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Io ti credea trovar laggiù di (25) sotto,
Dove tempo per tempo si ristora.
Ed egli a me: Si tosto m'ha condotto
A ber lo dolce assenzio de' martiri

La (26) Nella mia col suo pianger dirotto.
Con suo' prieghi devoti, e con sospiri
Tratto m'ha della costa, ove s'aspetta,
E liberato m'ha degli altri giri.
Tant'è a Dio più cara e più diletta

La vedovella mia, che tanto amai,
Quanto 'n bene operare è più (27) soletta:
Che (28) la Barbagia di Sardigna assai
Nelle femmine sue è più pudica,

Che la (29) Barbagia, (30) dov'io la lasciai. O dolce frate, che vuoi tu, ch'io dica? Tempo futuro m' è già nel cospetto, Cui non sarà quest' ora molto antica, Nel qual sarà in pergamo interdetto

(25) Giu di sotto nell' atrio del Purgatorio, o Antipurgatorio, ove si ristora e rimette il tempo col trattenercisi altrettanto quanto uno ha differito a pentirsi.

(26) Nella mia moglie.

(27) Essendo però di gran merito presso Dio, mentre non si lascia punto sviare dall'esempio delle vedove sue pari, che sono sempre in conversazione e tresca cogli uomini,

(28) Da che è pur vero che la Barbagia paese montuoso della Sardegna, dove donne e uomini vanno quasi nude, e v'è però un vivere scostu

matissimo.

(29) Che ben si può adattare questo stesso nome a Firenze per la sua simiglianza dell' un Popolo e l'altro nella libertà del costume.

(30) Dov'io morendo lasciai Nella vedova.

Alle sfacciate donne Fiorentine

L'andar mostrando con le poppe il petto.
Quai Barbare fur mai, quai Saracine,
Cui bisognasse, per farle ir coverte,
O (31) spiritali, o altre discipline?
Ma se le svergognate fosser certe

Di quel, che 'l Ciel veloce loro (32) ammanna,
Già per urlar avrian le bocche aperte.
Che se l'antiveder qui non m'inganna,
Prima fien triste, che le guance (33) impeli
Colui, che mo si consola con (54) nanna.
Deh frate, or fa, che più non mi ti celi:
Vedi che non pur io, ma questa gente
Tutta rimira, (35) là dove 'l Sol veli.
Perch' io a lui: Se ti riduci a mente,
Qual (36) fosti meco;‘e quale io teco fui;
Ancor fia grave il memorar presente.
Di quella vita mi volse (37) costui,
Che mi va innanzi, l'altr' jer, quando tonda
Vi si mostrò la (38) suora di colui:

El Sol mostrai. Costui per la profonda

(31) Censure e pene spirituali e temporali, come multe di prammatica ec.

(32) Ammannisce e prepara.

(33) Metta la barba.

(34) Colla ninna nanna, mentre la balia vien cullando il bambolo per quietarlo e farlo addor

mentare.

(35) La solita maraviglia dell'anime, perchè il corpo di Dante non era trasparente, come i loro corpi tenuissimi e aerei.

(36) Essendo stati ambedue insieme viziosi, (37) Virgilio.

(38) La Luna, sorella poetica del Sole.

Notte menato m'ha da' veri (39) morti Con questa (40) vera carne, che 'l (41) seconda. Indi m'han tratto su li suoi conforti,

Salendo, e rigirando la montagna,

Che drizza voi, che 'l (42) Mondo fece torti. Tanto (43) dice di farmi sua compagna, Ch' io sarò là, dove fia Beatrice: Quivi convien, che senza lui rimagna. Virgilio è questi, che così mi dice :

E additalo: e quest'altr' è quell' (44) ombra, Per cui scosse dianzi ogni pêndice Lo vostro regno, che da se la sgombra,

(39) Da i dannati.

(40) Non come la vostra messavi addosso per

apparenza.

(41) Seguita.

(42) Le vanità del mondo.

(43) E mi promise di guidarmi e tenermi compagnia, finchè giunga là, dove troverò Beatrice.

(44) Stazio, per cui il vostro regno, cioè il monte del Purgatorio scosse con tremuoto festivo ogni suo girone, inviandolo al cielo, e da se dipartendolo.

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CANTO XXIV.

ARGOMENTO.

Giungono i nobilissimi Poeti al secondo arbore, da cui escono voci che ricordano alcuni dannosi esempj della Gola. Ed in fine trovano l' Angelo, dal quale sono inviati per le scale, che portano sopra il settimo ed ultimo balzo, dove si purga il peccato della carne.

Nè 'l dir l'andar, nè l'andar (1) lui più lento

Facea ma ragionando andavam forte,
Si come nave pinta da buon vento.
E l'ombre, che parean cose (2) rimorte,
Per le fosse degli occhi (3) ammirazione
Traèn di me, di mio vivere accorte.
Ed io continuando 'l mio sermone

Dissi: (4) Ella sen va su forse più tarda,
Che non farebbe, (5) per l' altrui cagione.
Má dimmi, se tu sai, dov'è (6) Piccarda :
Dimmi, s'io veggio da notar persona
Tra questa gente, che si mi riguarda.

(1) Il dire.

(2) E le anime che parevano non una, ma due volte morte: tanto erano emaciate e distrutte! (3) Vedi al num. 35. del c. precedente.

(4) L'anima di Stazio.

(5) Per il gusto grande che ha della compagnia, e conversazione di Virgilio.

(6) Vedi num. 13. c. precedente.

La mia sorella, che tra bella e buona
Non so qual fosse più trionfa lieta,
Nell'alto (7) Olimpo già di sua corona:
Si disse prima; (8) e poi : Qui non si vieta
Di nominar ciascun, da ch'è sì (9) munta
Nostra sembianza via per la dieta.

Questi (e mostrò col dito) è (10) Buonagiunta,
Buonagiunta da Lucca e quella faccia
Di la da lui, più che l'altre (11) trapunta,
Ebbe la Santa Chiesa in le sue braccia :
Dal Torso fu; e purga per digiuno
L'anguille di Bolsena, e la vernaccia.
Molti altri mi mostrò ad uno ad uno :
E nel nomar parén tutti contenti,

(7) Nel Cielo empireo per la vittoria riportata sopra il Demonio, il mondo, e la carne. Virgilio ancora chiamò il Cielo Olimpo, candidus insuetum miratur lumen Olympi: ma Dante forse più allude a quei versi d' Orazio : Sunt quos curriculo pulverem Olympicum collegisse juvat, Palmaque nobilis terrarum dominos evehit ad deos, che al Monte Olimpo e sue note proprietà.

(8) E poi soggiunse.

(9) Si smunta e dalla magrezza tolta via la nostra primiera sembianza per il lungo digiuno.

(10) Buonagiunta degli Orbicciani da Lucca compositore di canzoni e sonetti, e amico di Dante. (11) Sparuta, per essere egli stato più degli altri goloso fu Papa Martino IV. Canonico Tesoriere di Torso, o sia Tours, ma nativo di Bric piccola Provincia di Francia, di cui si dice tra l'altre che faceva morire le anguille del lago di Bolsena nella Vernaccia, e per troppa grassezza mori: e però ora è degli altri più macilente e conta gli starnotti e gli ortolani.

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