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PG 4321

V, 28

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Nella storia del pensiero estetico britannico del secolo scorso John Ruskin rappresenta il vincolo piú importante e piú forte tra l'Italia e l'Inghilterra. Ciò deriva in parte dall'acutezza del suo apprezzamento, dalla vastità della sua conoscenza dell'arte nostra, e dall'elevatezza de' suoi ideali fondati essenzialmente sulle opere dei nostri massimi artefici, ed in parte dal dominio ch'egli riuscí ad acquistare sullo spirito della sua nazione per mezzo del suo eloquente ed assiduo insegnamento.

Nato in Londra nel 1819, di stirpe scozzese, il Ruskin ereditò le contradditorie caratteristiche della sua gente: misticismo e realismo, sentimento romantico e accorto buon senso, dignità di espressione e caustico « humour »; e nei suoi apprezzamenti dell'arte nostra noi scorgiamo spesso tracce di queste sue tendenze originarie. Intensa è l'impressione ch'ei riceve dalla spiritualità di Giotto e dell'Angelico; ma questo dono della comprensione dell'elemento sovrannaturale splende ancora più nelle sue considerazioni sulla mistica sublimità di Michelangelo.

Nei Modern Painters ei ci descrive con tratto sicuro lo sbocciare di questo fiore supremo, risalendo alla scultura di Mino da Fiesole e quindi penetrando nel mondo titanico delle creazioni michelangiolesche. Egli ci fa osservare <<< la tenerezza e la potenza di uomini come Mino, il cui scalpello lascia molti orli non politi, ma pur sembra scolpir la luce e incidere il soffio vitale; il marmo arde sotto lo strumento e si fa trasparente per lo stesso spirito che v'è infuso ».

Nel 1833 egli vide la nostra contrada per la prima volta; per « il piú grandioso varco all'Italia» (la Via Mala) egli discese « al piú bello dei laghi italiani » (lago di Como), e quindi a Milano, il cui Duomo, « che domina la città col suo scintillio di gelo cristallizzato », gli of ferse il primo aspetto di quella radiosa architettura ch'ei doveva in seguito esaltare sulla fosca concezione nordica.

Tuttavia questo viaggio lasciò solo una lieve, fuggevole impressione, ed è unicamente l'imitazione dei Byron, che, al suo ritorno, mentr'ei prosegue i suoi studi ad Oxford (1836-40), gli suggerisce di porre uno sfondo italiano alla sua novella in versi: Leoni, a Romance of Italy.

Né più profonda fu la sua comprensione nella sua seconda visita, nel settembre del 1840, quando, attraversata la Francia, per la Riviera ei venne a Pisa, quindi a Firenze, Roma, Napoli, e fece ritorno per Venezia, Milano, Torino. Egli fu colpito allora dalla bellezza naturale, ma l'arte nostra rimase muta per lui; fu soltanto nella sua terza venuta, cinque anni dopo, ch'egli rimase affascinato dal nostro tesoro artistico.

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Giornale dantesco, anno XXVIII, quad. I.

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