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e della Prussia. Ma a'potentati, che piaceva coprire i loro disegni politici colle apparenze di un' opera puramente religiosa, non gradi la proposta del re di Napoli, come quella che troppo avrebbe svelato i loro intenti e insospettito la Francia. La quale appunto in quei dì mandò a Gaeta il signore Latour d'Auvergne, coll'incarico di unirsi all'ambasciatore d'Harcourt e dichiarare, che se gli Austriaci, senza precedente accordo cogli altri potentati, entrassero nello Stato romano, il governo francese manderebbe anch'egli i suoi soldati a presidiarne qualche importante città. Questa dichiarazione guastò i disegni del conciliabolo di Gaeta, che si die' allora ad escogitare altri modi.

Stanco frattanto il governo piemontese di più lungamente sopportare l'ingiuria che gli era fatta nella persona del suo ambasciatore, avea scritto, addi 16 di gennaio, per ufficio del Gioberti al Martini: « Poichè l'offerta della mediazione non piace al governo ponti. ficale, Sua Maestà la ritira. Veramente Sua Maestà ed i suoi ministri non credono che il governo di Roma sia un governo di assassini, e che gli spiriti di dissenzione si ristringano in pochi, ma egli lascia la decisione di questo punto alla rara perspicacia del cardinale Antonelli. Così pure egli ritira volentieri l'offerta del sussidio armato. Ma egli desidera che si sappia, che nell'offrire al santo Padre la mediazione subalpina, fu guidato da sensi italiani e cattolici. Egli credette, che una pacifica e benevola interposizione dovesse me. glio gradire al vicario di Cristo che la via violenta e sanguinosa delle armi, e che l'aiuto di un principe italiano dovesse meglio gradire a Pio IX che il soccorso del Tedesco. Del resto egli si riporta volentieri anche su questi punti alla patria e religiosa sapienza del car

dinale Antonelli. Tali sono, egregio signor ministro, i sentimenti precisi di Sua Maestà e del governo piemontese, ch'ella si compiacerà di esporre umilmente ed ossequiosamente al santo Padre, e con ferma franchezza al cardinale Antonelli. Dica pure con questa misura ad entrambi, che il re di Sardegna e il suo governo non hanno nè da pentirsi nè da scusarsi di quanto fecero riguardo al santo Padre, e che dopo l'ambasciata mandata, la mediazione offerta, il presidio esibito, credevano di dover essere trattati diversamente. Se queste ragioni appagheranno il governo di Sua Santità, e se la qualità di vostra signoria sarà riconosciuta in modo officiale, ella continuerà a rappresentarla nella corte del santo Padre: nel caso contrario quando esposte le dette ragioni s'indugi menomamente a riconoscere il suo grado d'inviato straordinario, lascierà Gaeta, e senza fermarsi a Roma si restituirà in Piemonte ». Concludeva il ministro, che la sola riverenza alla santa sede, gli vietava per allora di considerare l'intervento forestiero negli Stati della Chiesa caso di guerra; aggiungendo che in ogni modo quando si avverasse, Sua Maestà protesterebbe solennemente al cospetto di tutta l'Italia e delle altre potenze amiche. A questo risoluto e dignitoso linguaggio più al sospetto dell'ingerimento francese, la corte di Gaeta mutò modi, ed il Martini fu nella sua qualità ufficiale riconosciuto e ricevuto dal papa, il quale, rientrando a parlare della proposta mediazione piemontese, disse che lascierebbe fare.

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Poco durarono questi infingimenti. Un generale spagnuolo sbarcava a Gaeta, ed annunziava prossimo l'arrivo di mille e dugento soldati. Protestavano il Martini ed il Bargagli in nome de' loro governi, rispondeano il cardinale Antonelli ed il papa, quasi deridendo alle loro proteste: « Gli aiuti spagnuoli non essere i soli attesi: giungerebbe in breve a Gaeta il conte Estherazy, ambasciatore d' Austria, precursore degli aiuti austriaci. Il ministro piemontese rimase spettatore di questo ol. traggio; ma il toscano, come doveva, si parti: anche il D' Harcourt se ne andò a Napoli, vedendosi poco gradito e pregiato dalla corte pontificia, la quale mandò in Francia, con finto nome, monsignor Bedini per maneggiarsi segretamente colla parte gesuitica, la quale cominciava ad avere autorità e potenza nella repubblica. Frattanto il governo napolitano niegavasi di ricevere il Plezza, ambasciatore del re di Sardegna, niegavasi di riconoscerne il grado e la qualità; il re Carlo Alberto pubblicamente accusava di volere usurpare gli Stati della Chiesa. Per lo che sdegnatosi il governo piemontese richiamava l'ambasciatore, e dava i passaporti al figlio del conte Ludolf, inviato napolitano a Torino, il quale, anzichè tenersi ne' limiti del suo ufficio, vi facea le parti di cospiratore.

L'Inghilterra disapprovava l'intervenzione armata. Lord Palmerston scrivea al marchese di Normanby a Parigi: « Ammettendosi come massima generale, che le discordie che sopravvengono fra il popolo ed il sovrano, non possono giustificare l'intervento armato straniero, non v'ha ragione perchè nella situazione particolare, nella quale trovasi il papa rispetto a'suoi sudditi, gli stati romani facciano eccezione a questo principio. Il solo carattere, che distingue il papa dagli altri sovrani, si è ch'egli non regna nè in forza di un diritto ereditario, nè in forza della elezione nazionale. Egli è eletto dal collegio de'cardinali, corpo che non è di forStoria d'Italia, Vol. IV.

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mazione romana ma che si crea da sè stesso, e i membri del quale, per la metà almeno, non sono nati nel paese, che da loro riceve il sovrano. Queste circostanze speciali ci sembrano essere una ragione di più pel papa di dare a'suoi sudditi la garanzia di un buon governo e rendono ancora meno giustificabile l'intervento armato di una potenza straniera, che presterebbe l'opera sua per mantenere un cattivo sistema di governo (1).» Ma queste e somiglianti parole, che credo inutile di qui riferire, non faceano mutar proposito alla corte di Gaeta la quale addi 4 di febbraio fu in grande letizia per l'arrivo del conte Estherazy da lei ricevuto con grandi dimostrazioni di onore e di benevolenza. Tre giorni dopo il papa tenne concistoro di cardinali, nel quale si prese la deliberazione di chiedere immediatamente soccorso di armati all'Austria, alla Francia alla Spagna e a Napoli, ma in tali termini, che potesse essere dato da ciascuna delle dette potenze, senza accordo reciproco e preventivo; così speravasi, gli aiuti del re di Napoli e dell'Austria, come più vicini, giungerebbero più solleciti de'francesi, e potrebbero ristaurare l'assoluta dominazione del papa, senza ingerenza efficace della Francia; così si escludea il Piemonte dal novero degli stati cattolici. La quale deliberazione risaputasi a Torino, il Gioberti scrisse al Martini questa lettera degna di rimanere nelle storie: « La corte pontificale non conosce i suoi veri amici. Se li conoscesse non anteporrebbe nessun potentato al Piemonte. Io mi credeva di aver date prove di affetto e di devozione alla Santa Sede, sia quando era privato, sia da che

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(1) Dispaccio del 5 gennaio 1849.

sono entrato al maneggio delle cose pubbliche. Credo che la mia breve amministrazione abbia date più prove d'ossequio al santo padre che tutte le precedenti. La corte di Gaeta, facendo su di me de'giudizi più che che temerari, non si mostra molto osservante per que. sta parte de'precetti evangelici, e non ha consenzienti in questo parere che i repubblicani. Io mi rallegro di questo singolare accordo tra Giuseppe Mazzini e l'eminentissimo Antonelli, e mi consolo pensando che il resto d'Italia abbia un'opinione alquanto diversa. La querela mossa dall'illustre cardinale, che interponendo parole di pace e di concordia evangelica presso i Romani, il governo piemontese abbia nociuto a Roma, coll'impedire che le cose volgessero al peggio, dovette essere l'effetto di momentanea vivacità, non di seria considerazione; imperocchè sua eminenza non può avere dimenticato, che le regole dell'evangelio sono superiori alle astuzie della politica, e che qualunque principe o ministro che desideri il male per cavarne un bene non può ricavarne altro frutto che l'infamia in questa vita, e l'inferno nell'altra. Probabilmente il governo di Gaeta, escludendo il Piemonte dal novero de'governi cattolici, non ha calcolate le difficoltà politiche della sua posizione. Probabilmente egli crede che noi siamo in caso di mettere in pratica le cristiane teoriche del cardinale Antonelli; e che io possa posporre ogni riguardo al desiderio di piacere a Pio IX. Ma il mio scopo principale è quello di frenare la demagogia e salvare le nostre istituzioni, ed a questo scopo debbo indirizzare tutte le mie operazioni. Il parlamento piemontese non permetterà mai che l'Austria intervenga negli affari di Roma. Noi abbiamo centomila uomini, che potranno combattere contro il Tedesco nello stato Romano

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