avere udito i ministri in segreta assemblea. Quattro giorni durò questa gravissima discussione: il ministro Dabormida dimostrò come i soldati mancavano di tutto ciò che fa bisogno a milizie bene ordinate e apparecchiate alla guerra; ed il Perrone, ministro degli affari esterni, soggiunse che non in migliori condizioni trovavasi il morale dell'esercito, e che i soldati, partitisi italiani, erano ritornati..... e qui si tacque; ma tutti compresero ciò ch'e' dir volesse e ne sentirono raccapriccio. E avvegnachè molti si lusingassero fossero quegli artifici oratorii per dissuadere la guerra, nondimeno i più scoraronsi ed approvarono la condotta del ministero, che alle armi malsicure preferiva le più malsicure pratiche di pace, rese più che mai inefficaci e impossibili per la pubblicità inevitabile di quelle discussioni. Di certo era più savio partito proseguire la cominciata inquisizione, scoprire le cagioni de' disordini dell'esercito e provvedervi con risoluto animo; ma era troppo pertinace e troppo generale nelle assemblee italiane l'errore di credere che valga meglio coprire il male che apportarvi rimedio. Però fu breve la vittoria del ministero, dal quale si ritrasse il Dabormida, succedendogli nell'ufficio il generale Alfonso Lamarmora, perchè sopraggiunti i casi di Roma del novembre, la parte democratica ripigliò vigore e l'agitazione cominciò a divenire minacciosa : molte petizioni contrarie al ministero erano presentate al parlamento: la consulta lombarda, preseduta dal Casati e convocata a Torino per ordine del re sin dal di 24 di agosto, protestava solennemente e pubblicamente contro ad ogni accordo con l'Austria che non assicurasse l'indipendenza delle provincie lombardo-venete. Nè a mantenere quella esaltazione d'animi poco con tribuiva lo stato in cui trovavasi la Lombardia, dove, ad onta de' capitoli dell'armistizio che le persone e le proprietà de'Lombardi mettevano sotto la protezione del governo imperiale, ad onta della piena amnistia accordata addi 29 di settembre, il maresciallo Radetzky sot. toponea addì 11 di novembre a contribuzione straordinaria i membri de'cessati governi provvisori, quelli che ebber parte precipua nevari comitati, quelli che furono capi della rivoluzione, o vi contribuirono colle loro opera, e coi loro mezzi materiali e intellettuali, il che voleva dire tutti i Lombardi: nè di questo con. tento, annullava di suo arbitrio, non solamente quanto era stato fatto dai privati sulla buona fede della naturale libertà de'contratti e della legge comune, ma anco vendite di mobili e di stabili, mutui, permute, passaggi di eredità e simili fatti e avvenuti sulla fede della convenzione militare e da lui sottoscritta e dell'amnistia imperiale. E fu notato come in quella occasione non trasandasse l'Austriaco di ritentare le arti di Gallizia, aizzando gli operai contro a'ricchi, che accusava di trasportare altrove il prodotto de'loro beni, per ridurre in istato di miseria chi vive col proprio lavoro. E le tassazioni furono così gravi che le sole case Borromeo e Litta furono condannate in lire un milione e dugento mila per ciascheduna; in lire ottocento mila il duca Visconti, e la principessa Belgioioso; e così di seguito per la somma di venti milioni, sì che le tasse ordinarie e straordi narie estorte dal maresciallo Radetzky alle provincie lombarde dal 6 di agosto al 20 di novembre ascendevano a lire 31,836,600. Al che si dee aggiungere la oppressione atrocissima e bestiale sotto la quale eran tenuti i Lombardi; nessuno potea più esser sicuro nè de'suoi beni, nè della sua libertà, nè della sua vita. Le quali cose divulgate in Piemonte dalla consulta e dagli usciti erano continuo alimento alle commozioni e alle ire popolari, le quali si crebbero, che i ministri conobbero l'impossibilità di continuare a governare lo Stato, e colta l'opportunità di un regolamento universitario, da loro proposto e dalla camera de' deputati non approvato, rinunziarono l'ufficio. Allora il re si rivolse al Lisio, all' Azeglio, al Gioia e a parecchi altri; ma la pubblica opinione volea il Gioberti; e con sì gran numero di petizioni e di radunanze popolari si manifestò, che da ultimo il re condiscese, ed il nuovo ministero fu così composto: Gioberti presidente del consiglio de'ministri e ministro degli affari esterni; Ratazzi, ministro della giustizia; Sineo, dell'interno; Sonnaz, della guerra; Tecchio, de'lavori pubblici; Ricci, delle finanze; Cadorna, dell'istruzione pubblica; Buffa della agricoltura e commercio. Or ecco in quale stato i ministri che uscivano rimettevano le negoziazioni in mano de' successori. Ostinandosi l'Austria a non rendere le artiglierie piemontesi rimaste a Peschiera, il governo rinviò il suo naviglio nell'Adriatico, con ordine di provvedere all'esecuzione dell'articolo IV dell'armistizio, e di opporsi ad ogni vio. lenza che le truppe austriache volessero esercitare contro Venezia (1). Radetzky, che volea in quei giorni, in cui fervea la rivoluzione viennese, evitarę ad ogni costo la ripresa delle ostilità, si affrettò a dichiarare a' rappresentanti della Francia e dell'Inghilterra, ch'egli di sua propria autorità avea deliberato rendere le artiglierie, (1) Perrone ad Abercromby e a Bois-le-Comte, Torino, 20 ottobre 1848. purchè il naviglio fosse nuovamente richiamato (1); ed il governo austriaco, mostrando subito maggiore dispo. sizione a'pacifici accordi, consenti che Brusselle fosse il luogo delle conferenze dalle potenze mediatrici proposte. Il signor De la Cour annunziava questo al visconte Ponsonby, aggiungendo: « Il governo austriaco, mi dicono, sia deciso a non cercare indugi. Di più egli ha gran desiderio intervengano nelle conferenze la Russia, la Prussia e Francoforte; il che non è un mezzo sicuro per far progredire speditamente le negoziazioni (2). » Nè l'ambasciatore francese s'ingannava, imperocchè altro non era lo scopo dell'Austria che di temporeggiare in quel momento di tempesta, trascorsa la quale, deputò suo legato alle sopraddette conferenze il Colleredo, con ordine espresso di non aderire ad alcuno accordo che non si fondasse su' capitoli di Vienna dell'anno quindici; mentre il marchese Ricci, legato del re di Piemonte, avea incarico di non accettar patti che contrarii fossero alla nazionalità ed indipendenza italiana. Il marchese Cosimo Ridolfi ebbe affidato il medesimo ufficio dal granduca di Toscana, e le norme sulle quali dovea regolare la sua condotta erano in questa guisa compilate dal Giorgini, che, nel ministero preseduto dal Capponi, governava gli affari esterni : « Il pensiero precipuo del governo toscano, lo scopo al quale esso subordina ogni altro desiderio, è l'indipendenza nazionale. I nostri voti e le nostre domande, come italiani, sono grandi e larghissime; come toscani, modestissime sono le nostre pretensioni. Quindi ogni progetto ed ogni sistema, il (1) Dispaccio del 23 ottobre 1848. (2) Lettera del 29 novembre 1848. quale anche senza favorire direttamente gli interessi toscani assicuri o secondi il principio della nazionale indipendenza, dovrà da vostra eccellenza appoggiarsi con ogni vigore e con tutti i possibili mezzi di persuasione. Venendo a più precise spiegazioni e ad analisi più minute della situazione, il governo toscano desidererebbe ardentemente l'abbandono per parte dell'Austria di tutto quanto il territorio italiano. Senza questa condizione non potrebbe parlarsi d'indipendenza nazionale, nè potrebbe lusingarsi la diplomazia di avere stabilmente risoluta la quistione italiana. Quindi se, com'è verisimile, venissero in campo certe combinazioni tendenti a fare del Lombardo-veneto, o anche della sola Venezia una seconda Ungheria, vostra eccellenza le combatterà, mostrandone tutta la inutilità nel presente a soddisfare la pubblica opinione in Italia, e tutti i pericoli nell'avvenire; le combatterà dal punto di vista de'principii, e da quello degli interessi. Se l'Austria consentisse, o fosse indotta ad abbandonare il territorio italiano, nascerebbe allora la questione della sua ripartizione. Che dopo gli ultimi avvenimenti tutto quanto il Lombardo-veneto possa esser dato al Piemonte è fuori di ogni verosimiglianza, tanto più che non s'ignora che le disposizioni della Francia a suo riguardo non sono troppo favorevoli. Sembra probabile che, onde aver modo di provvedere a maggior numero d'interessi, la Lombardia sarà divisa dalla Venezia. In queste nuove circoscrizioni territoriali è giusto, che in un modo qualunque il Piemonte, che tanto ha fatto per la causa nazionale, che tante perdite ha sofferto, tanti pericoli affrontati, vi trovi il suo profitto. Ciò può accadere in due modi: o aggregando la Lombardia al Piemonte, o dando la corona della Lombardia ad un figlio di Carlo Alberto. Se queste due di. |