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e il sorgere ed il montare delle stelle, dalle stesse norme, ma trattate con quella modestia e con quella severità che congiungono le leggi della natura allo splendore della verità ».

Egli si recò pure in questo tempo a Padova ed a Venezia; quest'ultima città, tutta vita, incominciò soltanto ad avvincerlo col suo fascino nel suo quarto viaggio, nel 1846; allora il Tintoretto gli si rivelò in tutta la sua tragica vigoria, col suo romantico chiaro-scuro, colla suggestione del sovrannaturale, ottenuta con piena maturità nella tecnica.

Ma fu specialmente l'architettura che lo colpí a Venezia, e quindi innanzi, per parecchi anni, occupò il primo posto nelle sue ricerche estetiche. Trattando problemi architettonici egli aveva iniziata la sua carriera di critico d'arte nel 1837, quando aveva contribuito i suoi primi saggi nella forma di quattro articoli col titolo The Poetry of architecture all' « Architectural Magazine ». Ora, dopo lunghi studi nel campo pittorico, l'arte della costruzione ritornò ad occupare il suo spirito; nel 1849 apparvero le Seven Lamps of Architecture, e nel quinto suo viaggio in Italia egli fece a Venezia dimora dall'ottobre 1849 al febbraio dell'anno seguente, inteso a comporre quella mirabile serie di studi architettonici che s' intitola The Stones of Venice. Egli vi ritornò nel settembre del 1851 e quindi ancora nel 1852; l'opera completa apparve nell'anno seguente (1853).

La poetica bellezza del suo stile assurge alla sua massima altezza nella pittura della chiesa di S. Marco. « Una visione sorge dalla terra, e par che tutto il gran piazzale si sia aperto ritraendosi innanzi ed essa ». Frattanto, nel 1858, egli era venuto in Italia ed aveva preso dimora a Torino, il cui carattere, la cui speciale atmosfera ei rende felicemente in un tratto di Praeterita; egli attese allo studio del Veronese nella Pinacoteca ed a disegnare da Superga il profilo delle Alpi dal Viso al Rosa.

Da Torino ei si recò ai piedi del Monviso e quindi a Susa, donde, pel Cenisio scese a Lanslebourg. Nel 1862 durante una visita a Milano egli attese ad uno studio minuto del Luini; e in qualche modo il suo entusiasmo per questo artefice giunge sino ad offuscare la sua ammirazione per Leonardo.

Nell'anno seguente (1869) il Ruskin si recò a Verona una città ch'ei sempre amò con ammirazione profonda, e che, com'ei dice, «diede

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colore al suo pensiero » ed a Venezia, ove cosí il Carpaccio, come un tempo il Tintoretto, lo accese d'entusiasmo, una volta ancora facendo volgere la sua mente all'arte dei Primitivi.

Nel 1870 noi lo troviamo di nuovo in Italia, a Venezia, a Pisa, a Milano; questo fu pel Ruskin un periodo di mirabile attività e produzione. Le sue conferenze, tenute nel febbraio e nel marzo ad Oxford, ove era stato eletto Slade Professor', vennero pubblicate in quest'anno, col titolo di Lectures of Art.

Il Ruskin ridiscese in Italia, per la dodice sima volta, nell'aprile del 1872, e si recò in Toscana, e quindi a Roma, dove gli affreschi del Botticelli nella Sistina si impadronirono fortemente del suo animo, sí che il pittore fiorentino succedette nella sua stima entusiastica al Carpaccio. 1

Nel 1874 egli è di nuovo in Italia; fu durante questo soggiorno ch'egli attese alla composizione dei Mornings in Florence (pubbl. 1875-7).

Nel 1876 il Ruskin viene a Venezia a riprendere lo studio del Carpaccio.

Nel 1882 il Ruskin venne a Firenze, ove strinse conoscenza con Miss Frances Alexander, una scrittrice che intimamente aveva studiato ed apprezzava il popolo toscano; egli forní una prefazione al Roadside Song of Tuscany (1885) dell'Alexander e curò l'edizione del volume postumo di quest'autrice, Christ's Folk in the Apennine (1887-9). Nel suo ultimo viaggio in Italia, il sedicesimo, nel 1888, il Ruskin fece soggiorno a Venezia.

Finché il suo cuore non fu fermato e la sua voce fatta tacere dalla morte, il 20 gennaio 1890, a Brantwood, sul lago di Coniston, il Ruskin non lasciò di amare e di lodare l' Italia. Nel lungo placido viaggio della sua vita egli, quando si staccava dall' Inghilterra volgeva per lo più il corso alle nostre prode; e, nei suoi studi, la lettura di Dante procede parallela a quella della Bibbia. Nel suo insegnamento ad Oxford egli apportò i principi e l'esempio dell'arte toscana, e serbò viva la sua visione dell'azzurro dei cieli tirreni e del fulgore dell'arte nostra sulle sabbiose rive del lago nordico. Dall' Italia egli recò un fuoco prometeo all' Inghilterra, vivificando il freddo accademismo con un ardore novello, ed il suo spirito rimane pur oggi un alito di primavera per l'arte britannica.

V. Mornings in Florence, pagg. 52 sgg.

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Il Ruskin, trattando della facoltà immaginativa, osserva anzitutto che la sua azione è indispensabile in ogni verace opera d'arte; la bellezza esteriore non viene presentata in alcun alto lavoro estetico in semplice trascrizione; essa sempre riceve il riflesso della mente dell'artefice, e ne è modificata o colorata. Questa modificazione è effetto della virtú immaginativa. Egli distingue fra immaginazione e fantasia; la prima ci si presenta in tre forme, e la seconda ha tre funzioni, ciascuna subordinata ad una delle tre forme dell' immaginazione; queste sono a) l'immaginazione associativa, b) contemplativa, c) creativa.

a) l'immaginazione associativa crea nuove figure per mezzo di combinazioni; la mente, desiderando introdurre nuove fattezze nella realtà evoca immagini, prova a combinarle e le modifica sinché ottiene il resultato cercato. Il lavorio dell'immaginazione consiste qui nella concezione correttiva di parti imperfette; per sua operazione si scelgono idee, che considerate separatamente, sono discordanti, ma accostate, s'armonizzano perfettamente. Vi sono due sorta di composizione: 1) una mente, di scarsa sensibilità, riguarda soltanto la bellezza assoluta di ciascuna immagine, e sceglie la piú leggiadra, senza badare al suo accordo con quelle immagini a cui deve accompagnarsi; 2) una mente, di piú alto sentire, riguarda l'accordo od il contrasto dei particolari, sceglie immagini affini o discordanti, come le par meglio, e modifica i dettagli sinché tutte le immagini sono connesse in perfetta armonia.

Per ottenere quest'armonia nelle sue combinazioni l'artefice deve introdurre l'ordine fra ciascuna delle parti; il risultato sarà, in questo caso, un tutto; se invece le parti sono belle ciascuna di per se stessa, esse non formano un insieme perfetto, un Tutto. Le imperfezioni dei particolari devono essere correlative e concepite simultaneamente; questa concezione è opera dell' immaginazione associativa. I caratteri dell'opera creata da quest' immaginazione sono: intensa semplicità, armonia perfetta, verità assoluta. La funzione della fantasia in relazione all' immaginazione associativa è il potere di associa

Modern Painters. London, Dent, II, 291.

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c) L'immaginazione penetrativa è la piú alta forma d' immaginazione e la sorgente dell'arte più profonda; essa s'addentra negli esseri e raggiunge cosí verità non accessibili ad alcuna altra facoltà; essa consiste nel percepire l'intima essenza delle cose e nell'esprimerla. Questo è il carattere dell' intuizione del genio. « L'immaginazione penetrativa riguarda non solo la combinazione e il principio di selezione, ma la comprensione delle cose stesse. Essa afferra sempre il suo soggetto dall' intimo, e agisce per intuizione. Ogni grande concezione, di poeta o di pittore, deriva da questa facoltà ». Il Ruskin la fa notare in Dante, paragonando la descrizione della fiamma in un tratto della Divina Commedia con un passaggio del Milton; quando Satana s'aderge dal lago ardente l'effetto dei flutti infocati è cosí reso: << D'ambo le parti, le fiamme, cacciate indietro, inclinano le acute guglie, e, avvolgendosi in onde, lasciano aperta nel mezzo un'orrida valle »; e quindi segue un tratto d'immagini vulcaniche per ritrarre il terreno arso; 2 tutto ciò sta troppo sulle esteriorità; noi percepiamo piuttosto la forma delle ondate di fuoco che la loro furia; esse variano ed estendono il concetto, ma fanno scendere il termometro; l'essenza di un'intensa fiamma non è stata espressa. Ed ora udite Dante:

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Feriami il sole in su l'omero destro, che già, raggiando, tutto l'occidente mutava in bianco aspetto di cilestro; ed io facea con l'ombra piú rovente parer la fiamma.

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(Purg., XXVI, 4-8).

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Dante non ricorre all' Etna ed al Peloro per combustible, ma noi non ci rifaremo tosto della sensazione; egli ci ha tolto il respiro e ci lascia anelanti. Non v'è quí fumo o cenere, ma pura, bianca, informe, veemente fiamma, un vero cristallo di fuoco, di cui non possiamo fare guglie o flutti esso annienta al solo lambire ». ; Questo il Ruskin osserva per cose materiali; lo stesso accade colle emozioni spirituali, sentimenti, passioni, colla concezione ed analisi del carattere. Come esempio di tenerezza il Ruskin cita l'episodio di Buonconte, « un passaggio non meno notevole per la fedele descrizione di ciò che il Poeta detestava (le nubi), che per l'infallibile tenerezza, per cui Dante sempre s'innalza sopra ogni altro poeta, come per soavità la rosa sorpassa ogni altro fiore ». << Buonconte, mentre muore, incrocia le braccia sul petto, parte in dolore, parte in preghiera. Il suo corpo giace cosí sulla riva del fiume, sotto l'influsso del demone, scioglie la croce, facendo rotolare il corpo lungo la sponda ed il fondo. - E quanto desolato è tutto ciò! La solitaria

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<< Ogni personaggio, pur sol toccato da uomini come Eschilo, Omero, Dante o Shakespeare, è da essi tenuto pel cuore, ed ogni circostanza del loro essere, ogni frase del loro parlare, è afferrata dall' interno ed è riferita a quella segreta molla di cui non mai per un istante l'artefice lascia la presa. Cosicché ogni frase, poich'essa è stata foggiata dal cuore, al cuore ci apre la via, ci guida al centro, e quindi ci lascia raccogliere quanto piú possiamo; essa è l'« Apriti, Sesamo» di una caverna oscura, infinita, in cui è sparso inesauribil tesoro di puro oro; l'andar attorno ed il raccoglierlo è lasciato a noi; tutti possono farlo; ma la potenza di aprire quella porta invisibile nella roccia appartiene solo all' immaginazione. E ciò si rivela nell' intensità, nella serietà, nella tenerezza delle concezioni dei piú eccelsi artefici ». « V'è una azione reciproca fra l'intensità del sentimento morale e la potenza dell'immaginazione, poiché coloro che sentono una simpatia piú viva sono quelli che guardano più da vicino e penetrano più profondamente ed essendo cosí giunti nelle melanconiche profondità delle cose sono animati dalla passione piú intensa. La forza immaginativa può quindi esser dimostrata dalla tenerezza d'emozione che l'accompagna; enon v'è tenerezza intensità o serietà pari a quelle di Dante ». Modern Painters, II, 312-314.

2 Modern Painters, II, 234.

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alfine pur colei in cui piú egli avea fiducia lo oblia :

Giovanna o altri non ha di me cura;
perch' io vo tra costor con bassa fronte ».
(Purg., V, 89).

La fantasia ha un'azione corrispondente a questa forma d' immaginazione; Ruskin osserva la differenza fra i loro modi di agire, ma nota anzitutto che una mente non immaginativa nulla vede dell'oggetto che essa ha da descrivere, ed è perciò affatto incapace, poi che essa stessa è cieca, di porre alcunché innanzi agli occhi del lettore ». Le differenze sono: a) la fantasia vede l'esterno, ed è capace di darne una copia, chiara, brillante, piena di dettagli; l'immagi nazione vede il cuore e l'intima natura delle cose, e li fa sentire; ma essa è sovente oscura, misteriosa e interrotta nel rendere i particolari esteriori.

Il Kuskin conforta le sue osservazioni con esempi; scegliendo la descrizione delle labbra come soggetto, e seguendo all'inizio Leigh Hunt egli ci presenta cinque modi di rappre sentazione: 1) la mente priva d'immaginazione o di fantasia non vede, e gli aggettivi banali ch'essa adopera (roseo, leggiadro, ecc.) non ap portano visione alcuna; 2) la fantasia ci dice: <«< le sue labbra erano rosse, ed uno era sottile, paragonato a quello piú vicino al mento; un'ape l'aveva punto di recente »; 3) l'immaginazione, al suo destarsi ispira un tratto di Warner sulla Bella Rosmunda colpita dalla regina Eleonora : << Con ciò essa la batté sulle labbra, che si tinsero doppiamente rosse; duro era il cuore che diede il colpo, soavi eran quelle labbra che sanguinavano »; 4) l'immaginazione agisce in questi versi di Shelley, ma piuttosto contemplativa che penetrativa: « Lampada di vita, le tue labbra ardono attraverso il velo che sembra celarle, come le radianti striscie del mattino ardono attraverso esili nubi prima che esse dividano questo velo »; 5) l'immaginazione si manifesta in tutta la sua forza nel passaggio dello Shakespeare in cui Hamlet considera i resti del

1 Modern Painters, II, 315.

2 LEIGH HUNT, Imagination and Fancy. London, Blackie, 1907, pag. 34.

buffone Yorick: «Quí pendevano quelle labbra ch'io non so quanto spesso ho baciate. Dolci sono ora le tue beffe, i tuoi sgambetti, i tuoi canti, i tuoi lampi d'allegria che solevano far scoppiar dalle risa tutti i commensali? »

b) La fantasia non è mai seria; essa non sente; è puramente intellettuale. L'immaginazione è seria; essa vede troppo lontano, troppo solennemente, oscuramente, per sorridere; v'è alcunché nel cuore d'ogni cosa che, se noi pos. siamo arrivarci, non ci inclina a riderne.

c) La fantasia è irrequieta; fermandosi all'esterno essa non può vedere tutte le cose nel loro insieme e perciò va correndo attorno; e quando sosta, si posa solamente sopra un punto, non abbraccia mai il tutto; quindi muove rapida da un punto all'altro e offre la sua massima lucentezza in questi voli. L'immaginazione è calma; essendo penetrata nell' intimo cuore delle cose, essa siede calma e pensosa, tutto comprendendo all' ingiro col suo sguardo.

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d) La fantasia si compiace nel tratteggiare i particolari; l'immaginazione è suggestiva piuttosto che descrittiva.

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Coleridge aveva pure con mirabile acutezza osservato la differenza fra immaginazione e fantasia; << esse sono », egli dice, « due facoltà distinte e grandemente diverse, non due gradi della stessa facoltà »; la sua formula è: « L'immaginazione crea, la fantasia combina ». Egli considera due gradi di immaginazione; la primaria, che è « il vivente potere ed il primo agente d'ogni percezione umana, e una ripetizione nella mente finita dell'eterno atto di creazione nell' infinito IO SONO »>, e la secondaria, che è « un eco della prima, identica a questa nella specie nel suo agire, differente solo nel grado e nel modo della sua operazione; essa dissolve per creare di nuovo, e, ove questo procedimento è impossibile, essa si sforza tuttavia di idealizzare e di unificare gli oggetti, i quali, considerati soltanto come oggetti, sono essenzialmente fissi e morti ». La fantasia, al contrario, tratta solo di fissità e definitezza; essa non è altro che un modo della memoria emancipata dall'ordine di tempo e di spazio, mentre è fusa con quel fenomeno della volontà chiamato scelta. Le immagini, per quanto belle, per quanto fedelmente copiate dalla natura, non caratterizzano il poeta; esse diventano prove di originale genio solo in quanto

1 Biographia Literaria, Cap. XIII.

sono modificate da una passione predominante, o da pensieri associati ad esse, o da immagini destate da quella passione, o quando esse hanno l'effetto di ridurre la moltitudine ad unità o la successione ad un istante, o, infine, quando una vita intellettuale e umana è trasferita a loro dallo spirito stesso del poeta.

Il Coleridge indica questo passaggio dalla fantasia all' immaginazione esprimendo in due modi la stessa scena: « Guarda quella schiera di pini, che appaiono nel crepuscolo della sera, e chinati piegano al colpo di vento che viene dal mare »; « guarda quella schiera di tetri visionari pini, che appaiono nel barlume crepuscolare; come essi fuggono dall' irruente colpo di vento che viene dal mare, mentre tutte le lor trecce selvagge scorrono innanzi a loro! » L'immaginazione penetrativa si rivela nel linguaggio; «v'è in ogni parola scritta da una mente immaginativa una corrente occulta (undercurrent) di significato, e sulla parola v'è l'ombra delle profondità da cui essa è uscita. Questa parola è sovente oscura, solo a mezzo profferita, ma intesa, e ci trae nell' intimo dell'anima. In Dante « Quel giorno piú non vi leggemmo avante » di Francesca, ed in Shakespeare He has no sons di Macduff, sono di ciò esempi caratteristici. Questa forma d'espressione desta infiniti echi nella nostra anima; quindi l' inesauribile potere suggestivo d'una grande opera d'arte.

La forza immaginativa si rivela nella precisione delle sue figurazioni; ciò deriva, si può aggiungere, dall' intensità quasi di allucinazione che l'immagine ideale assume nella mente di un grande artefice. Ruskin, onde dimostrare questa qualità di definiteness nei poeti, paragona le pitture di Milton a quelle di Dante. « Pas

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RUSKIN, op. cit. II, 312. Cfr. C. PATMORE: « Il segno piú caratteristico del genio è l'introspezione (insight) in soggetti che sono oscuri alla visione ordinaria, e per cui il linguaggio comune non ha espressione adeguata ». Religio Poetae. London, Duckworth. 1913, pag. 304.

2 << Il carattere che prima ci colpisce nelle scene di tutta la Divina Commedia è un' intensa definitezza, quella precisione appunto che già abbiamo rintracciata nei dipinti di questo periodo; Milton, in tutto cio ch'ei dice del suo Inferno, si sforza di renderlo indefinito, Dante, di definirlo. Entrambi, invero, ci rappresentano la sua entrata come una porta; ma in Milton, varcata questa porta, tutto è selvaggiamente confuso, senza ripartizioni; l'Inferno ha i quattro

sando con Dante dall' Inferno al Purgatorio noi abbiamo invero maggior luce ed aria, ma non maggior libertà, trovandoci ora confinati su vari risalti scavati nel monte, con un precipizio da una parte ed un muro verticale dall'altra; e, per tema che noi ci sbagliamo circa le dimensioni, ci si dice che i risalti erano 18 piedi in larghezza e che l'ascesa dall' uno all'altro si faceva per gradini simili a quelli che a Firenze salgono alla Chiesa di S. Miniato. Sebbene nel Paradiso vi sia perfetta libertà ed infinità di spazio, sebbene, invece di fossati, abbiamo pianeti, e, invece di cornici, costellazioni, — tuttavia v'è maggior ordine fra le anime redente che fra tutte le altre; esse volano in modo da descrivere nell'aria lettere e frasi, si fermano in circoli, simili ad arcobaleni, o in determinate figure, una croce od un'aquila ».

<< L' indeterminatezza di Milton non è segno d'immaginazione, ma della sua assenza. Non risulta dal fatto che Milton non ci diede una topografia del suo Inferno, come Dante, che egli avrebbe potuto farlo se gli fosse garbato; ma solo che il lasciarlo indeterminato, anziché il definirlo, era il procedimento più age. vole e meno immaginativo. L'immaginazione è sempre la facoltà che vede e afferma; quella che oscura o nasconde può essere giudizio o sentimento, ma non invenzione ». Da questa precisione della visione deriva il realismo in esseri immaginari; « appunto perché l'arte vede distintamente è carattere di ogni vera, alta cosa ideale di essere stata studiata quasi a dire dalla vita, e includere particolari di subitanea fami gliarità ». Il Ruskin cita come esempio il cen

fiumi caratteristici, ma essi scorrono attraverso lande e montagne desolate, lungo molti gelidi monti e molti monti infocati. Al contrario, l'Inferno di Dante è accuratamente diviso in cerchi, disegnati con un compasso diretto da mano sicura; esso è divisato e sistemato in ogni sua parte con ottima arte costruttiva, - diviso, nel « giusto mezzo » del suo abisso più profondo, in una serie concentrica di dieci fossati, con argini e ponti da una all'altra ripa. Ed inoltre noi abbiamo due ben costrutti castelli: uno, come Ecbatana, con sette cerchia di mura, circondato da una bella riviera, e in cui dimorano i grandi poeti ed i saggi dell'antichità; l'altro la città di Dite una grande urbe fortificata, con mura di ferro rovente, un profondo fossato all'ingiro, e piena di <«< cittadini gravi ». Modern Painters, III, 200-202. 1 Purg., X, 24.

2 Purg., XII, 100-8.

tauro Chirone, che, prima di parlare, scansa la barba con una freccia : 1

Chiron prese uno strale, e con la cocca fece la barba indietro alle mascelle. Quando s'ebbe scoperta la gran bocca, disse ai compagni....

(Inf., XII, 77).

Da questa intensità di visione sorge pure la tendenza ad una esatta definizione d'ogni sfumatura di colore, per quanto ciò è possibile alla parola. Commentando i versi:

men che di rose e piú che di viole
colore aprendo, s'innovò la pianta,
che prima avea le ramora sí sole,

(Purg., XXXII, 58).

il Ruskin osserva: << Non sarebbe certamente possibile di avvicinarsi di piú, colle parole, alla definizione della tinta precisa che Dante intendeva rendere quella del fiore del melo. Se egli avesse usato semplicemente « rosa pallido » o << rosa violetto » o altra simile espressione, egli non avrebbe potuto arrivare alla delicatezza della tinta; avrebbe forse potuto indicar la specie del colore, ma non la sua tenerezza; scegliendo invece il petalo di rosa come tipo di un rosso delicato, e attenuandolo quindi con un grigio violetto, egli riesce, per quanto è possibile al linguaggio, a rendere completamente la sua visione, sebbene egli senta che essa è, nella sua perfetta bellezza, inesprimibile ». Nella descrizione della valletta nel Purgatorio, Dante usa a medieval precision nel definire le tinte dei fiori; 2 <<< egli insiste nel dirci precisamente quali erano questi colori, e la loro lucentezza; il che egli fa col nominare i pigmenti stessi usati nella miniatura: oro, ed argento fino, e cocco e biacca; egli distingue quindi con accuratezza ogni sfumatura, come farebbe un pittore >>.

Dalla calma, dall' intima serenità dell'anima dotata di un'alta immaginazione nasce il fatto che i grandi poeti sono immuni dal quel difetto di visione che il Ruskin chiama the pathetic fallacy, « l'errore sentimentale ». 3 A ciò provare egli fissa la nostra attenzione su di un fiore, una primula, e quindi osserva che vi sono tre qualità di persone secondo il modo di percepire: a) colui che percepisce nettamente, perché non sente, e per cui la primula è precisamente

Modern Painters, III, 78.

2 Modern Painters, III, 209, 222. 3 Modern Painters, III, 151.

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