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ove fu accolto con somma allegrezza dal vescovo S. Paolino, ed alla metà dell' inverno di detto anno 385, con gran freddo, felicemente arrivò a Gerusalemme. Di là scorse l'Egitto, si trovò in Alessandria nel 386 con Paola; ascoltò Didimo per la seconda volta, e quantunque avesse i capelli bianchi, non si credeva troppo vecchio per cessare di apprendere. Visitò gli eremi della Nitria, monte dell' Egitto, sul quale una moltitudine di anacoreti attendevano alla penitenza, ed in questa circostanza indicò il contegno di Paola nel di lei epitafio: Mirus ardor, et vix in fæmina fortitudo. Oblita sexus, et fragilitatis corporeœ, inter tot millia monachorum cum puellis suis habitare cupiebat. Trovò quegli eremi imbevuti delle opinioni di Origene (') da Evagrio Pontico, quindi si ritirò da essi, e ritornò a Betlemme.

Confinato in quell'eremo rinnovò lo studio della lingua ebraica, onde maggiormente perfezionarsi nella medesima. A quest' oggetto, con grave dispendio, com'egli scrive ad Oceano, si servi di Barabano di notte tempo, perchè temeva i Giudei (a). Dai codici, che dagli ebrei si consideravano canonici, tradusse il Vecchio Testamento dall' ebraico nel latino, come dice nel catalogo: Vetus juxta Hebraicum transtuli. Di questa traduzione fu criticato da' suoi malevoli, e specialmente da Ruffino, contro cui nell'apologia se ne duole (b). La riputazione però di questa traduzione è abbastanza nota, e tanto più da che il Concilio di Trento l' ha consacrata sotto il titolo di Volgata:

vexillum. Si balnea peterent, unguenta eligerent; divitias, et viduitatem haberent materiam luxuriae, et libertatis, Dominæ vocarentur et sanctæ nunc in sacco, et cinere formosae volunt videri, et in gehennam ignis cum jejuniis et pædere descendere . . . ., antequam domum S. Paulæ nossem, totius in me urbis studia consonabant; omnium pene judicio dignus summo sacerdotio decernebar. Inoltre indica qual' era PAULA: cujus canticum psalmi, sermo evangelium, deliciae continentia, vita jejunium; squallens sordibus, et flætibus pene cæcata.

Nella prefazione al libro De spiritu sancto di Didimo dimostra il suo disgusto verso Roma, dicendo: Dum in Babylone versarer, et purpuratœ meretricis essem colonus, et jure quiritum viverem ecce olla illa, quae in Hieremia post baculum cernitur, a facie Aquilonis ardere, et Pharistorum conclamavit Senatus; et nullus scriba vel fictus, sed omnis quasi indicto sibi prælio doctrinarum, adversus me imperitiae factio conjuravit. Il Baronio all'anno 385, parlando di questa invettiva, osserva saggiamente, che non devono prendersi in ampio senso queste espressioni, nè intendersi la generale ignoranza e sregolatezza dei costumi del clero romano; mentre la storia c'istruisce che a quel tempo v'erano in Roma degli uomini di merito per dottrina. e per santità; e che S. Girolamo parla soltanto di quegli ignoranti e viziosi, che in buon numero aveva già in precedenza corretti, ripresi. Infatti nell' epistola 40 dice: Nos vitiis detrahentes offendimus plurimos.

(1) Origene dottore della chiesa (185-253) alessandrino; pubblicò opere che fecero rumore, tra cui I commentarii sulla sacra scrittura, l'Apologia del cristianesimo contro Celso ecc. Mori a Tiro lasciando sospetti di eresia sulla sua dottrina. Ammetteva infatti la presistenza delle anime, pene non eterne, Gesù figlio soltanto di Dio per adozione ecc. (E.)

(a) Putabant homines me finem fecisse discendi. Quo labore, quo protio Barabanum habui nocturnum praeceptorem? Timebat enim judeos.

(b) Egone contra septuaginta interpretes aliquid sum locutus; quos ante annos plurimos diligentissime emendatos meae linguae studiosis dedi? . . . . Ego philosophus, rhetor, grammaticus, dialecticus; haebreus, graecus, latinus, trilinguis. Hoc modo, et tu bilinguis eris, qui tantum habes graeci latinique sermonis scientium; e poscia: O labores hominum semper incerti! O mortalium studia contrarios interdum fines habentia! Unde me putabam benemereri de latinis meis, et nostrorum ad discendum animos concitare; inde in culpam vocor; et nauseanti stomacho cibos ingero. Lo Stiltingo (Acta SS. Sept. T. VIII) difese egregiamente S. Girolamo accusato di aver oltrepassato i limiti di una giusta moderazione nelle controversie con Ruffino.

ed è pure una gloria per S. Girolamo, che la Chiesa greca ne facesse la traduzione dal latino in quella lingua. Quantunque immerso nello studio, nella penitenza, nell'austerità della vita, non cessò dirigere i monasteri che S. Paola aveva fatto edificare. a Betlemme, uno per gli uomini, e tre per le donne di varia condizione, attendendo pure all' educazione dei fanciulli.

S. Girolamo pubblicò nel 392 il libro degli uomini illustri, ossia il Catalogo degli scrittori ecclesiastici, e nell' ultimo articolo parla di sè medesimo, indicando la patria di lui, e presentando l'elenco di tutta la serie delle opere sino allora da lui scritte. Nel 393 il fratello Pauliniano fu ordinato per forza prima diacono, e poscia prete da Sant' Epifanio, vescovo di Cipro, nella chiesa della villa del di lui monastero eleuteropolitano presso Gerusalemme, diocesi di Giovanni, vescovo di Gerusalemme, . seguace di Origene, e successore di S. Cirillo.

Questa consacrazione richiesta da S. Girolamo, perchè nel monastero di Betlemme non vi era alcun sacerdote, diede occasione al vescovo Giovanni d'inveire contro S. Epifanio, e S. Girolamo, ponendo l' interdetto al monastero, e proibendo a ciascuno di riconoscere Pauliniano per sacerdote. S. Epifanio declamò contro gli Origenisti in Gerusalemme alla presenza del vescovo Giovanni, e gli scrisse una lettera in greco, con cui giustificò l'ordinazione in aliena diocesi, appoggiato alla consuetudine e all'uso reciproco, e perchè fatta nel proprio monastero; la qual lettera San Girolamo tradusse in latino, e la rese pubblica. Maggiormente s' irritò Giovanni, e sognò calunnie contro S. Epifanio e S. Girolamo, il quale scrisse contro il medesimo, già infetto di arianismo, e gli presentò la professione di fede, indicando che la questione dell' ordine non era che un puro pretesto alla persecuzione; sorse quindi fermento e discordia tra il vescovo, e quei monasteri. Il conte Archelao s'interpose mediatore, ma il rescovo Giovanni lo rifiutò, perchè attendeva Isidoro monaco di Nitria, e poscią prete, spedito legato da Teofilo vescovo di Alessandria, il quale era pure infetto della pece di Origene. Di questa facetamente dá conto S. Girolamo: Post duos tandem menses venit Isidorus, potens (incessus tamen, et habitus gravitate), et cui Hieronymus cum pannosa turba, et sordidalis gregibus ansus est respondere; ne crederet, opprimi se presentia, et mole corporis sui.

Nel frattempo scrisse la vita di Sant' Ilarione, si scagliò contro gli eretici, dei quali, come asserisce Canisio, era il martello; fulminò. perciò co' suoi scritti Gioriniano, che chiamò l'Epicuro del Cristianesimo: atterrò Vigilanzio, che chiamò Dormitanzio, e Montano: combatte Ruffino Aquilejese suo vecchio amico, per la traduzione del libro dei Principii, ossia il Periarchon, in cui rinnovava con grave scandalo i vaneggiamenti di Origene. Null' altro S. Girolamo da lui chiedeva, che la unità nella fede; e per questo motivo si dichiarò acerrimo nemico degli eretici (a).

(a) Nell'apologia contro Ruffino: In extrema epistola scribis manu tua: opto te pacem diligere: ad quae breviter respondebo. Si pacem desideras, arma depone blandienti possum quiescere: non timeo comminantem. SIT INTER NOS UNA FIDES: et illico pax sequetur. . . In uno tibi consentire non potero, ut parcam haereticis, ut me catholicum non probem. Si ista est causa discordiac, MORI POSSUM, TACERE NON POSSUM. Nel principio dei Dialoghi contro Pelagio: Adversus eos respondebo, numquam me haereticis pepercisse, et omni egissc studio, ut hostes Eeclesiac, mei quoque hostes fierent.

S. Girolamo era in istretta amicizia con S. Agostino ('), il quale nel 395 fu ordinato per forza (a), vescovo d' Ipona; ma avendo questi scritta una lettera anonima, in cui era contrario ai sentimenti di S. Girolamo, nacque tra loro qualche disgusto. Provocato da S. Agostino, gli rispose che dichiarasse se quello scritto era suo, e se professasse quella dottrina, mentre non conveniva ch'egli scrivesse contro un vescovo, et eum episcopum quem ante cepi amare quam nosse: qui me primus ad amicitiam provocavit: quem post me orientem in scripturarum eruditione lætatus sum: e soggiunse che se fosse astretto di farlo, sarebbe colpa di lui per averlo provocato; com' egli dice nell'epistola 13: Ut si in defensionem meam aliqua scripsero, in te culpa · sit; non in me, qui respondere compulsus sum, e poscia: Aetate fili, dignitate parens; e quindi: Superest ut diligas diligentem te, et in scripturarum campo, juvenis senem non provoces. Pentito S. Agostino dell'errore commesso gli rispose coll'ep. 15: Atque ita superest, ut agnoscam peccatum meum, qui prior, te in illis litteris læserim; quas meas esse, negare non possum: obsecro ergo te per mansuetudinem Christi, ut si te læesi, dimittas mihi; nec me vicissim lædendo malum pro malo reddas. lædes autem me, si mihi tacueris errorem meum, quam forte inveneris in factis, vel dictis meis; e nell'epis. 19 dice: Quamvis secundum honorum vocabula, quæ jam ecclesiæ usus obtinuit, episcopus major Proesbitero sit, tamen in multis rebus AUGUSTINUS HIERONYMO MINOR EST.

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Breve fu questo dissapore fra i due gran Padri, e la loro reciproca stima ed amicizia venne consolidata, e furono dessi i primi luminari dell'Oriente, che combattevano gli eretici, ed a vicenda ambidue erano dai medesimi preseguitati, come rileviamo da quanto S. Girolamo scrisse a S. Agostino: Catholici te conditorem antiquæ fidei venerantur, atque suscipiunt; et quod signum majoris glorio est, omnes hæretici detestantur: el me pari persequuntur odio; ut quos glaudio nequeunt, roto interficiunt.

Scrisse i commenti sopra Jona nel 396, stese l'epitafio sopra Nepoziano, e dopo quest'anno s'infermò gravemente per il corso di dodici mesi; ciò nullostante nel 397 commentò l'evangelo di San Marco, e con somma sua soddisfazione nel 400 vide condannati gli Origenisti dal pontefice Anastasio, dalla chiesa di Oriente, e da quelle di Milano e di Aquileja. Dopo questa condanna rinnovo altra apologia contro Giovanni vescovo di Gerusalemme. Nel 405 pubblicò i commenti sopra Abdia, e nel seguente 406 quelli di Zaccaria, di Malachia, e degli altri dodici minori profeti in 18 volumi; commentando pure nel 408 il capo sesto di Isaia, ed in seguito ad intervalli fino a formarne altri 20 libri.

I Goti nel 409 assediarono e presero Roma. S. Girolamo colpito da questo avvenimento, ed afflitto per la morte di Pamacchio e di Marcella restò all'estremo dolente; abbandonò il lavoro sopra Ezechiele, e tutto immerso nella tristezza, nel dolore e nel pianto, di null' altro si occupò che di aggiungere lagrime a lagrime.

(1) S. Agostino (354-430) di Tageste in Numidia, ritenuto il più grande dei padri della Chiesa latina. Fu vescovo di Ippona (Bona). Lasciò un gran numero di scritti tra cui: La città di Dio, suo capolavoro, i Trattati sulla grazia e sul libero arbitrio, le Confessioni ecc. G. Straforello ed E. Treves Diz. Univ. di Geog., Stor., Biog. Milano Treves, 1878.

(E.)

(a) Queste ordinazioni per forza furono proibite non solo dalla Chiesa cattolica, ma pure dall'imperatore Maggiorano nella Novella seconda.

La di lui pietà maggiormente si esercitò, e fu posta alle ultime prove, quando una moltitudine di persone, anche nobili, ridotte alla mendicità, ricorrevano in folla da Roma a Betlemme, per chiedere alimento e soccorso al santo anacoreta. La lettura di quanto egli racconta, ci tocca il cuore (a). Rassegnato alle disposizioni del Cielo, e tranquillizzato per parte degli eretici che aveva atterrati, furtivamente e come potè, diede l'ultima mano ad Ezechiele, e lo pubblicò nel 412.

L'eresia di Pelagio () diede altro argomento a S. Girolamo di esercitarsi, mentre egli non poteva tollerare chiunque discordasse dalla Chiesa cattolica. Scrisse perciò una lettera nel 413 contro Pelagio, ma senza profitto: per tutto il seguente 414 s'intrattenne su di ciò; e nel 415 validamente lo combattè ed atterrò col suo libro dei Dialoghi tra Attico e Critobulo, ed in modo, che tanto dal concilio di Cartagine, come dal pontefice S. Innocenzo I. venne condannato nel 416.

I pelagiani abbattuti sfogarono la loro rabbia, e diressero tutta la loro vendetta contro S. Girolamo, il quale era già in età decrepita. Tentarono ogni via di ucciderlo,

(a) Mors mihi Pammachi, atque Marcellae, Romanae urbis obsidio; multorum fratrum, et sororum dormitio nuntiata est: ita consternatus obstupui, ut nihil aliud diebus ac noctibus, nisi de salute omnium cogitarem, meque in captivitate sanctorum putarem esse captivum; così nella prefazione ad Ezechiele; e poscia: Postquam clarissimum terrarum omnium lumen extinctum est; imo Romani Imperii truncatum caput; et, ut verius dicam, in una Urbe, totus Orbis interiit, OBMUTUI, ET HUMILIATUS Sum, et silui a bonis . . . . Quis crederet, ut totius Orbis extructa victoriis Roma corrueret; et ipsa in suis populis et mater fieret, et sepulchrum? . . . . Quis fidem hisce accomodavisset, ut tota Orientis, Egipti, Africae littora olim dominatricis Urbis servorum, et ancillarum numero complerentur, et QUOTIDIE S. BETHLEHEM NOBILES QUONDAM UTRIUSQUE SEXUS, ATQUE OMNIBUS DIVITIIS AFFLUENTES SUSCIPERET MENDICANTES? .... Fateor me explanationes in Ezechielem multo ante tempore promisisse, et occupatione de toto hue orbe venientium implere non posse; dum nulla hora, nullumque momentum est, in quo non fratrum occurramus turbis, et monasterii solitudinem hospitum frequentia commutamus. Intantum, ut aut claudendum nobis sit ostium, aut scripturarum, per quas aperiendæ sunt fores, studia reliquenda. Nec jactamus, ut quidam forsitan suspicantur, fratrum susceptionem; causas simpliciter confitemur; nam absque lacrymis, et gemitu videre non possumus illam quondam potentiam, et ignorantiam divitiarum ad tantam inopiam pervenisse, ut tecto, et cibo, et vestimento indigeat. S. Girolamo si era fabbricato un monastero in Betlemme, per compiere il quale, com'egli scrive a Pamacchio, e per dar ricovero all'affluenza dei monaci, che da più parti bramavano convivere con esso, dovette vendere i beni paterni; al quale oggetto spedì nell'Istria il fratello Paoliniano: Nos in ista provincia ædificato monastero, et diversorio propter extructo, ne forte et modo Joseph cum Maria in Bethlehem non inveniat hospitium, tantis de toto orbe confluentibus obruimur monachorum turbis, ut nec cœptum opus deserere, nec supra vires ferre valeamus. Unde quia pene nobis illud de Evangelio contigit, ut futuræ turris non ante computaremus expensas, compulsi sumus fratrem Paulinianum ad patriam mittere, UT SENCIRUTAS VILLULAS, quae barbarorum effugerunt manus, et PARENTUM COMMUNIUM CENSUS VENDERET, ne ceptum sanctorum ministerium deferentes risum maledicis, et æmulis præbeamus. Osserveremo da ciò, che il nostro santo cadde in un'iperbole quando disse, che nella di lui patria nè animale, nè creatura umana vi restarono, e che la strage dei barbari si estese persino nei pesci, e che tutto perì fuorchè cielo e terra, le spine crescenti, ed il folto delle selve. Merita però scusa il santo Dottore, mentre da' suoi compatriotti, i quali presso di lui si rifugiavano, le cose gli erano state rappresentate all'eccesso; ond'egli afflitto nello spirito, ed esaltato nella mente per le dolorose vicende della sua patria, ne ricevette una forte impressione; e nel vivo riscaldo della passione, con forti e spinti caratteri oratorii ne pinse le rovine.

(1) Pelagio (Morgan) monaco poi eresiarca (V sec.) oriundo della Gran Brettagua. Sostenne che non v'ha peccato originale, e che i bambini nascendo sono nello stato di Adamo ed Eva prima del peccato ecc. G. Straff. ed E, Treves o, c. (E.)

e diedero fuoco ai monasteri di Betlemme, i quali restarono in gran parte preda dell' incendio. Uno di quei diaconi fu ucciso col ferro, e le monache, delle quali aveva cura il buon vecchio, furono aggredite e percosse; e fu incusso tale spavento in quei solinghi e santi ricetti, che per salvare la propria vita, quelle vergini, abbandonati i chiostri, si ritirarono nei luoghi fortificati. Il papa Innocenzo se ne quereld col vescovo Giovanni di Gerusalemme, ma inutilmente. S. Girolamo frattanto, scacciato dal suo eremo, oppresso dalle frequenti malattie, dagli incomodi della vita, dalle febbri, dai travagli, dall'età, e molto più da tante disgrazie che gli sovrastavano per parte dei barbari, e più ancora per parte degli eretici, terminò finalmente i suoi giorni ai 30 del mese di settembre dell' anno 420, in età di anni 80 secondo alcuni, oppure 90 secondo altri.

S. Girolamo fu in perpetua battaglia cogli eretici, e non è meraviglia, se dagli eretici moderni egli sia stato deriso, perchè ne' suoi scritti si trova la loro condanna. Tutta l'antichità ebbe in lui l'oracolo della dottrina cattolica, e da tutto il mondo cattolico a lui si ricorreva per intendere il senso delle sacre scritture, e la purità della fede. Basterà citare la sentenza di S. Agostino, il quale disse di S. Girolamo: Cujus eloquium ab Oriente usque ad Occidentem, ad instar solis lampadis resplenduit. Ne' suoi suoi scritti si scorge uno stile vivo, pieno di fuoco, e di nobiltà. Il di lui corpo nell'anno 642 fu trasportato da Betlemme a Roma, e posto nella basilica di Santa Maria Maggiore al Presepio.

S. Girolamo era di piccola statura, ed il costume introdotto dal capriccio dei pittori di dipingerlo ora col sasso, con cui si percuote il petto, ed ora col leone appresso, potrebbe attribuirsi all' espressione di lui a pectoris cessasse verberibus, cioè alle percosse che si dava sul petto per vincere le tentazioni, od alla forza veemente con cui inveiva contro gli eretici, per cui intendesi la forza del leone.

La miglior edizione delle opere di San Girolamo è quella di Verona del 1738 in dieci volumi in foglio. (') Le di lui epistole tradotte in italiano, e stampate in due volumetti in ottavo in Venezia, sono degne di essere a mano di ciascheduno; perchè l'erudizione, la dottrina, e la pietà, sono tali che toccano vivamente il cuore di chi legge. Io perciò le raccomando caldamente ed esorto il lettore a notare quanto S. Girolamo disse di sè nell'epistola 6 a Fiorenzo: Ego cunctis peccatorum sordibus inquinatus, diebus ac noctibus opperior cum tremore reddere novissimum quadrantem. Sed tamen quia Dominus solvit compeditos, et super humilem, et trementem verba sua requiescit, forsitan et mihi in sepulcro scelerum jacenti dicat: Hieronyme veni foras.

(1) L'edizione è del Vallardi di Verona in undici volomi in folio; venne ristampata a Venezia nel 1766-70. (E.)

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