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Esclusa la Dalmazia anche per tal guisa, cresce valore a ogni altro argomento recato in nostro favore.

V'ha parecchi altri dati che aggiungono credito e probabilità ai già addotti, ma sarebbe spreco di tempo il discorrerli. Chi vuol torci di mano le buone ragioni deve, prima d'ogni altra cosa, metter d'accordo tra loro le parole del Santo, meglio che non han fatto i precessori, e dimostrar vizioso e sragionato il nostro modo di spiegare e d'interpretare.

Il Tommaseo con un elogio all'opera del Capor sembra sancire con la sua autorità le ragioni dei nostri oppositori; il Kandler, tanto della nostra provincia sotto ogni aspetto studioso e benemerito, parendogli in questa polemica, ogni ragionare mirasse a sostenere una cosa già fitta in mente, in due articoli inseriti nell'Istria 12 Decembre 1846, 2 Gennaio 1847, si rifà a capo della questione, la tratta in nuova maniera e conchiude che della patria del Santo non si ha vestigio, e che sarebbe a cercarla sulla linea che corsero i barbari fra Costantinopoli e le Alpi Giulie, proponendo anche qualche ipotesi sul sito più probabile.

Son due forti autorità, ma nella critica delle opinioni, le autorità, anco più rispettate, non danno il tracollo alla bilancia, per cui crediamo di potere senza menomamente essere irriverenti o immodesti, sostenere il contrario di quanto essi han sostenuto. Quanto al primo anzi non possiamo a meno d'aggiungere, ch'ei non porta in questa discussione se non la malia del suo nome, perché giureremmo ch'ei non lesse, o lesse sol qualche squarcio, e assai breve dell'opera, di cui tesse le lodi.

Ragion vorrebbe che giustificassimo questa asserzione, ma non venendone da ciò luce alla questione che più preme, rimettiamo chi volesse farci il pelo, agli opuscoli del Capor e all' articolo Rivista letteraria dell'Antologia di Firenze Decembre 1829, ristampato nel Dizionario estetico del Tommaseo al nome di S. Gerolamo.

Per dovere di gratitudine e di giustizia, prima di terminare questa relazione, che noi abbiamo fatto sul serio e che non ci avremo a male se alcuno porrà alla berlina, dobbiamo ancor una volta mentovare il canonico Stancovich di Barbana, nome negletto e fors' anco purtroppo vilipeso tra noi, ma che bene meritò della patria perchè la amò e la studiò.

94. S. PIETRO da Parenzo fu martirizzato dalla setta dei Manichei (1) in Orvieto, dov'era governatore. In quella città si venerano sino al giorno d'oggi le reliquie di lui e ne parlano il Macri (Hierv. Lexicon verb. zen.) il Segneri ne' Panegirici, ed il Vergottini nel Saggio storico di Parenzo. Il tempo in cui visse questo santo non è conosciuto; ma predominando nel quarto secolo la setta dei Manichei, ho posta quest' epoca per approssimazione.

95.-S. NAZARIO fu il primo vescovo di Capodistria (2), come porta la pia e costante credenza, volendosi eretto, quel vescovato nel 524 da Giustino imperatore,

(1) Manichei settarii dell'eseriarca Manete scorticato vivo verso il 274. Sostennero la nozione insegnata dal fondatore della loro setta, di due principii, il Buono ed il Cattivo, Dio e Satana. (E.)

(2) Nel 1877, coi tipi di B. Appolonio in Capodistria, Mons. F. Petronio, piranese, pubbicò la cantica: S. Nazario proto vescovo di Capodistria, dedicandola alla benedetta memoria dello stesso santo, del quale si hanno notizie dettagliate in parecchie note appostevi ad illustrazione.

(E)

e dal pontefice Giovanni ('). Si crede pure che fosse nativo di quella città, ma di tutto ciò non abbiamo fondamento alcuno, detratta la pia tradizione (2).

Il deposito del corpo di questo santo fu scoperto nel 601, e nel 1390 fu rapito dai genovesi durante il saccheggio dato a quella città. Nell' anno 1422 si riebbero le reliquie dei Ss. Nazario ed Alessandro inviate dall' arcivescovo di Genova Pilco de' Marini, a richiesta del vescovo di Capodistria Geremia Pola. Esse riposano in quella cattedrale alla venerazione dei fedeli, e la festa di S. Nazario si celebra ai 19 di giugno. Egli è il tutelare della città e diocesi, e sopra l'arca di lui vi ha l'epigrafe seguente:

HANC PATRIAM SERVA, NAZARI SANCTE, GUBERNA

QUI PATER, ET RECTOR JUSTINI DICERIS URBIS.

Nell' arca stessa si conserva una lamina di piombo colle parole Sanctus Nazarius præsul migrarit in domino kal. XIII, Jul. la quale fu trovata nel suo sepolcro l'anno 601, al tempo della scoperta del di lui corpo. Parlano di S. Nazario il Manzioli, lo Schoenleben negli Annali 524; il Naldini e l' Ughelli T. V.

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96. S. MASSIMIANO arcivescovo di Ravenna, nativo di Pola (3). Agnello (L. Pont.), e tutti li storici ravennati ci narrano che essendo diacono della chiesa di Pola, coltivava colle proprie mani un picciolo suo podere per trarne sostentamento, e che un giorno zappando il terreno per spargervi il seme, scopri un gran vaso ripieno d'oro, e che stupefatto e incerto dell' uso che ne dovea fare, risolvette di ritenerne una parte per le urgenti sue necessità, ed il restante portare in Costantinopoli all' imperatore.

Questo generoso rifiuto delle ricchezze, che la fortuna gli avevano presentate, fu ammirato da Giustiniano, e quel monarca concepi di lui una singolar stima, giudicandolo fornito di eminenti virtù, per le quali, vacata in que' giorni la sede di Ravenna, per la morte di S. Vellore, lo esaltó a quella dignità, e nel regresso da Costantinopoli in Patrasso nell'Acaja, dal pontefice Vigilio, il quale era colà relegato dall' imperatrice Teodora, fu consacrato vescovo di Ravenna al 14 di ottobre dell'anno 546, in età di 48 anni.

I ravennati assuefatti ad avere per suo pastore un cittadino, mal soffrirono che fosse promosso un forastiero e di umile nascita; perlocchè al di lui arrivo, ricusarono non solo di accettarlo come lor vescovo, ma di riceverlo peranco nella città. Stette egli perciò alquanti giorni fuori della porta di S. Vittore, fino a che il popolo mosso dalla fama delle sue virtù lo introdusse con giubilo universale, e lo riconobbe per suo pastore.

(1) Sull'origine e sull'epoca dei vescovati di Capodistria e dell'Istria vedi L' Istria, 1846, II, n. 9; Le notizie storiche del duomo di Pola di mons. Cleva negli Atti e memorie della Soc. Istr. di arch. 1885, e la Provincia a. XIX, 13. (E.) (2) La tradizione che vige ancora in Capodistria e distretto vuole S. Nazario di un villaggio presso Capodistria e precisamente di Boste. Leggi in proposito la cit. Cantica e le note del Petronio. (E.)

(3) Ê veramente di Vistro nell' Agro polese. V. Cenni sulla storia dell'Arte cristiana in Istria di P. Tedeschi. Port. Or. a. III. San Vincenzo in Prato e le Basiliche istriane nella Provincia dell' Istria a. XV articoli dello stesso autore. (E.)

Tutte le sollecitudini di Massimiano furono tosto dirette all' aumento del culto divino, e la memoria di lui è celebre nella chiesa di Ravenna, tanto per la santità della sua vita, quanto per le gloriose sue gesta.

Ornò egli la basilica di S. Andrea delle dieciotto colonne di marmo greco, che tuttora sussistono; compi il sontuoso edifizio della Canonica principiato da S. Pietro Grisologo; fabbricò la chiesa di S. Stefano, e la decorò di mosaici; innalzò dalle fondamenta quella di S. Gio. Decollato, ora demolita; arricchi la cattedrale ed altre chiese, con preziosi doni di croci, di calici, di vasi d'argento e d'oro, nonchè di varie ricchissime suppellettili pel servizio divino; come pure di molte reliquie.

Massimiano era dotato di tanta umiltà, che quantunque elevato a grado così eminente, palesò a tutti la bassezza de' suoi natali in modo, che in lettere intarsiate di gemme e di perle, fece porre sopra alcune sacre suppellettili queste parole: Parce domine, parce populo tuo, et memento mei peccatoris, quem de stercore exaltasti in regno tuo.

Finalmente, lasciando erede di tutti i suoi beni che tenne in Pola, la chiesa di Ravenna, la quale per molti secoli n'ebbe il possesso, cessò la gloriosa sua vita al 21 febbraio 552 secondo il calcolo del Becchini, e fu sepolto nella chiesa di S. Andrea dinanzi l'altar maggiore, e poscia nel 1651 ai 3 di settembre traslocato nel coro di quelle monache benedettine, essendovi posta la seguente epigrafe:

D. O. M.

SACRUM DIVI MAXIMIANI RAVENNATIUM ARCHIEP.

CORPUS

QUOD DUODECIM AB HINC SAECULIS

IN ANTIQUO HOC D. ANDREE TEMPLO
VARIO LOCO VARIIS TEMPORIBUS COLLOCATUM
DEVOTA SEMPER FIDELIUM PIETAS COLUIT
LUCAS TORREGIANUS RAV. ARCHIEP. ET PRINCEPS
ET CAM. APOST. CLERICUS

IN PRIMA RAVENNATIS DICECESIS VISITATIONE
HUNG SUBLIMEM IN LOCUM

AB OMNIBUS DECENTIUS VENERANDUM

SOLEMNI RITU TRANSTVLIT

TERT. NON. SEPT. ANNO M. DC. LI

DOM. PAULA BECCIA HUJUS CENOBII ABBATISSA

A questo carattere di santità Massimiano uni quello delle Lettere, mentre scrisse una Cronaca sul modello di quelle di S. Girolamo, e di Orosio, come ci narra Agnello scrittore delle vite dei vescovi ravennati, della quale reca un frammento (L. Pont.); ordinò e fece scrivere con diligenza i libri tutti appartenenti all'uso della sua chiesa. Infatti il Padre abbate Ginanni lo annovera tra gli scrittori ravennati (T. 2), ed il Tiraboschi fra gli storici letterati (Lett. Ital. T. III). L'Ughelli (Ital. Sac. T. II) parla così di lui: Fuit vir longe doctissimus, cujus præclara monumenta vel temporis vetustas vel plagiariorum violentic manus rapuerunt. Nella Canonica suaccennata aveva fatto dipingere l'effigie di alcuni suoi predecessori, sottoponendo ad esse la descrizione in versi, de' quali porta un frammento lo stesso Ughelli:

Hic Petrus junior Christi præcepta secutus,
Ut docuit, sacris moribus exhibuit
Hanc quoque fundavit mirandis molibus arcem,
Nominis ipse sui hæc monumenta dedit.
Hujus post obitum Aurelianus gessit honores,
Post hunc Antistes extitit Ecclesius.

Hinc fuit Ursicinus, sequitur post ordine Victor,
Temporibus junior Maximianus adest.

Fin qui dobbiamo giudicare che scrivesse Massimiano, e ciò che segue devesi reputare continuato dopo la di lui morte, perchè contiene l'elogio di lui, che ripugnerebbe sia fatto da sè stesso. Segue pertanto:

Il Polensis erat Chirsti levita profundus,

Lege Dei, miserans, et pietate bonus.

Quem Deus ipse virum decoravit culmine sacro,

Ecclesiæque suæ Pontificem statuit.

Ipse autem factis propriis scit non meruisse

Culmen Apostolicum, sed pietate Dei.

La narrativa del tesoro ritrovato in Pola con differenti circostanze è portata dall' Ughelli.

Tra le fabbriche erette da Massimiano si ritiene, che anche nella sua patria fondasse, e dotasse di alcuni beni la chiesa S. Maria Formosa, ora detta B. V. del Canneto (); il cui istrumento di fondazione, come da relazione del vescovo Alvise Marcello del 4 dic. 1657, si ritrova nella cancelleria vescovile di Pola, e fu stipulato in quella città nel consolato di Basilio juniore al 21 di febb. del 1546 in cui Massimiano è sottoscritto: Servus Christi Maximianus per gratiam Dei Episcopus S. Ecclesiæ Raven. inclitæ urbis ec., ed è pure sottoscritto Macedonio patriarca di Aquileja, il quale conferma la dotazione, e si sottoscrive Vescovo, mentre poi nomina Massimiano col titolo di patriarca; seguono poscia le sottoscrizioni dei vescovi Frugifero di Trieste, Germano di Bologna, Isaccio di Pola, e Teodoro di Brescia testimoni.

Lo Shoenleben, il quale negli annali della Carniola parla di questa fondazione, viene così redarguito dal Rubeis (Mon. Aquil.): 1. Non essere la relazione del Marcello, ma di Giacomo Querengo cancelliere vescovile, e pubblico notaio di Pola, per ciò che riguarda la scoperta di alcune reliquie dei santi; e per la parte storica ed erudita dei monumenti antichi di Pola, del vicario Bartimora. 2. Che del vescovo Marcello non vi ha in quella relazione che la segnatura di autenticità del carattere dello scrittore. 3. Che l'istrumento di Massimiano, segnato sotto la data IX. cal. martii 546 non può aver luogo, mentre S. Massimiano non fu ordinato vescovo di Ravenna, che nel giorno decimo degl' iddi di ottobre di detto anno, ch'era il quinto dopo il consolato del giovane Basilio; cioè sette mesi posteriormente alla data della voluta donazione, come chiaramente abbiamo da Agnello nelle vite di que'vescovi: Maximianum Polensem diaconum ordinatum esse a Vigilio Papa in civitate Patras apud Achajam

(1) P. Tedeschi nell'o. c. da estese notizie di S. Massimiano e dell'insigne basilica da lui fondata; ammettendo che potessero avervi lavorato anche artefici istriani. Sullo stesso argomento e sulle altre basiliche istriane leggasi l'op. c. S. Vincenzo in Prato ecc. (E.)

pridie idus octobris indict. X. quinquies P. C. (post consulatum) Basilii junioris; epoca che corrisponde perfettamente ai 14 di ottobre dell'anno 546, mentre Basilio cominciò il suo consolato nell'anno 541. Conchiude pertanto il Rubeis, che l'istrumento di fondazione, non corrispondendo alle date precise del tempo relativo a S. Massimiano, può essere sospetto di apocrifo, od almeno esserne alterate le date, ed essere questo una copia, non già un originale, e si duole di non aver potuto vedere lo scritto originale per esaminarlo nella sua identità, e formarne gli esami opportuni.

A me pur duole, che questo istrumento non possa rintracciarsi; mentre qui lo unirei rendendolo di pubblico diritto, onde per l'esame dei dotti critici se ne formi un retto giudizio. Supposto anche che questo istrumento fosse scritto nella cancelleria di Pola nell'anno 1657, ora, per la distruzione di quell' uffizio, essendo le carte tutte disperse, lacerate, nè raccolte per la vacanza di quella sede da 24 anni, dirò con certezza essere impossibile, ch'esso divenga più oltre esaminato, e conosciuto nella sua identità, e quindi che non potrò più innanzi estendere le mie critiche . osservazioni.

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97. S. FLORIO, o Fiore, vescovo di Cittanova, le cui gesta ed il tempo in che visse, pienamente s'ignorano. Ritiensi però che fosse dei primi vescovi di quella sede, e che quella città fosse sua patria. Il di lui corpo și conserva nella cattedrale di Pola in un'arca nella cappella del vescovo Orsini, e la festa di lui si celebra al 23 di ottobre. Ne fanno cenno il Manzioli e l'Ughelli. (')

98. S. NICEFORO, vescovo di Pedena sua patria. Il Manzioli nel 1611 pubblicò l'istoria di lui, dalla quale io porterò quanto egli racconta, e vi aggiungerò ciò che la tradizione costante ci fa sapere sino al giorno presente, confermata da altro scrittore, unendovi varie osservazioni. (a)

Il Manzioli non assegna epoca alcuna a S. Niceforo, e l'Ughelli nell'Italia Sacra (T. V.) dice, che s'ignora di lui ed il tempo in cui visse, e le gesta, ponendolo tra gli anni 680, e 935. Lo Schoenleben negli Annali della Carniola, senza fondamento alcuno vi assegna l'anno 500, citando il Manzioli, il quale nulla di ciò asserisce; così pure, coll'autorità stessa, ne travolge a capriccio la storia. - Ireneo della Croce

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(') I versi tratti dall'antifonario di Pola darebbero notizie diverse da ciò che intorno a S. Fiore la tradizione annunzia. V. L'Istria, II., 232 In festo S. Flori Episcopi et Confessoris. Cenni al forestiero che visita Pola (Kandl.) Trieste, 1845. Relazione storica della chiesa della B. V. di Buje per G. Urizio, Trieste, Weis, 1867. Quest'ultima pubblicazione va consultata anche per altri Santi di Cittanova. Protettore di questa città è S. Pelagio martire, che si festeggia ai 22 di settembre. (E.) (a) Il Vescovo di Pedena M.r Antonio Marenzi diede in latino le Vite di SAN NICEFORO martire, e di SAN NICEFORO vescovo; le dedicò all'imperatore FERDINANDO III; e furono stampate in Vienna nel 1639, con varie Odi latine fatte nel collegio dei Gesuiti di quella capitale, in lode del Marensi, dei detti Santi, e della Casa d'Austria. Oltre la lettera di dedica, vi sono del Marenzi due epigrammi latini diretti all'imperatore (V. il N. 156 capitolo dei Mitrati). Dice nella dedica di aver tratte le notizie di quei Santi da un vecchio e logoro manoscritto, e che, estese in forma conveniente, le presentava a quel principe per conservarne la memoria. Queste Vite però sino dall'anno 1611 erano state già stampate in italiano dal dottor Nicolò Manzioli nel libretto: Descrizione. dell' Istria, il quale le aveva avute dal vescovo A. Zara. È singolare che il Marenzi ignorasse questa edizione; ma più ancora, che le Vite di detti santi, date da quel vescovo, come cosa nuova, siano le stesse, parola per parola, quali le stampò in italiano il Manzioli 28 anni prima del Marenzi,

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