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regolare sviluppamento delle istituzioni ch'ei largiva ai suoi popoli. Ma non iscorderà mai ad un tempo quanto ei debba alla dignità della Santa Sede ed alla gloria di Roma. Qualsisiasi proposta, che fosse incompatibile con questo sacro debito, tornerebbe vana presso il sovrano di Roma e il capo della Chiesa. Il pontificato è la sola viva grandezza che resta all'Italia, e che gli fa riverenti ed ossequiosi l'Europa e l'intero Orbe cattolico. Pio IX non fia mai per dimenticarlo, nè come supremo gerarca, nè come Italiano », Questo discorso, avvegnachè contenesse delle utili verità, non era scevro di bugie, spe. cialmente in quella parte là dove esponea gli intenti del papa e della corte romana e gli ordini della proposta confederazione; ma ciò che più conta era una fiaccola di discordia gittata in mezzo alla pur troppo divisa Italia, e contenea in ciascuna sua barbara frase un barbaro oltraggio contro al Piemonte: stupenda occasione ai municipali di Torino per far disamare la nazione a' soldati ed al popolo, mostrando loro come nelle altre provincie le glorie piemontesi fossero disprezzate, le sventure derise, i sacrificii non pregiati e l'ingrandimento invidiato. Il Rossi, che odiato era dai sanfedisti e dai liberali, si procurò con quel discorso odio fierissimo ed aperto dalla parte degli Albertisti, che di lui da molto tempo diffida. vano e temevano.

Rosmini, rimasto in Roma, era da una parte del clero tenuto in sommo pregio ed in grande osservanza; dall'altra osteggiato e vituperato. Diceano alcuni, le rosminiane dottrine, e specialmente quelle risguardanti le elezioni dei vescovi a clero e popolo e la evangelica povertà dei sacerdoti, essere eterodosse e sentire di eresia: altri ortodosse e sante le affermavano. La disputa s'inacerbi: gli scritti incolpati furono sottoposti al giudizio dei teologi, che dettero sentenza favorevole all'autore e gradita al pontefice, che lo elesse a consultore della sacra congregazione del Santo Ufficio e dell'Indice, quasi a mostrare, che non solamente e' non lo creda meritevole di censura, ma anco degno di censurare gli scritti e le opinioni di tutto l'orbe cattolico. Nè di ciò pago gli annunzio com' egli intendeva di crearlo cardinale, invitandolo a fare gli apparecchi necessarii alla solenne vestizione della porpora. Ed il Rosmini facevali, e, divulgatasi la nuova, ricevea le congratulazioni degli amici ed ammiratori antichi, non che di quelli che il favore del pontefice e la previsione di sua vicina potenza gli procuravano.

Frattanto il ministero provvedea all' esausto erario, decretando il papa, che il cardinale vicario imponesse una tassa di ottanta baiocchi per ogni cento scudi di estimo su tutti i beni ecclesiastici, e che l'ipoteca di due milioni di scudi pe'boni del tesoro su' possessi del clero sino a quattro milioni si aumentasse; creava commissioni per l'ordinamento delle finanze e delle milizie, e per la riforma del sistema monetario; agevolava la trasmissione per le poste dei biglietti di banca e dei boni del tesoro, alleviandone la tassa; apriva negoziazioni per la costru. zione di strade ferrate; instituiva un ufficio di statistica; studiava il modo di migliorare ed accrescere il prodotto del sale; deliberava si aprissero scuole di economia pubblica e di diritto commerciale; toglieva alla sacra consulta la direzione suprema della sanità pubblica e degli ospedali. Le quali opere utili, in tempi quieti e quando più grave e alto pensiero non avesse preoccupato gli animi dei Romani, sarebbero state, come meritavano, pregiate e lodate; ma in quel tempo, in quelle congiunture, quando tutti non pensavano e non parlavano che

Storia d'Italia, Vol. IV.

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della nazionalità e della indipendenza italiana, e del come quella ordinare, questa con le armi ricuperare, quel nessuno apparecchio di guerra, quella non più dissimulata nimistà col Piemonte e mal dissimulata amista con Napoli, quel considerar Roma come stato indipendente e quasi sciolto d'ogni legame col resto della na. zione, quel parlar sempre de'diritti del capo della Chiesa, e giammai dei doveri del capo di uno stato italiano; inacerbivano il popolo dalle sventure commosso e si male lo disponeano, che i buoni provvedimenti per mi gliorare le condizioni materiali dello Stato pareano artifizio di governo e quasi una specie di corruzione. Il Rossi era quindi accusato di avere obliato nel suo lungo soggiorno al di là delle Alpi non che l'idioma, il sentire dignitoso del popolo italiano; di voler seguire gli esempt del ministro Guizot; di volere immergere Roma, come quello la Francia, nel fango degli interessi materiali; di voler dire a'ministri di Cincinnato ciò che il ministro francese disse a'soldati di Filippo: arricchitevi! A queste nimistà aperte, altre più astute, meno ciarliere e meglio dissimulate, se ne aggiungeano. I cherici tassati sommessamente mormoravano, ed accusavano il ministro di odio alla Chiesa, d'incredulità e d'eresia; gli amministratori della cosa pubblica, da lui severamente ammoniti e costretti a disciplina e a lavoro, copertamente lo ingiuriavano: la giudicatura privilegiata e venale, la turba de'curiali; legulei, sollecitatori e faccendieri delle curie, minacciati di vedersi scemare, con ordinamento giudiziario regolato com'è usanza negli stati civili, i loro illeciti guadagni, contro a lui si accanivano. Per la prima volta in Roma, per diverse e contrarie ragioni, amici e nemici del governo dei preti, accordavansi a combattere un ministro, ed il nome del Rossi era egualmente nei circoli popolari e ne' conciliaboli sacerdotali vituperato e biasimato. Si aggiunse esca all'incendio: il ministro Zucchi, andato a Bologna, cacciava quasi da quella città il Garibaldi, minacciava di trattar lui ed i suoi compagni come nemici, prendea e mandava prigione a Roma il padre Gavazzi, per delitto di libere predicazioni. Una lettera dello Zucchi diretta al Rossi, piena d'improperii contro al Garibaldi e suoi compagni e di fieri propositi di repressione, fu intercettata e pubblicata. Nel medesimo tempo il Rossi incarcerava in Roma e cacciava dallo stato alcuni esuli napolitani in favore del popolo; richiamava nella capitale trecento carabinieri, li rassegnava in persona, li facea passare in armi per le vie più popolose; in voce e in istampa diceasi apparecchiato a reprimere e severamente punire le intemperanze di libertà. Di già susurravasi esser egli risoluto di far violenza al parlamento se nol trovasse a sè ubbidiente e devoto; aver ristretto nella sala del consiglio de'deputati ło spazio destinato agli ascoltatori, quasi che temesse la presenza del popolo. L'odio moltiplicava; gli animi s'infiammavano; il falso al vero mescevasi; grandi erano i sospetti e i timori.

Sorse alla fine il di 15 di novembre, giorno destinato alla riapertura del parlamento. La città era taciturna e mesta, ma non mostrava indizi di prossimo tumulto: solamente qui e là vedeansi capannelli, nei quali parlavasi con disdegno del ministro, con timore dell'avvenire, con esaltamento della costituente italiana proposta dal Montanelli in Toscana; come a suo luogo dirò. Il governo avea fatto quegli apparecchi che reputava acconci a prevenire tumulti e a reprimerli se nascessero. Gli ufficiali di polizia più fidati erano in moto; la truppa di ordinanza agli alloggiamenti; i carabinieri vigilanti e in armi. Dicono, il Rossi ricevesse in quella mattina delle lettere anonime, che lo avvisa. vano la sua vita essere minacciata; che una gentildonna, che un generale polacco, che un sacerdote separatamente lo ammonissero dei pericoli che gli soprastavano; ch'egli a tutti rispondesse: non potersi astenere di andare, com'era suo debito, in consiglio: dichiarerebbe i suoi intenti, sperandone favore; paleserebbe sensi italiani; celebrerebbe i beni della unione e della indipendenza italiana; i suoi avversari e detrattori confonderebbe: se tumulto seguisse, sarebbe prontamente represso, ed i rei severamente gastigati. Se tutto questo sia vero non so; certo tant'ire scatenate poteano far presagire qualche triste caso. Non più rispetto, nè amore al principe: avversi i cittadini; lieve la fè della truppa, nè pur certa dei carabinieri l'affezione: restava dunque scoperto e senza schermo il ministro per ogni uomo che osasse e dal sangue non abborrisse.

Giunta l'ora solita delle tornate parlamentari, il popolo cominciò a radunarsi nella piazza della Cancelleria, e a poco a poco riempi l'atrio, le scale e le logge. Un battaglione di guardia civica era schierato in piazza; in sala, pochi deputati, e fu notato che quasi tutti andavano a sedere dal lato sinistro. Una carrozza entrava nell'atrio del palazzo, e da essa scendevano il Rossi e il suo sostituto Righetti. Alla vista del ministro sorge un grido altissimo di riprovazione: egli non mostra segno di timore, fende la folla agitando un piccolo bastone che ha in mano, e sorride sdegnoso; la calca lo circonda dicendogli villanie: quand'ecco luccicare un pugnale, ed il Rossi venir meno e cader per terra, versando larga vena di sangue da una ferita che ha al collo. Rialzato dal Righetti, non articolava parola:

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