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Usci allora alla luce la risposta del canonico Capor ('), nella quale non direm nulla per non dir troppo male. (2)

Il nostro Stancovich, punto nelle parti più delicate dell' uomo onorato e religioso, replicò e non si trattenne dal dare qua e colá pan per focaccia, quantunque, lo diciamo a suo elogio e ad onore del vero, con assai più moderazione e buona grazia del suo avversario.

Capor venne alla seconda, ultima, definitiva replica, e questa volta, senza ritrattarsi in nulla e per nulla, lasciò però scorgere ancor più la meschinità del suo ragionare.

Stancovich non si stimò vinto, ed a buona ragione, e stampò fra le biografie dell'Istria anche quella di S. Gerolamo.

Nel 1833 surse il P. F. M. Appendini delle Scuole pie (3), imbottò nebbia, e nebbia, lodò e volle che avessero avuto ragione tutti quelli che patrocinarono la causa dalmatica, specialmente il Capor, e si associò poi, staccandosi affatto dall' opinione di lui, a quelli che pretendono trovare nell'antica Sidrona la Stridone geronimiana.

Noi tenteremo qui darvi un'idea del come pretendano i Dalmati in generale sciogliere il tema ed aggiungere il loro scopo.

Intanto, fra quanti di essi o per essi scrissero, crediamo due non vi sieno che si accordino, come giá fu accennato, sul vero sito di questa dalmatica Stridone. Anzichè adunque essersi i tanti campioni di appoggio l'un l'altro, si battono a vicenda, giacchè ogni nuovo che sorge,, per sostenersi costretto a ruinare l'edifizio di uno,

(1) Della patria di S. Gerolamo Risposta di Don Giovanni Capor dalmatino canonico Don Pietro Stancovich istriano Roma Bourlie 182S.

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(2) Per darvene uno spruzzolo ne caviamo un pajo di brani. A proposito del sepolcro di Eusebio padre di S. Gerolamo: «Dalmatini, dice egli, voi specialmente, «che verrete in appresso, state vigilanti, per non lasciarvi burlare un giorno colla comparsa di una la«mina, portante cose concludenti al caso di pochi fanatici, intenti forse a lasciar qualche erede di loro <<speculazione: perche io penso, che dove sarebbe da mostrarsi prontamente questa lamina, essa forse, «come fatta in epoca del Biondo, o del Goina, sta tuttora maturando sotto terra la desiderata antichità. «Sicchè attenti, ripeto; e nel caso di qualche pubblicazione, coll'opera di persone intendenti di tali astuzie, <<ma nel tempo stesso indifferenti, fatevi provare la sua autenticità.»

Sofferite ancora un esempio della lucidezza della sua mente. Lo Stancovich fa vedere che la Chiesa, nella distribuzione delle sue provincie non si attiene agli scompartimenti politici, e ne trae la conseguenza che l'Istria resta patria del Santo, quantunque la Chiesa dica: Stridone in Dalmazia, e Capor lo ribatte così: «Questo discorso pare che porti seco un bel ginoco di parole. Vediamolo, ripetendo l'argomento in <«<forma scolastica, e sciogliendolo nel tempo medesimo. La lingua dei Canoni, de' Pontefici e de' Concilii, «relativa alla distribuzione delle provincie ecclesiastiche nulla ha da fare colle politiche distribuzioni, «e coi geografici confini e limiti delle provincie. In quanto alla parte dispositiva concedo; in quanto alla «parte enunciativa nego. Ma nel linguaggio della Curia Romana, e nel libro delle tasse della medesima «tutti i Vescovati dell'Istria si considerano nella Dalmazia, in partibus Dalmatiae; e ciò quanto all'enun«ciativa delle segnate parole concedo, in quanto alla dispositiva nego. E con tale distinzione nego la <«<bramata conseguenza.» E altrove chiama: «Poco buon Cristiano... e figli poco riverenti alla Santa «Chiesa coloro, che, credendosi di far cosa meritoria in provar, se possibile fosse, che in altre provincie <contigue alla Dalmazia avesse esistito la vera Stridone, non sono contenti di farlo come in ipotesi, e «prescindendo da tal tradizione; ma arrivano a farsi lecito di prender in beffe quest'autorevol linguaggio.» Che ve ne pare? Vi è abbastanza a giudcare quanto dicemmo?

(3) Esame critico della questione intorno alla patria di S. Gerolamo Libro IV del Padre Francesco Maria Appendini delle Scuole pie Zara tipografia Battara 1833.

due, dieci altri. Ben giustamente diceva loro lo Stancovich: «Voi dalmati non siete <concordi con voi stessi nè sulla provincia, nè sopra il luogo, e anche ciecamente bran<«colando per l'aria, contraddicendovi l'un l'altro, senza aver fissato un punto con<cordemente dopo secoli di controversia.»

«Alcuni di voi, come confessa il vostro Cicarelli nella sua dissertazione pag. 85, «lo stabiliscono nella primitiva Dalmazia, altri nella più estesa, altri nella Liburnia, <ed altri fors' anco nella Giapidia, e ciò rapporto alla provincia. Ora parlando del «luogo, chi lo vuole a Strigòvo sopra Duàre sotto Lovrecchio nella primitiva Dal<<mazia, chi a Scardona al litorale, e chi a Sidrona presso Obbrovazzo nella Liburnia, «e chi a Strisna verso Castainizza, chi al monte Pastirero, chi in Bucovizza, chi «sotto il monte Strigovno, chi in Sidragn e Sidraga, luoghi appartenenti parte alla <<Giapidia e parte alla Liburnia. »

Perdonate questa digressione e veniamo all'interpretazione data dai Dalmati al testo sopraccitato del Santo. Essi ragionano a un dipresso così:

Patria di S. Gerolamo è Stridone. Egli dice ch'essa «fu già confine della Dalmazia e della Pannonia.» Era dunque o in Dalmazia o in Pannonia; l'Istria non c'entra! a intrudervela sarebbe proprio un voler vedere avverato l'adagio, che tra i due litiganti il terzo goda. Ma nella necessità di nominare due provincie il Santo deve certo aver nominato prima la sua natale, per la preferenza che si dá naturalmente alle cose proprie. Ora la Dalmazia è prima nominata: la Dalmazia è dunque la provincia del Santo. Non troviamo in Dalmazia nessuna città che abbbia avuto propriamente un tal nome, ma troviamo nominata da Tolomeo Sidrona, collocata nelle tavole di Agatedemone alle sorgenti del Tizio, odierno Kerka, troviamo altrove Strisna, Strigovo, Sidraga ed altri nomi tutti di suono affine a Stridone; troviamo inoltre Graovo o Grahovo, appellativi di monte, d'un'etimologia cosi bella che fa per noi. (1) Ora, le più di queste situazioni erano nel cuore della Dalmazia secondo i confini ch'essa aveva ai tempi del Santo, ed egli dice che la sua Stridone era confine. Niente più facile che ridurre a perfetta chiarezza e intelligenza il testo proposto, e trarre a buon accordo l'apparente contraddizione. Il Santo dice: «fu giù confine» dunque non vuol parlare de' tempi suoi, in cui la Dalmazia giungeva da Nord all'Arsa e alla Sava, al di là de' quali v'erano l'Istria e la Pannonia, ma di tempi anteriori e molto anteriori, perchè il già, il quondam latino, vuol dire un tempo piuttosto rimoto. Vediamo con la storia alla mano se sia stata la Dalmazia in altre epoche anteriori alla geroliminiana diversamente circoscritta. Rimontando gli anni, anzi i secoli, troviamo difatti che circa 400 anni prima, cioè all'iniziarsi dell'impero d'Augusto, si estendeva la Dalmazia al Nord molto meno che a' tempi del Santo, non toccando essa che al Tizio, oggi Kerka, ed a' monti Adrii o Ardii. (2)

(1) Tacciamo queste etimologie non già perchè la loro naturalezza sia di troppa luce alla causa dalmatica, ma perchè cogli squarci riportati vi abbiamo già forse annojato, ed inoltre, non conoscendo per nulla lo slavo, non sapremmo discorrerla tutta. Sarebbe si a trarne un articoletto umoristico, ma chi vuol ridere legga addirittura il 1. Opuscolo del Capor. Appendice num. 22, pag. 102. (2) Il confine della Dalmazia fissato da Augusto l'Arsa e la Sava è cosa nota ai geografi. 11 confine poi più antico fiume Tizio e monte Adrio lo han dimostrato benissimo. Ma quel che tacciono o che accennano appena, d'altronde vitalissimo alla questione, si è: se poi la Pannonia, quando la Dalmazia era cosi ristretta, giungeva con questa a contatto. Sappiamo che la Dalmazia estendendosi

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Ecco dunque di qual confine voleva parlare S. Gerolamo, ed ecco che ne risulta: Quando S. Gerolamo disse «fu già» ei volle dire «già quattrocento anni;» quando disse «confine» significò Sidrona, od altro dei luoghi nominati, posti o sul Kerka o in que' paraggi; quando disse «della Dalmazia e della Pannonia» intese senza dubbio nella Dalmazia e non nella Pannonia (d' altre provincie non c'è discorso) perchè nominò quella in primo luogo.

Quali regole grammaticali e logiche guidassero i Dalmati a questa conclusione, noi in vero non lo sappiamo vedere. Ci accingeremmo a confutare siffatti ragionari, se ad altri argomenti non s' appoggiasse la causa istriana; ma stando le cose come stanno, fatta astrazione di tutto che cade di botto in mente a ciascuno contro i raziocinii avversarii, ammetto questa interpretazione come una possibilità.

Gli Istriani invece, con meno arte ed erudizione, ma, sembrami, con più verità, spiegano il medesimo testo cosi: «Stridone, distrutta dai Goti, fu già confine della Dalmazia e della Pannonia... Stridone fu giả confine della Dalmazia Stridone fu già confine della Pannonia. L'idea prima e più spontanea che si presenta è che Stridone sia stata fuori e della Dalmazia e della Pannonia, ma presso al limite di entrambe; che ciò non fosse quando il Santo scriveva, perchè Stridone più non era; e ch'egli abbia detto «fu già» come direbbe qualunque di noi, se parlando d'una città distrutta, volesse narrare, che fu confine quando esistette.

L'Istria da Augusto in poi, per tutti i quattro secoli che corrono fino all'epoca del Santo ed anche dopo, con parte del suo confine a greco s'appoggiava alla Pannonia, e col suo confine d'oriente toccava la Dalmazia. In essa a poca distanza dal triplice confine è sita Sdregna, nella quale vige ancora oggi la tradizione, esser là il luogo natale di Santo Geromino, nella quale vi mostrano una pietra lapidaria, che pretendono essere del sepolcro di Eusebio padre del Santo, nella quale udrete cento miracolose storie, che quanto più vi attestano la ingenuità di que' poveri abitanti, tanto vi inducono più nel convincimento che quella tradizione (di cui son documento ancora le parole dell' arcidiacono Tommaso del 1250) non è frutto d'artificii, ridicola cosa a pensarsi, ma trova il suo fondamento nella storia e nei fatti.

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L'Istria in epoca circa d'un secolo anteriore a questa che consideriamo veniva espressamente detta in altre scritture confine della Dalmazia e della Pannonia come ci fa documento l'indicazione riguardo alla patria di S. Donato istriano, reperibile negli atti del suo martirio: Il beatissimo Donato figlio di Crescentino, ebbe a terra natale un castello degli Istriani situato nei confini della Dalmazia e Pannonia.

Tutto ciò ne sforza a conchiudere che con quelle parole il Santo voleva significato non altro paese che l'Istria.

Oppongono i Dalmati la interpretazione che dietro essi a quel «fu già confine» e sostengono che appunto l'esser dimostrata l'Istria confine della Dalmazia e della Pannonia ai tempi del Santo, la esclude fino dal mettersi in lizza, perchè avendo egli colle anzidette parole voluto alludere a confini diversi da quelli del suo tempo che

dal Tizio all'Arsa invase la Liburnia e la Giapidia, e con questo dilatamento raggiunse il limite della Pannonia; ma non ci consta, anzi crediamo il contrario, che Pannonia e Dalmazia prima di detta epoca si succedessero immediatamente. E se questo appunto non dimostrano i Dalmati, come mai vanno a cercare il loro baluardo negli antichi confini?

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non si riscontrano se non quattrocento anni prima, nella qual epoca l'Istria non era confine della Dalmazia e della Pannonia, cade da sè ogni pretesa.

Rispondiamo che quel «fu già confine» non di necessità signfica «quattrocento anni prima» ma trova più ovvia spiegazione nella parentesi premessa dal Santo stesso: Stridone, distrutta dai Goti, fu già confine. Il dire distrutta dai Goti, esclude che si possa dire è confine. Lo formava, lo indicava, se vogliono, ma non era. Inoltre a dire intero quanto pensiamo, quel «fu già» specialmente in latino, ci suona ben meglio un ultimo tributo di compianto alla misera patria, piuttostochè una fredda indicazione cronologica, ben poco naturale perchè vaghissima.

S. Gerolamo adunque quando scrisse quel testo parlò de' suoi tempi, e se disse che Stridone fu già confine, lo disse a tutta ragione, perchè, lo ripetiamo, allora più non esisteva, ed anzi ne diede un commento egli stesso col premettere «distrutta dai Goti.»

Nemmen questo speriamo si possa dire sia sragionare; e osserviamo poi che tutta la questione dimora nella precisa determinazione dell'epoca a cui il Santo volle alludere. Se intese de' suoi tempi, l'Istria non solo pretende, ma vince la gara: se di quattrocento anni innanzi, ella non può nemmeno aspirare a considerazione nella disputa.

Ma qualche altra cosa disse egli con allusione alla patria.

Correvano all'età sua quegli anni di desolazione in cui i barbari irrompendo da Oriente si precipitavano irosi sull'impero latino. Rasentarono l'Istria senza invaderla allora, ma menando stragi e devastazioni ai confini. Il nostro Santo in tal occasione ricevea notizie delle afllizioni della patria e scriveva: «E forse che non ho udito «essersi ciò (le stragi e le devastazioni) compiute dove io nacqui, nella regione dei «confini della Pannonia e dell' Illirio, in cui dopo le invasioni de' barbari in tanta «desolazione si fu condotti, che non umana creatura è quivi rimasta, nè si può dire «che superstite sia un animale di quelli, che furono soliti convivere, e starsene «amichevolmente con gli uomini.»

E qui i Dalmati o a dir giusto, qualcuno soltanto del loro partito (mentre i più girarono prudentemente al largo questo mal passo) discorre così: «Regione dei confini della Pannonia e dell'Illirio.» Anche in questo testo non si nominano che due provincie. Resta a determinare quale delle due sia natale del Santo: ed ecco ci soccorre la conseguenza tratta dall' altro ragionamento dove abbiamo veduto ch'egli è Dalmata; dunque anche qui egli intende per luogo dove nacque l'Illirio, in cui poi la Dalmazia è compresa. Come non restar colpiti da stupore a tali ragioni!

Prima non esitarono a sillogizzare così: Dalmazia è prima nominata, dunque Dalmazia è patria del Santo. - Al lume di quella medesima ragione non bisognerebbe ora conchiudere: prima nominata è la Pannonia, dunque il Santo è Pannonio! Ma non indugiamoci più a lungo in ciò, e veniamo ad altro.

Se vi ricordate, nell' interpretazione del primo passo si faceva giuocare quel «fu già confine» e v'ebbe chi chiamò questa frase «il baluardo, il giojello dei Dalmali.» Col mezzo di essa fanno che il Santo voglia intendere di un confine antico, e col mezzo di essa trasportano la Stridone geroniminiana là dove è il sito della non più esistente Sidrona, che pretendono omonimo di Stridone, o almeno almeno, per istare con tutti i loro autori, sulla linea del Kerka e degli Adrii o in que' dintorni. In questo secondo testo non c'è il «fu già» È evidente: il Santo parla dei suoi tempi, egli dice che allora quand'ei viveva, il paese de' suoi natali era regione

dei confini della Pannonia e dell'Illirio. Inoltre qui è nominato l'Illirio, non la Dalmazia, e i confini di questo non sono incerti. E quando la Dalmazia era ristretta al Kerka, e quando si fu estesa a comprendere Liburnia e Giapidia, l'Illirio arrivava certo sempre all'Arsa e alla Sava. Non c'è appigli. Di più qui si tratta di una «regione dei confini» nè credo possa sorgere dubbio che questa non sia un terzo paese distinto dai due, rispetto ai quali esso a quel modo veniva appellato. E a ciò pur si oppongono i Dalmati dicendo. essere questa regione al confine bensi, ma compresa nell'Illirio, cioè appunto la Dalmazia! Molte cose vengono a lingua contro simili giuochi, ma allungherebbero senza vero vantaggio lo scritto, e però amiamo meglio lasciar che ci ponderi un po' sopra anche da sè stesso il lettore.

Ma qual era ai tempi del Santo questa regione dei confini della Pannonia e dell'Illirio, e quindi della Pannonia e della Dalmazia, come quella provincia ch'era l'ultima dell' Illirio a ponente verso Pannonia?

Era l'Istria, come abbiamo più sopra veduto, come si riscontra in ogni Atlante, in ogni Geografia antica, come i Dalmati stessi si affrettarono già a concedere.

La Sidrona tolomaica, e gli altri nomi e paesi escogitati nelle contrade del Kerka, come soddisferebbero a questo testo? come potrebbero mai essi, che riuscivano benissimo sulle frontiere della Dalmazia prima di Augusto, ma dopo, nel centro, essere dette regioni dei confini, anche ai tempi del Santo, quando la Dalmazia era tanto più estesa che aveva per confine l'Arsa e la Sava?

Gli Istriani a tutta interpretazione del testo il traducono, ed quanto basta per essi. In altro luogo ancora accenna il Santo alla patria, ed è per deplorar sempre le barbariche enormezze: «L'ira del Signore sentono eziandio i bruti animali, e devastate «<le città, ed uccisi gli uomini ne vien solitudine e scarsezza perfino di bestie, di volatili «e di pesci; testimonio ne è l'Illirico, testimonio la Tracia, testimonio il suolo dove «son nato: dove, all' infuori del cielo e della terra, e dei pullulanti cespugli, e delle <<fitte selve, tutte le cose perirono.»

Per «suolo ove son nato» intendono qui i Dalmati pur sempre la Dalmazia, come quella che è contenuta nell' Illirico, e dicono aver voluto il Santo con commovente figura retorica incalzar l'argomento, nominando prima il contenente, poi il contenuto, discendendo con graduato sfogo di passione dal generale al particolare.

Prima di tutto questa sarebbe una figura di assai cattivo gusto, non aggiungendosi alcuna eloquenza al discorso, se in una enumerazione, da cui debba risultare la maggior importanza di un avvenimento che involge vasta catastrofe, si passi dal generle al particolare; ma dovendosi piuttosto fare il contrario.

In secondo luogo, qui non c'è l'ombra di graduato passaggio in niun senso, perchè dopo l'Illirico è nominata la Tracia, e dopo, il paese natale. Se questo è Dalmazia, dunque la Dalmazia era compresa nella Tracia! Chi mai oserebbe dir ciò! - E come poi volete che si regga la figura retorica?

Più facile viene il senso se diciamo, che quella che fa il Santo è si una enumerazione, ma di parti ben distinte, non contenenti nè contenute. «Testimonio l'Illirico, testimonio la Tracia, testimonio il suolo ove son nato.» Queste son tre terre separate e diverse, e il trovar qui nominato il suolo de' suoi natali, ci rivela che questo era altro dall' Illirico e dalla Tracia, quindi altro dalla Dalmazia, la quale viene in un con l'Illirico indicata.

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