebraica con mirabile pazienza e instancabile applicazione, superando tutte le difficoltà, che gli sembravano insormontabili. Pervenne con questi mezzi all' intento d'istruirsi nell' ebraico, e vincere l' incentivo della lascivia. Egli stesso con sentimenti che toccano il cuore, rende conto nell'epistola a Rustico (a), ed in quella alla vergine Eustochio (b). La chiesa di Antiochia era divisa da fierissimo scisma sopra le tre ipostasi in. una sola natura, o di una ipostasi in tre persone. S. Girolamo scrisse al pontefice Damaso per ritenere quanto da lui gli sarebbe prescritto, e per essere unito al capo della Chiesa cattolica. Gli scismatici sostenevano le tre ipostasi, e perciò perseguitavano crudelmente S. Girolamo. Bonoso si ritirò in un' isola dell'Adriatico, e da' suoi fratelli monaci S. Girolamo fu pure abbandonato, desiderosi, com' egli dice, di vivere piuttosto colle fiere, di quello che con tali cristiani. La persecuzione degli Ariani infieri di più contro di lui, e fu costretto abbandonare quell' eremo, chiedendo per grazia, che gli si accordassero pochi mesi di tempo, avuto riguardo alla sua salute mal ferma, e alla rigidezza dell' inverno (c). Fuggi da quel ritiro, e nel principio del 377 passò a Gerusalemme, portando seco la sua prediletta biblioteca.

Colpito dal Signore, fu ridotto quasi a morte; protestò di non far uso più di libri profani, ed ottenne da quel vescovo di alloggiare in Betlemme presso la culla del Salvatore, per seguire la vita anacoretica, e attendere più tranquillo allo studio delle sacre scritture. Nell' anno 378 fu ordinato prete, contro sua voglia, da S. Paolino vescovo di Antiochia, senza però essere astretto ad alcuna chiesa; e per verecondia e modestia, non volle mai esercitare le funzioni del suo ministero. Tradusse la cronaca di Eusebio di Cesarea, e la dedicò ai suoi amici Vincenzo e Galleno: essa arriva all'anno 378.

Si recò a Costantinopoli nel 379 per approfittare delle istruzioni di S. Gregorio Nazianzeno, ed erudirsi nello studio delle sacre scritture. Colà fu suo precettore Didimo nella Catechesi, e vi si trattenne tre anni, cioè sino a che lo stesso Nazianzeno abbandonò quella sede. Passò poscia in Antiochia, e ritornò a Betlemme nel 381, da cui nel seguente anno 382 fu chiamato a Roma dal pontefice Damaso, per dove si diresse in unione a S. Paolino vescovo di Antiochia, e a S. Epifanio vescovo di

(a) Dum essem juvenis, et solitudinis me deserta vallarent, incentiva vitiorum, ardoremque naturae ferre non poteram: quem crebris jejuniis frangerem, meus tamen cogitationibus æstuabat. Cuidam fratri, qui ex haebreis crediderat, me in disciplinam dedi . . . . ut alphabetum discerem, et stridentia anhelantiaque verba meditarer. Quid ibi laboris insumpserim, sustinuerim quid difficultatis; quoties desperavim; quoties desperavim; quoties cessaverim et contentione discendi rursus incoeperim; testis est tam conscientia mea, qui passus sum; quam eorum qui mecum duxerunt vitam.

(b) Sedebam solus; horrebant sacco membra; defformis et squallida cutis similitudinem Ethiopicoe carnis obduxerat. Quotidie lacrymae; quotidie gemitus; et si quandi repugnantem somnus oppressisset, nuda humo viz ossa hærentia collidebam. Ille igitur ego, qui ob gehennæ metum tali me carcere ipse damnaveram, scorpionum tantum socius, et ferrarum, choris intereram puellarum. Pallebant ora jejuniis, et mens desideriis œstrabat. Memini me clamantem, diem crebro junxisse cum nocte; nec prius a pectoris cessasse verberibus, quam Domino increpante, reddiret tranquillitas.

(c) Epistola a Marco Caledese. Ego ipse, nisi sue me et corporis imbecillitas, et hicncis retineret asperitas, jam modo fugerem. Verumtamen dum vernum tempus adveniet, obsecro, ut paucis mihi mensibus eremi concedatur hospitium; aut si hoc tardum videtur, abscedo. Domini est terra, et plenitudo ejus.

Salamina di Cipro, per assistere al concilio colà radunato contro la turba antiochena, ossia contro gli Ariani d' Oriente.

S. Girolamo servi in quel concilio da segretario a Damaso, e la maniera con cui esercitò tale uffizio gli fece molto onore, come pure acquistossi gran nome, spiegando pubblicamente la sacra scrittura. Fu incaricato dal pontefice di correggere la traduzioue latina del Nuovo Testamento, che adempi col confronto del testo greco; terminò il Trattato dei Serafini; scrisse contro Elvidio discepolo di Aussenzio vescovo di Milano eretico Ariano, che negava la virginità di Maria, e pubblicò il libro De perpetua Virginis Mariæ virginitate; scrisse il Dialogo contro i Luciferiani discepoli di Lucifero vescovo di Cagliari in Sardegna, il quale sosteneva che la caduta dei vescovi del concilio di Rimini non poteva essere assolta per qualunque penitenza, ma soltanto colla deposizione dell' episcopato; dottrina contraria ai canoni della Chiesa; atterrò pure il nostro santo le bestemmie dell'eretico Gioviniano monaco.

Le principali dame romane divennero sue allieve, ed egli le istrui nella pietà, nella religione, e nell'intelligenza dei libri sacri. Elle furono Paola vedova di Tvsozio, del sangue consolare dei Gracchi e degli Scipioni, colle quattro di lei figlie Blesilla, la vergine Eustochio, Paolina e Ruffina; Albina e le di lei figlie Asella e Marcella pure di famiglia consolare; Felicita, Lela, Lea, e Melania figlia del console Marcellino, ed altre. Alcune, come Paola e la figlia Eustochio vollero apprendere il greco e l'ebraico, ed in queste lingue parlavano, scrivevano, e salmeggiavano nei cantici sacri. Le lettere che loro indirizzò ne' suoi viaggi, ci hanno conservato una parte delle pie e commoventi istruzioni del Dottore, e della santità di queste dame ammirabili; sopratutto, i consigli che dà a Leta per l'educazione di sua figlia, ad Eustochio per custodire la virginità, a Furia sopra il conservare la vedovanza, e gli epitaffi di Paola diretti alla figlia Eustochio e di Marcella, alla vergine Principia, offrono sublimi insegnamenti di pietà, di penitenza, di virtù, e di santità.

Il pontefice Damaso mori ai 13 di gennajo 385, e gli succedette Siricio, il quale essendo di corto ingegno, fu mal prevenuto di S. Girolamo, nè si servi di lui nello scriver lettere, come fece il di lui predecessore. L'invidia, la maldicenza, e la detrazione allora si scagliarono contro il santo Dottore, il quale già aveva ripresi i costumi sregolati, l'ignoranza, e l'avidità di quel clero. Fu attaccato principalmente per la relazione che aveva colle indicate matrone romane. Nella lettera scritta ad Asella, prima di montare in nave, ne fa una viva, tenera, e commovente pittura (a). Disgustato di Roma parti nel mese di agosto di detto anno, in unione a suo fatello Pauliniano, S. Vincenzo prete, e ad una moltitudine di santi e monaci che l' accompagnarono altri sino al Porto Romano, ed altri sino in Palestina. Ascese la nave, veleggiò sino a Reggio, ove si fermò per attendere alquanto Paola ed Eustochio madre e figlia; nagivò fino a Cipro, visitò a Salamina il vescovo S. Epifanio, passò in Antiochia,

(a) Licet me sceleratum quidem putent, et omnibus flagitiis obrutum . . . . Ego probosus; ego versipellis et lubricus; ego mendax, et Satanae arte decipiens . . . . . Osculabantur mihi manus quidam, et ore vipereo detrahebant: hic in simplicitate aliud suspicabantur. La calunnia tendeva principalmente, perchè Paolo e Melania avevano stabilito di accompagnarlo a Gerusalemme; segue egli: Nihil mihi obiicitur, nisi sexus meus; et hoc numquam obiicitur, nisi cum Hierosolymam PAULA et MELANIA proficiscuntur. O invidia primum mordax tui ! Nullae aliae romanae urbi fabulam praebuerunt, nisi PAULA et MELANIA, quae contemptis facultatibus, pignoribusque desertis, crucem Domini, quasi quodam pietatis lavare

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