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Tralasciando una speciale qualità della mente (la profetica) che qui non ci riguarda, noi abbiamo tre classi: a) uomini che non sentono nulla, pensano debolmente, e vedono falso (poeti di second'ordine); c) uomini che senton forte, pensano altamente e vedono giusto (poeti di primo ordine). Questo « errore patetico » è di due specie: un errore volontario della fantasia, che non s'attende di esser creduta un attore prodotto da uno stato d'eccitazione sentimentale, che ci rende, in quel momento, piú o meno irrazionali. Quindi si attribuiscono qualità false alle cose, poiché la ragione ci è tolta dalla passione. Tutti i sentimenti violenti hanno questo stesso effetto; essi producono in noi una falsità in tutte le percezioni esterne. Ma il grande artefice ciò non conosce. « Cosí quando Dante descrive gli spiriti che cadono dalla riva dell'Acheronte « come d'autunno si levan le foglie », egli ci dà la più perfetta immagine possibile della loro estrema legge. rezza, debolezza, passività e della disperata agonia che le disperde, senza tuttavia smarrire per un momento la sua chiara percezione che

1 « L'uomo debole, e con alto grado di sensibilità, è subito sconvolto, vede tutto l'universo in una nuova luce attraverso le sue lacrime; non cosí l'uomo veramente grande. Perciò il poeta altamente creativo potrebbe pur essere creduto impassibile, come persone superficiali pensano che Dante sia aspro e severo (stern), poiché esso riceve invero tutti i sentimenti nella loro estrema pienezza, ma ha un grande centro di riflessione e di conoscenza, in cui egli sta sereno, e da cui osserva i sentimenti, quasi di lontano. Dante, ne' suoi stati d'animo più intensi, ha intera padronanza su se stesso e può sempre cercare con calma attorno a sé l'immagine o la parola che meglio di ogni altra esprimerà ciò ch'ei vede. Ma Keats e Tennyson ed i poeti di second'ordine sono generalmente soggiogati dai sentimenti, e perciò ammettono espressioni e modi di pensiero in alcuna guisa morbosi o falsi ».

queste sono anime e quelle sono foglie; egli non fa confusione alcuna fra loro ».

Applicando queste osservazioni del Ruskin all'opera dantesca possiamo scorgere l'azione della fantasia, nella sua funzione associativa, nella semplice sostituzione di un emblema per un partito in « L'uno al pubblico segni i gigli gialli - oppone.... » (il guelfo oppone all'aquila imperiale i gigli di Francia), o nella relazione che il poeta trova con un' immagine remota: << Per ch' io dentro all'error contrario corsi a quel ch'accese amor tra l'uomo e 'l fonte >> l'errore di Narciso). L'immaginazione associativa si rivela invece nell' intensità della similitudine in << Cosí un sol calor di molte brage usciva si fa sentir, come di molti amori solo un suon di quella image », e nell'audace

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contrasto fra un tratto di « humour »: « Come fa il merlo per poca bonaccia » ed un'idea di tragico orgoglio nelle parole di Sapia : « Omai piú non ti temo!» Si riconosce l'immaginazione contemplativa nella sintetica espressione : << Diretro al mio parlar ten vien col viso - girando su per lo beato serto », e nell' immagine dello zaffiro nella magnifica figurazione del Paradiso (XXIII, 94-102); cosí pure nella potenza di concezione con cui la metafora è continuata d'immagine in immagine in : « Poi con dottrina e con volere insieme con l'officio apostolico si mosse, - quasi torrente ch'alta vena preme, -e negli sterpi eretici percosse

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l'impeto suo.... Di lui si fecer poi diversi rivi, onde l'orto cattolico si riga, sí che i suoi arbuscelli stan piú vivi ». Una sola parola, piena di << pathos », ci dimostra l'influsso dell'immaginazione penetrativa in « E se il mondo sapesse il cuor ch'egli ebbe.... », come pure la frase di Piccarda : « E Dio si sa qual poi mia vita fúsi »; la stessa forza immaginativa ispira all'artefice il modo di suggerire con un parti colare un vivido stato psicologico nel tratteggiare Provenzan Salvani : « Si condusse a tremar per ogni vena »; ed infine tutto l'episodio della Pia nella sua dizione ellittica ed intensa è un indimenticabile esempio della suprema potenza suggestiva di questa forma d'immaginazione.

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Il Ruskin, nelle sue osservazioni su Dante, analizza il significato simbolico di parecchie figurazioni. La foresta è sgradita alla mente medievale ed a Dante; quest' idea gli è cosí repulsiva che egli non può esprimere la piú nera disperazione della vita che coll' immagine di una selva, all'inizio del suo Poema; ed una delle scene piú tetre dell' Inferno è la selva dei suicidi. Parrebbe esservi un'eccezione a questo concetto nella foresta del Paradiso terrestre ; tuttavia, osserva il critico inglese, v'è in essa un peculiare significato. Virgilio dice a Dante all'entrarvi :

Tratto t'ho qui con ingegno e con arte;
lo tuo piacere omai prendi per duce;

fuor sei dell'erte vie, fuor sei dell'arte 1 intendendo che la creatura umana perfettamente purificata, non avendo tendenza che non sia retta, non ha piú necessità di norme.

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Lo scopo di Dante è quindi, in questo passaggio, di mostrare la perfetta libertà e la purezza della natura rinnovellata col cangiare ciò ch'era immagine di dolore in un simbolo di felicità. Cosicché ogni rigidezza di linea, necessaria nell' imperfezione, è quí tolta; ed il bosco intricato, << la foresta spessa e viva »>, dianzi oggetto per lui di terrore è ora emblema di gioia. E come il disordine del peccato condusse al tremendo ordine della punizione eterna, cosí l'assenza di ogni regola nella libera virtú conduce all'ordine paradisiaco della beatitudine eterna. Quando Dante è nel Purgatorio, ei si cinge di un giunco, emblema di umiltà nel castigo; nessun'altra pianta puó crescere sulla sponda del monte di purificazione :

Null'altra pianta che facesse fronda
o indurasse, vi puote aver vita,
però ch'alle percosse non seconda. 2

<< Ma seguiamo quest' immagine e vedremo ai piedi di Chi ci condurrà. Come l'erba della terra, considerata com'erba che porta seme, ci guida al luogo dove il Salvatore disse alla moltitudine di assidersi sul verde prato, cosí l'erba dell'acqua, considerata come erba nutrita dalle acque dell'afflizione, ci conduce al luogo dove un suo stelo fu posto come scettro nelle mani del Redentore; e nella corona di spine, e nella

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verga di canna, fu predimostrata l'immortale verità dell'èra cristiana: che ogni gloria deve iniziarsi nel dolore ed ogni potenza nell'umiltà ». La contessa Matelda è la guida di Dante nel Paradiso terrestre, come Beatrice nel Paradiso; qual'è il suo significato simbolico? - Lia e Rachele simboleggiano, nel sogno di Dante, la vita attiva e la contemplativa; Lia coglie fiori per adornare se stessa e si delizia del suo lavoro; Rachele siede silenziosa contemplando se stessa e si delizia della sua immagine; esse sono i tipi delle facoltà umane attive contemplative, non glorificate. Matelda e Beatrice sono le stesse facoltà, glorificate. Lia prende diletto nella sua occupazione, Matelda in operibus manuum Tuarum, nel lavoro di Dio; Rachele è lieta nel mirare il suo viso, Beatrice nella visione di Dio. Dante in Lia e Rachele, Matelda e Beatrice, non fa distinzione fra Cielo e Terra, ma fra perfetta e imperfetta felicità sia in cielo che in terra. Matelda, la vita attiva, rappresenta la perfetta felicità in terra; Beatrice, la vita contemplativa, la perfetta felicità in Cielo. La vita attiva, che ha per suo unico fine il servizio dell'uomo (Lia coglie fiori per suo adornamento) è felice, ma non perfettamente; essa ha soltanto la felicità d'un sogno, essendo intimamente unita al sogno della vita umana. La vita attiva che lavora per conoscere sempre piú l'operazione divina (Matelda) è perfettamente felice; essa è la vita nel Paradiso terrestre, e qui quasi nel vestibolo del Cielo, pregusta la beatitudine del Paradiso. La vita contemplativa (Rachele), che si occupa dei pensieri umani, del sentimento e della bellezza delle creature, è felice, ma della felicità di un sogno; la vita contemplativa (Beatrice), che ha per suo oggetto il Paradiso e l'amore divino, possiede la verità e la beatitudine eterna.

E poiché questa più alta felicità s' inizia pure in questo mondo, Beatrice discende sulla terra; e Dante vede l'immagine della duplice personalità del Cielo riflessa negli occhi di Beatrice, come i fiori per la mente medievale l'opera principale di Dio - passano fra le mani di Matelda.

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Per il Ruskin quest'episodio di Matelda è il piú importante non solo nella Divina Commedia, ma nell' intero campo dell'arte, poiché esso con

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tiene la prima grande affermazione che il lavoro umano non deve avere come suo fine supremo il servizio dell' umanità, ma il servizio di Dio. Esso racchiude inoltre egli osserva la differenza essenziale fra l'arte greca e la moderna, in quanto che la prima cercava la bel lezza per suo uso, la seconda per la gloria del Creatore; l'una contempla la propria leggiadria e l'operazioni della sua mente, l'altra la bellezza di Dio e le operazioni della mente divina. In The Stones of Venice il Ruskin dice: «< Ogni ornamento è vile che prende per suo oggetto opere umane; poi che il rappresentare in scultura i nostri lavori e presentarli alla nostra ammirazione è una misera compiacenza di se stessa, quando noi avremmo potuto guardare le opere di Dio. Ogni nobile ornamento è l'espressione della delizia dell'uomo nell'opera di Dio ; poiché la funzione dell'ornamento è di renderci felici, e voi siete giustamente felici non nel pensare a ciò che avete compiuto voi stessi, nel vostro orgoglio, nella vostra volontà, ma nell'osservare ciò che Iddio fa e ciò ch' Egli è, nell'obbedire alle Sue leggi e nell'abbandono alla Sua volontà. Quindi sarà oggetto adatto di ogni ornamento qualunque cosa Iddio ha creato, e sarà suo proprio trattamento quello che cerca di accordarsi alle Sue leggi o le simbolizza ».

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dell'

Un carattere malinconico è nella pittura

ombra smorta

qual sotto foglie verdi e rami nigri sopra suoi freddi rivi l'alpe porta.

(Purg., XXXIII, 109).

Quando Dante intende introdurre la neve con un senso di leggiadria, non pensa alle rocce come capaci di dar riposo alla neve, ma se pur essa ha da trovar pace, la pone sui rami dei pini :

Sí come neve tra le vive travi

per lo dosso d'Italia si congela....
(Purg., XXX, 85).

Quando Dante menziona un monte siccome << lieto » si riferisce a ruscelli e verzura : Una montagna v'è che già fa lieta d'acque e di frondi....

(Inf., XIV, 97). Dante ricorda le Alpi solo in nebbia o neve: Sovra tutto il sabbion, d'un cader lento, piovean di fuoco dilatate falde, come di neve in alpe senza vento.

(Inf., XIV, 28).

Ricorditi, lettor, se mai nell'alpe ti colse nebbia, per la qual vedessi non altrimenti che per pelle talpe. (Purg., XVII, 1).

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Due disegni del Turner, il Passo di Faido e Goldau, gli appaiono come una rappresentazione delle due idee principali di Dante riguardo alle Alpi. Il pensiero di orrore e di morte è espresso dal Goldau, l'espressione di frangibilità nelle rocce dal Passo di Fraiḍo. Il primo, egli soggiunge, potrebbe esser stato tracciato di proposito come un' illustrazione ai versi :

Qual'è quella ruina che nel fianco
di qua da Trento l'Adice percosse....
(Inf., XII, 4).

<< Le similitudini con cui Dante illustra la rapida ascesa al primo balzo del monte del Purgatorio sono tutte prese dalla Riviera di Genova, al tempo del Poeta attraversata probabilmente per mezzo di sentieri non poco pericolosi. Le immagini non potevano esser derivate da miglior fonte, poiché questi tratti della riviera, nel modo con cui essi dominano i golfi del mare, e poich'essi sono esposti al pieno ardore del sole nel sud-est, corrispondevano esat

1 Modern Painters, IV, fig. 21 e 50.

Giornale dantesco, anno XXVIII, quad. I.

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tamente alla situazione del sentiero per cui il Poeta ascendeva sulle balze che guardano sul mare che circonda il Purgatorio ». 1

Le anime dei violenti, che hanno compiuto male azioni per mezzo della forza, spezzando vite e possessioni, sono poste in un girone, il cui orlo è di rocce infrante. Continuando la sua interpretazione simbolica il Ruskin osserva che i violenti, malgrado la lor durezza di cuore, non hanno forza verace, ma cadono in ruina per cause esterne; qui fu il terremoto alla discesa del Salvatore. E non v'è in Dante un grandioso paesaggio alpestre; - quando egli lo evoca, esso ha un aspetto tetro e odioso :

Era lo loco ove a scender la riva
venimmo, alpestro....
Qual'è quella ruina che nel fianco

di qua da Trento l'Adice percosse,
o per tremuoto o per sostegno manco,
che da cima del monte, onde si mosse,
al piano è sí la roccia discoscesa,
ch'alcuna via darebbe a chi su fosse;
cotal di quel burrato era la scesa ;
e in su la punta della rotta lacca....
(Inf., XII, I). 2

<< Nessuna idea di forma piacevole sembra che pur per un istante entri nella sua mente; egli ricorda soltanto la varietà di dimensione; rocco è parte di uno scoglio :

poggiando ad un de' rocchi
del duro scoglio,

(Inf., XX, 25).

tra le schegge e tra' rocchi dello scoglio;

scheggio è un frammento di roccia:

t'acquatta

dopo uno scheggio, che alcun schermo t'àia; (Inf., XXI, 59).

1 Modern Painters, III, 227. Ruskin allude ai versi :

Tra Lerici e Turbia la più diserta,
la piú romita via è una scala,
verso di quella, agevole ed aperta.
(Purg., III, 49).

Vassi in Sanleo, e discendesi in Noli;

Montasi su in Bismantova e in Caccume
con esso i pié; ma qui convien ch'uom voli.
(Purg., IV, 25).

Si osservi però che Sanleo è non lungi da San Marino e Bismantova, al sud di Reggio Emilia; Caccume è nei Monti Lepini. Cfr. A. BASSERMANN, Orme di Dante in Italia, pagine 346, 521.

2 Modern Painters, III, 226, 229, 219, 226.

petrone è un grande sasso:

e vedemmo a mancina un gran petrone
(Purg., IV, 101). 1

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I soli epiteti usati da Dante pe' monti sono erto, sconcio, maligno, stagliato, ecc. ; ed il Ruskin ci dà illustrazione di ciò che significano nel verso dantesco traendole dai dipinti del Ghirlandaio, Pesellino, Andrea del Castagno, Leonardo; egli nota che questi artisti sono d'una piú tarda età, ma che il modo di rappresentare le rocce rimase immutato da Giotto al Ghirlandaio. Secondo il Ruskin « la concezione delle rupi nelle pitture medievali è inaccurata; ma l'arte di quel tempo non ce ne offre un'altra ». Ci sia permesso osservare che certo in quell'arte v'è una stilizzazione delle forme che non risponde alla realtà, ma ben s'adatta alla nobile concezione dell'artefice; e che in Leonardo v'è un senso affatto moderno nel modo con cui rende lo sfondo della Gioconda e della Sacra Famiglia.

Per Dante, dice il Ruskin, i monti sono << balze o grandi pietre infrante »; egli non ammira i loro « vasti contorni, le loro ondulazioni ». Dante ed Omero osservano la liscia superficie e la cavità di certe fratture di roccia, siccome cosa che distingue la pietra dalla terra. Inoltre, il carattere stesso delle rupi è triste per la mente medievale, essendo contrario al principio di simmetria. Dante, anziché esaltare la grandiosità del paesaggio alpestre, insiste sul concetto di accessibilità, le rocce venendo cosí considerate come cose da essere conquistate.

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Trattando del Purgatorio, il Ruskin osserva che, sebbene questo luogo di purificazione sia

1 Op. cit., III, 217. V. però per scheggia, Inf., XVIII, 71.

2 I RUSKIN cita Inf., XIX, 131:
Lo scoglio sconcio ed erto,

che sarebbe alle capre duro varco

Purg., III, 47 :

quivi trovammo la roccia sí erta che indarno vi sarien le gambe pronte,

Inf., XVII, 134;

a piè della stagliata rocca.

V. ancora Inf., XXIV, 27, 61:

cosí, levando me su vêr la cima

d'un ronchion, avvisava un'altra scheggia.... Su per lo scoglio prendemmo la via, ch'era ronchioso, stretto e malagevole, ed erto piú assai che quel di pria.

3 Modern Painters, III, 226-229.

un monte

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col che viene accentuata l'idea di ascensione, tuttavia la sua asprezza è attenuata da erbosi recessi (la Valletta) o da pendii e da una spiaggia orlata di giunchi. Si raggiunga la magnifica foresta sulla cima. Esso assomiglia assai piú ad un colle su cui sorga un castello e sia circondato da viali e terrazze che ad una vera montagna. Al contrario, l' Inferno è spaccato in dirupati baratri che hanno un vero carattere alpestre. Questo aspetto è gradito all'anima moderna, ma a Dante esso parea confarsi ad un sito destinato alla punizione di spiriti dannati. Osserviamo tuttavia che noi pure sentiamo l'orrore di erte montagne, delle forme strane delle rupi, degli abissi in fondo a cui si contorce e rugge il torrente. Dante sorvola, secondo il Ruskin, sulla bellezza e sulla sublimità dei monti, poiché non le percepisce, e quindi quando ha da menzionarli si ferma a particolarità estrinseche, a queste impressioni generali. Cosí i monti di Carrara vengono ricordati solo per il marmo e per la vista sul cielo e sul mare :

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viola

Un'altra osservazione del Ruskin sull'apprezzamento dei monti da parte di Dante riguarda il colore. A proposito delle rocce dell'ottavo cerchio, egli nota che la mente medievale amava i colori limpidi, le tinte variegate. Ora, le rocce in Italia, secondo il suo modo di vedere, sono prive di lucide colorazioni; i monti non sono qui avvolti nell'atmosfera azzurra delle balze scozzesi, ma appaiono attraverso la limpidità dell'aria, d'un grigio bianchiccio. Quindi, egli dice, sorgeva in queste anime un senso di disgusto, di antipatia per il paesaggio alpestre. Gli appennini sono di una tinta bigia e monotona, malinconica; Dante andò vagando sopratutto fra loro, anziché fra le Alpi; perciò la sua idea del color della roccia è un grigio cinereo, colorato a tratti dall'ocra bruna di ferro, d'una tinta fredda, non fulva. 3 « E il grigio è per Dante (come invero nel generale simbolismo, possiamo aggiungere) una tinta melanconica; lo Stige ha « maligne piaggie grigie » ; la stessa tinta è data alla veste dell'Angelo del Purgatorio, Angelo di Penitenza, non di Gioia. Cenere, o terra che secca si cavi, d'un color fora col suo vestimento. (Purg., IX, 111). 5

1 Modern Painters, III, 292. 2 XXVII, 53.

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