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con un senso di maraviglia per noi, errato criterio di compensare con spostamento di concetti ciò che resterebbe in altro modo sacrificato, e di conseguenza ridondanze, rafforzamenti da un lato, attenuazioni dall'altro basta per questo soffermarsi un po' sulla prima e sulla seconda delle terzine che Anderson dà tradotte, per ammirare tutta la riproduzione ch'egli sa farci della pittura del cicognino e per riconoscere dall'ultima parola di essa (again) e da qualche altra dei rimanenti tre versi il metodo seguíto nel suo lavoro. E leggiamo ancora con ugual risultato nel confronto fra le tre versioni, un'altra di quelle similitudini che attraggono e fermano la nostra ammirazione e dinanzi a ciascuna delle quali si dimenticano le rimanenti e si è portati ad accogliere in sé stessi il giudizio di perfezione massima raggiunta da Dante nel genere:

As sheep are wont to issue from the fold
By one and two and three, the rest pursue
Meekly, and eye and muzzle downward hold,
And what the first one does the others do,

And if she stop all huddle at her side,
Nor question why, the quiet silly crew:
So moving now toward us I descried
The column-leaders of that happy flock,
Modest in face, in action dignified.

(Purg., III, 79-87).

Tutti e tre, e piú ancora Anderson, lascian cadere quello che può dirsi punto centrale e punto d'unione della comparazione nonché della rappresen tazione, l'immagine cioè compatta, pur nella sua molteplicità, sia delle pecorelle, sia della mandria fortunata morta in contumacia di santa Chiesa, l' immagine cioè come d'un sol corpo di cui il poeta vede « movere a venir la testa », parola, quest'ultima (divenuta column-leaders in Anderson), di rappresentazione viva e densa, che è a un tempo parte d'una sola persona e schiera anteriore a piú altre, parola che compie l'unità del disegno permettendo quasi di riferire anche a sè, singolarmente presa, quell'esser « pudica in faccia, e nell'andare onesta », onesta con quel suo senso comprensivo di movimento regolato e d'armonia, cosí caratteristico qui e altrove nel Poema, e qui e altrove attenuato o perduto del tutto nella versione che più direttamente c'interessa. E appunto in questa, la cura palese di riprodurre fedelmente l'originale si lascia sviare o vincere per uno o per altro motivo, introducendo il concetto d'un consueto uscir del chiuso, sostituendo all'atto là cosí naturale del soffermarsi (e l'altre stanno) un'immagine di moto con l'uso del verbo pursue, e attribuendo infine per cosí dire alle pecorelle una certa facoltà d'interrogare a cui rinunziano, e che tanto stona con l'insieme e tanto ci fa rimpiangere le cinque parole dantesche, che crediamo non si possan leggere senza accompagnarle sponta

neamente con un moto assai espressivo del capo,

e lo 'mperché non sanno:

Come le pecorelle escon del chiuso

A una, a due, a tre, e l'altre stanno
Timidette atterrando l'occhio e il muso;
E ciò che fa la prima, e l'altre fanno,
Addossandosi a lei s'ella s'arresta,
Semplici e quete, e lo 'mperché non sanno:
Si vid' io movere a venir la testa

Di quella mandria fortunata allotta,
Pudica, in faccia, e nell'andare onesta.

E prima di passare a qualche altra considerazione, non sappiamo tralasciare di porre a raffronto nel testo e nella traduzione quella dolce, celestiale terzina, nella quale il divin Poeta rappresenta, nell'alta ispirazione del suo canto, dinanzi alla candida rosa dei beati, la milizia santa degli angeli, « che vo lando, vede e canta La gloria di Colui, che la inno mora, E la bontà che la fece cotanta,

Sí come schiera d'api, che s'infiora
Una fïata, ed una si ritorna
Là, dove suo lavoro s'insapora.

Crediamo che qui Anderson, pur riuscendo a farci sentire nel primo verso quasi un ronzio, sia stato meno felice che lungo tutto il corso del suo lavoro, appunto per quel che lascia andar perduto di quanto la terzina racchiude di profumo e di dolcezza, di movimento non rapido, ma lieve e lento e pur laborioso:

Even as a busy swarm of bees a-wing
That merge in flowers awhile, then speed away
To where their labor sweet is savoring.

(Par., XXXI, 7-9).

Nel Purgatorio, che delle cantiche è quella che piú attrae e affascina con quel suo senso di mitezza, di soavità, d'armonia, con quelle luci angeliche che brillano e sfolgorano, con quei canti modulati nella serenità fiduciosa del dolore, con quelle visioni che avvolgono le anime in mesto ricordo e in lieta speranza, si risente più che altrove la sostituzione non certo felice della traduzione inglese a parole latine, anche se trattisi d'una sola parola, con cui era piú che sufficiente a Dante risvegliare nell' animo dei suoi lettori un moto di rapida comprensione e far quasi riecheggiare nel ritmo di ben nota salmodia lontane memorie bibliche e canti e suoni sempre vivi nel cuore e il tradurre ciò che ben poteva restare immutato, perché appunto cosí conservava la maggior forza d'espressione, porta perfino, nel canto XXXIII del Purgatorio, ad aggiungere, per necessario compimento, alle tre parole con cui s'inizia il primo verso Deus venerunt gentes, anche altre con cui continua quel versetto del salmo LXXIX:

O God, the heathen are come into Thine own!

Avremmo certo preferito leggere al suo posto il testo latino che in vari luoghi viene riportato in margine, dove invece sarebbero state in caso poste piú opportunamente le parole inglesi.

La lettura del Poema viene agevolata e bene indirizzata mediante poche parole che, a mo' di titolo, s'incontrano al principio d'ogni canto, in testa al recto d'ogni foglio, nonché quasi segno di paragrafo

data ap

nell'ampio margine ove son collocate le note illustrative; ma non è senza conseguenza di disagio l'avere omesso di ripetere in ciascuna pagina il numero dei singoli canti e di segnare punto la corrispondenza delle terzine con l'originale la numerazione dei versi, quantunque il far ciò non fosse addirittura inconciliabile con l'estetica tipografica di questa elegante e degna pubblicazione.

Circa le note illustrative, che sono d' importanza ineguale e di varia natura, un miglior criterio, rispondente sempre nei limiti del possibile allo spazio a loro riservato, avrebbe forse indotto a tralasciarne alcune per dar luogo ad altre; ma a ogni modo esse sono una chiara guida per il lettore. In alcune, molto, troppo poche forse per non riuscire troppo numerose - s'incontra un fugace accenno a scrittori inglesi, non sempre in tutto appropriato; vi si nominano per esempio: Chaucer, del quale si consiglia di rileggere l'invocazione a Maria di fianco a quella che Dante ci fa sentire per bocca di S. Bernardo; Shakespeare, che chiamò Nature's ape Giulio Romano, come già Dante un alchimista, Capocchio, che fu di natura buona scimia (Inf., XXIX, 139), e, riferendosi alla figurazione dei venti con facce umane quale era in uso nelle antiche carte, dice Blow, winds, and crack your cheeks, con quel medesimo ricordo ch'era nella mente del nostro Poeta quando soffia Borea da quella guancia ond'è piú leno, e, nell'Amleto, fa ragionare cosí il Re: May one be pardoned and retain the offense?, quando già, nell' incontro dell'ottava bolgia, Guido di Montefeltro aveva detto, riferendo le parole d'un de' neri cherubini: Assolver non si può chi non si pente, Né pentère e volere insieme puossi, Per la contradizion che no 'l consente; Milton, del cui Lycidas si rammenta la stessa dread voice che risuona nelle fiere parole di rimprovero di S. Pietro contro i pontefici romani, dopo aver già consigliato di rammentare dell' apostrofe dantesca Ahi, Costantin, di quanto mal fu matre, Non la tua conversion, ma quella dote Che da te prese il primo ricco patre! (Inf., XIX, 115-117), la traduzione che ne diede il cieco Poeta, e «la superba figura di Farinata, ritratta con la stessa simpatia, per non dire parzialità, con cui Milton dipinge il suo imponente Satana »; Tennyson, che del nobile racconto d'Ulisse (Inf., XXVI, 90 segg.) fece un ornato rimaneggiamento. Orbene, è noto come e quando la nostra letteratura esercitasse un largo e profondo influsso su quella inglese divenendo cibo naturale della

mente e infondendo nuovi impulsi di vita, e quindi ci sembra che, pur conservando sempre la più chiara coscienza della giusta misura per non trasmodare nell' inopportunità di vana erudizione, nessun'occasione poteva darsi migliore di questa ch'è stata d'omaggio mondiale all'altissimo poeta per ripresentare al popolo inglese il Poema, accompagnandolo col ricordo naturalmente sobrio di quei suoi poeti, che qua e là nei loro canti trassero felice ispirazione dal Nostro, per quella virtú che emana dai grandi e a essi attrae e solleva; e l'occasione presentatasi con questa traduzione era ottima, perché le opere somme si studiano e si traducono per aprirle al godimento spirituale di chi poco o non bene o punto le conosce, e con tanto maggiore efficacia e senso estetico verranno lette, quanto meglio si ha cura e si riesce a preparar loro al tempo stesso un ambiente spirituale già famigliare e tali ravvicinamenti, puri e semplici, valgono di per sé piú che qualsiasi commento, e sono criterio di miglior comprensione e di più sicuro giudizio. E quanto si è or ora detto rincalza le ragioni per le quali s'è sostenuta la necessità di traduzioni veramente fedeli, che, conciliando le esigenze della seconda lingua con quelle proprie d'ogni capolavoro che non consente d'essere alterato in alcun modo, lo riproducano genuinamente. Facendo le debite distinzioni, si può ripetere per l'interpretazione d'un'opera d'arte, quello stesso che ognuno ai nostri giorni sa doversi fare nel pubblicare monumenti storici, perché « ai lettori preme soprattutto di conoscere l'opera quale l'autore ha voluto che fosse; come è stata elaborata dal suo ingegno, come è uscita dalla sua penna: conoscerla nella sua piena integrità », ed è quindi necessario mettersi nelle condizioni piú favorevoli e piú adatte per non venir meno a così giusto principio.

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È con soddisfazione che si apre e si scorre questo bel volume, quest'altra nobile fatica che nel nome di Dante è pur omaggio all'Italia; e si ritorna a esso con piacere perché, dovunque s'apra, sia dove piú facile e spontaneo e felice sembra il verso o piú armonioso il suono, sia dove lo sforzo non poteva non essere immenso o non riuscire più o meno lontano e inferiore il successo, dovunque, nell'accordo e nel contrasto, noi ci avviciniamo con nuovi pensieri sempre più a Dante. E quest'omaggio ci è giunto dalla grande Repubblica d'oltre Atlantico, dove il nome di Dante e con esso quello d'Italia penetra sempre più addentro nei cuori; e non può non ricordarsi qui opportunamente ancora una volta l'opera svolta in passato, in uno dei maggiori centri di simpatia e di consensi intellettuali col nostro paese, da Henry Wadsworth Longfellow, da James Russell Lowell, da Charles Eliot Norton, i quali alla Harvard University di Cambridge (Massachusetts, U. S. A.) e fuori di là s'incontrarono e si susseguirono nel loro insegnamento e

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CRONACA CRITICA E BIBLIOGRAFICA

H. HAUVETTE. Études sur la « Divine Comédie », la composition du poème et son rayonnement. Paris, Librairie ancienne Honoré Champion, 1922. In-16, di pagg. XV, 238.

Nella Bibliothèque littéraire de la Rénaissance diretta da P. de Nolhac e L. Doréz compare questo volumetto in cui l'H. raccoglie il fiore dei suoi studi danteschi, i quali s' iniziano con alcune note sulla composizione dei sette primi canti dell' Inferno e che col titolo: lo dico seguitando.... furono già pubblicati nella rivista Études italiennes. L' H., che all'opera dantesca consacra da anni le sue energie migliori, ha voluto personalmente approfondire, per quanto era possibile, la genesi della Commedia, che tutti sappiamo quali misteriose sorprese può riservarci e quanto sia periglioso inoltrarci nella selva selvaggia della sua composizione. Ad ogni modo l' H. procede con cautela, si allontana decisamente dalla critica che vorrebbe il Poema composto tra il 1314 e il 1321 (prima del '14 Dante avrebbe disegnato degli episodi e dei frammenti che più tardi avrebbe rigorosamente ordinati e fusi insieme), crede fallace l'ipotesi che il Poeta l'abbia composta dal 1311 al 1321, dopo un periodo decennale (1301-1311) di preparazione scientifica e filosofica, durante il quale egli non avrebbe scritto neppure un verso, compreso soltanto nell' ideare e apportare successivi cambiamenti e modificazioni al suo formidabile monumento. 2 E senz'altro fa sua la ben nota teoria del Parodi, fondata sull'esame delle dottrine politiche contenute nella Commedia per ammettere che l' Inferno è stato terminato prima del 1308, il Purgato

'T. I, 1919, fasc. 2 e 3.

* Vedi a questo proposito, l'articolo di I. DEL LUNGO, La preparazione e la dettatura della « Divina Commedia » e per una « Vita di Dante», comparso nella Nuova Antologia, 10 agosto 1918, in cui sostiene animosamente tale teoria avvertendo che nessuno ormai dovrebbe piú parlare di canti cominciati a Firenze prima dell'esilio e riportati a Dante, ospite dei Malaspina, nel 1306.

rio avanti al 1313 e gli ultimi sette od otto anni furono consacrati allo sforzo supremo: al Paradiso. Ma l' H. va ancora più in là e pensa che i primi sette canti dell' Inferno siano il risultato di una primitiva concezione, limitata e ristretta, rispetto all'opera intera quale ci è giunta. Dante inizia il suo Poema con una specie di « inferno fiorentino », come piacque esprimersi al Casini, e a mano a mano che egli procedeva e trovava nuova materia per il suo canto e nuove ispirazioni e visioni per la sua arte, vagheggiava un piano ben più ampio: taluni indizi di successive innovazioni è sembrato all' H. di poter sorprendere e fissare in sostegno della sua tesi. << En d'autres, j'admets cosí avverte que l'imagination de Dante et sa faculté créatrice, constamment en travail, se sont enrichies au fur et à mesure, comme sa pensée politique a évolué sous l'étreinte des événements, et comme son style s'est adapté graduellement à l'expression de concepts et de visions qui dépassent de plus en plus la portée de notre humaine intelligence. De la « Selva oscura » à l'« Amor che muove il sole e l'altre stelle », il y a un progrès qui suppose bien, pour le moins, vingt ans de méditations et d'efforts, le temps qui s'est écoulé entre le « mezzo del cammin di nostra vita » et sa mort, à Ravenne ».

In un terreno cosí infido e sul quale forse non potremo dir mai una decisiva parola, l' H. espone semplicemente alcune argomentazioui che possono conferire una qualche consistenza al suo modo di vedere lo studioso però prudentemente avverte che egli non pretende darci una .rigorosa dimostrazione, ma che enuncia la sua teoria come pura ipotesi, la quale del resto è stata già avvalorata dal Casini in uno scritto pubblicato postumo. « Qui ho bisogno di prendere il mio coraggio a due mani per dir cosa incredibile e vera; che cioè mi sono fermamente convinto dopo meditazioni lunghe e una considerazione assai riposata e attenta del pro e contro che nei primi canti dell' Inferno siano da ricercare traccie non dubbie di una prima redazione del poema d'oltretomba; un poema di proporzioni assai piú ristrette che non fossero poi quelle della Commedia,

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una specie di piccolo inferno fiorentino, se mi sia consentita la frase.... ». 1

Certo le congetture dell' H. sono industri e contengono piú di un aspetto suggestivo. Ma d'altra parte non è prudente, almeno per il momento, schierarci decisamente con lui, specialmente oggi che il simbolismo dell' Aquila e della Croce su cui s' intesse il meraviglioso edificio della Commedia, si è aperto un varco sicuro, 2 anche tra i più freddi e passionati, e dai nuovi studi a cui attendono il Valli e il Pietrobono lecitamente attendiamo una piú diffusa luce sull' intricata questione.

Nello scritto successivo À travers le Purgatoire et le Paradis, l' H. riprende il vecchio tema dei pagani destinati da Dante alla beatitudine e perché Virgilio ne sia stato escluso e fa opportune osservazioni sul Cielo di Venere e le gerarchie angeliche, intorno alle quali abbiamo finalmente anche in Italia una traduzione di Dionigi l'Areopagita. 3 In Réalisme et fantasmagorie dans la vision de Dante, l' H. s'intrattiene con vivacità su quest'argomento che ha fornito e fornirà continuamente alle ricerche degli eruditi, e alla sensibilità dei poeti e degli artisti la piú varia e nuova materia. In un breve excursus egli s'intrattiene sulle difficoltà grafiche nel rappresentare le mirabili concezioni dantesche, difficoltà di vario genere, insuperate dai miniaturisti perché agli inizi della scienza prospettica, evitate più tardi prudentemente da quanti presero, in tutto o in parte, a illustrare il testo dantesco. E se all'H. è sembrato lodevole, benché scarso di efficacia artistica, il sincretismo di I.-A. Koch, il quale tentò tornare, nella prima metà del secolo XIX, alla tradizione quattrocentesca rappresentando in ciascuna tavola vari e successivi momenti o episodi, pur sforzandosi a dare talvolta una veduta d'insieme di un intero cerchio, possiamo aggiungere che tra noi un nobilissimo artista, Amos Nattini, che già Gabriele D'Annunzio ebbe a chiamare «< il pittore degli spiriti », attende ora a darci una illustrazione grafica che, a giudicare dalle tavole già compiute, sarà la piú sensitiva e perfetta di quante ne sono state di recente compiute. Certo la fusione del piú accurato realismo con la grandezza titanica e fanta

Per la genesi della terzina e della Commedia dantesca, in Miscellanea di studi storici in onore di Giovanni Sforza, pagg. 689-97. Anche B. CROCE nota che «i primi canti dell' Inferno sono piú gracili; o che appartenessero a un primo abbozzo poi ritoccato e adattato (secondo una tradizione non dispregevole e congetture sufficientemente fondate), o che ritenessero dell' incertezza di tutti i cominciamenti.... ». Cfr. La poesia di Dante, Bari, Laterza, 1921, pag. 73.

Cfr. L. VALLI, Il simbolo centrale della « Divina Commedia: La Croce e l'Aquila, in Giornale Dantesco, n. 1, gennaio-marzo 1922.

3 E nella collezione Fiori di letteratura mistica diretta di G. BATTELLI, Firenze, Giannini. Del volumetto, a cura di D. GIULIOTTI, fu data notizia nel 40 quaderno del Giorn. Dant. (1921).

stica dei paesaggi e delle scene immaginate da Dante, attendono ancora il grande che sappia tradurle adeguatamente e che invano i secoli han tentato di produrre. Con quanto pungente desiderio, in fatto di figurazioni dantesche, non ripensiamo all'esemplare della Commedia stampato nel 1484, sui larghi margini del quale Michelangelo aveva disegnato figure ed episodi dei tre regni d'oltretomba e che i flutti irati inghiottirono in un malaugurato viaggio!

In Dante et la pensée moderne, conferenza tenuta alla Sorbona nel febbraio 1921, l' H. riassume in una rapida sintesi l'opera di Dante in relazione al culto tributatogli dai moderni e indaga le cause per cui il Poeta è stato fatto « signacolo in vessillo » di ogni alta e pura idealità: notevoli le pagine sull' Ulisse dantesco. Dante dans la poésie française de la Renaissance e Dante et la France appaiono tra i piú meditati saggi di questo volume, ma se possiamo convenire che per le indagini del Mazzoni e del D' Ovidio e soprattutto per l'edizione critica del Parodi, la questione del Fiore, « est-elle aujourd'hui posée sur son véritable terrain », pur nondimeno il poemetto non ha mai traversato fasi piú incerte e perigliose delle odierne. Anche a proposito dell'andata a Parigi, pur di recente sostenuta del Rajna, 1 si possono fare opportune riserve e a proposito del titolo di « Baccelliere » trasportato dalla vita civile e militare della Francia, e unicamente con essa, alle istituzioni scolastiche, si vedano le osservazioni del Torraca. 2 E l'H. crede appunto che Dante poté conoscere molte notizie di Francia attraverso i racconti dei mercanti fiorentini che di continuo si recavano in Fiandra e in Provenza senza che egli vi andasse di persona. Conviene però aggiungere che le argomentazioni del Bassermann relative all'itinerario di Liguria e alle tombe di Arles, hanno piú di un aspetto convincente.

Chiudono il volume un'appendice su Les sources arabes de la « Divine Comédie », garbata rassegna del volume dell'Asín, in cui l' H. giudica spassionatamente il lavoro dell'erudito spagnuolo per concludere: «Tout cela est très captivant, très suggestif, très mysterieux, et nous invite à de longues re- . flexions. Mais, jusqu'à preuve du contraire, ces analogies n'obligent pas, n'autorisent même pas à dire : ceci est copié de cela. Où est le trait d'union? Le point de contact?», e La Loire dans la « Divine Comédie, in cui l'autore identifica questo fiume con l'Era del C. VI, 59 del Paradiso.

In complesso la fatica dell' H. dimostra l'amore e la diligenza con cui l'autore attende agli studi danteschi le sue osservazioni appaiono ben meditate e sostenute dalle più recenti indagini del Rajna, del Farinelli, del Barbi, del Parodi, ecc.

1 Cfr. gli Studi Danteschi del BARBI, t. II, 1920. Cfr. Giornale Dantesco, quad. II, 1922, pag. 174.

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