dalo, o per reprimerlo secondo le leggi. Brofferio rinunziò la presidenza: il circolo si ricompose con altri ufficiali, ma questi non durarono lungamente, e l'antico presidente riebbe l'ufficio e l'autorità che prima vi esercitava. Frattanto il Gioberti avea letto in parlamento un nuovo programma, nel quale chiamava faziosi i rappresentanti del popolo radunati nell'assemblea romana; e dicea l'Italia giunta a quel segno fisso, oltre al quale non si può trascorrere senza rovina. Il Brofferio chiese d'interpellare il ministro, e fu fissato pel di seguente, 12 di febbraio. Nel mattino di quel giorno la piazza, il cortile, le scale del palazzo Carignano, sede della - camera de'deputati, erano ingombre di popolo: prima di mezzodi eran colmele pubbliche gallerie. All'ora consueta giunse il Gioberti accompagnato da un gran numero di cittadini che gli facean plauso, e al suo entrare nella sala fu con alte grida e batter di palme acclamato e salutato. Allorchè il Brofferio sali in rin. ghiera si levò un minaccioso tumulto, sedato il quale l'oratore fece rimprovero a'ministri di continuare quella medesima politica che si acerbamente aveano combattuto ne'loro predecessori, e chiedeva in quali termini si trovasse la mediazione; quando verrebbe l'opportunità della guerra; in qual modo il ministero intendesse di unire l'Italia, se ammettesse o no la sovranità del popolo; se farebbe la guerra italiana senza l'Italia e malgrado l'Italia. Le sue parole dapprincipio disappro. vate, cattivarono a poco a poco l'attenzione e benevolenza degli ascoltatori, e finirono con destare applausi fragorosi. La risposta del Gioberti non fu meno applaudita, quantunque a molti poco soddisfacente paresse. La camera non volle per allora prendere alcuna deli , berazione; il che se, secondo le pratiche consuete dei reggimenti costituzionali, tien luogo di approvazione all'operato de'ministri, non lo era in questo caso, avendo il Gioberti fatto intendere ch'ei desiderava, come sogliono dire, un voto di fiducia. Narrai in altro luogo le pratiche del Gioberti co'governanti di Roma e con l'esule pontefice, e come gli aiuti piemontesi pria fossero chiesti e poi disdetti dal granduca di Toscana : e fu allora che il generale Alfonso Lamarmora, uscito dal ministero, pigliò il comando di una divisione, che si appresso ai confini toscani. Ma quando il Gioberti vide non accolte, anzi sprezzate a Gaeta le sue offerte di asilo, di mediazione e di soccorso, ed il granduca aver mutato proposito, concepì il pensiero di farsi di propria autorità ristauratore del principato costituzionale in Roma e in Toscana, per rivendicare quindi, come compenso, l'indipendenza italiana, ed impedire l'ingerimento de'forestieri. Quando la proposta fu fatta in consiglio, a quanto afferma il Gioberti, lodaronla il Ricci ed il Sineo, tacque il Tecchio, erano assenti il Buffa ed il Ratazzi. La Francia parea bene disposta a quell'impresa; l'Inghilterra la caldeggiava, promettendo di fare ogni opera per aiutarne l'esecuzione, accrescerne l'efficacia ed ampliarne gli effetti. Ma convocatosi in quel tempo il parlamento, e vista la disposizione degli animi, il maggior nu mero de'ministri mutaron parere: il Gioberti ed il Ratazzi presentavano al re la loro dimissione; ma il secondo de'due da indi a poco la ritirava. Divulgatosi la nuova che il Gioberti cessava di essere ministro, ignorandone la vera ragione, i più l'attribuivano alle acerbe interpellazioni del Brofferio. La sera del dì 20 di febbraio ultimo del carnevale, una turba baccante e sfrenata andava a far plauso al Gioberti, il quale ringraziando dell'onore che gli era fatto, esortava a perdonare i suoi avversari; ma l'effetto fu contrario, imperocchè quei furibondi di là recaronsi alla casa del Brofferio ed imprecandogli morte, sfondavano le porte, invadevan le scala, scagliavan sassi alle finestre, violavano il domicilio della vecchia madre del deputato, e assalivano con terribile impeto l'abitazione di lui, che insieme a pochi amici armati apparecchiavasi alle difese. Poco mancò qualche brutto fatto non seguisse, lenta essendo stata ad accorrere la forza militare per far cessare quel tumulto. L'indomani la camera altamente protestò contro l'ingiuria recata alla maestà nazionale nella persona di un rappresentante del popolo; e da indi a poco entrò nella sala il Gioberti, il quale andò a sedere ne' seggi de'deputati dell'opposizione, non senza maraviglia di quelli che quivi erano. Allora la camera volle sapere perchè il ministero fosse privo del suo Presidente; e se la cagione fosse l'ordine dato ad una parte dell'esercito di riporre sul trono de' Medici il granduca Leopoldo; cosi disse il deputato Depretis. Il generale Chiodo ministro della guerra rispose: << Che sia stato dato un tale ordine io non lo so; quello che so si è, che il consiglio dei ministri non ha mai deliberato d'intervenire militarmente nella Toscana, e che il ministero attuale non ha l'intenzione di prendere una tale deliberazione. >>> Queste parole, avvegnachè applaudite, non appagarono la curiosità dell'assemblea; quindi nuove insistenze, e schermendosi il ministro Sineo di rispondere, il Gio. berti disse: « Signori, la posizione che testè occupavo m'impedisce di dare alla camera quelle dichiarazioni da cui risulterebbe la mia intera discolpa; ma se la mia delicatezza, se l'obbligo dell'uomo di stato mi vietano per ora questa manifestazione, verrà il giorno in cui io potrò farla, e la farò in tal modo, che ridurrò non solo a silenzio, ma a rossore i miei opponenti. Per ora, o signori, mi contento di attestare sull'oner mio, che il dissenso sorto tra i miei antichi colleghi e me, verte intorno una di quelle questioni, che si possono dibattere onorevolmente dalle due parti, e non si riferiscono ai punti della politica nazionale espressi nel nostro programma, e che ottennero l'assenso di tutta la camera. Ecco la sola professione di fede che in questo punto io posso fare. Ma ciò che non posso far oggi lo farò come prima le convenienze, i riguardi, il giuramento di Stato che ho prestato me lo permettano, imperocchè io non sono di quei ministri che si credono lecito di pubblicare ne❜giornali e travisare le cose che si dicono e si trattano ne'penetrali del consiglio. Permet. tetemi ancora che vi aggiunga una preghiera, cioè di non credere a certe relazioni che furono fatte sul conto mio da alcuni giornali, imperocchè io vi attesto pure sull'onor mio, che queste relazioni sono false, sono calunniose, e che quando saprete quale sia la piccola parte di vero che vi si contiene, io mi affido che avrò non solo l'approvazione, ma la lode di questo insigne consesso. >> A queste parole, che destarono negli uditori segni contrari di approvazione e disapprovazione, il ministro Ratazzi rispose: « Non era mia intenzione di prendere la parola in questa malaugurata discussione, ma alcune espressioni sfuggite all'illustre preopinante le quali tenderebbero a gettare il rossore su quelli che furono ad esso lui opponenti, mi astringono, mio mal. grado, a spiegare quale fu la causa vera del dissenso insorto. Non credo di mancare al mio giuramento, poichè non si tratta di pubblicare i secreti di Stato, i quali possano comprometterne la salvezza; si tratta unicamente di palesare una causa di dissenso insorta fra i vari membri del gabinetto, e che obbligarono uno di essi a ritirarsi. Ora trattandosi di un fatto che non era compiuto, e che non si deve nelle condizioni attuali compire, io non veggo come la salute dello Stato richieda un assoluto silenzio. Era delicatezza dal canto nostro di serbarlo, ma quando ci vediamo astretti, quando ci è gittato il rossore sul volto, dichiaro che la causa del dissenso sorse dacchè l'illustre presidente del consiglio era d'avviso che si dovesse intervenire negli affari di Toscana per ristabilire sul trono il granduca. Io fui il primo opponente; e appunto allorchè trattavasi di pren dere questa deliberazione, io avevo risoluto di rimettere il portafoglio. Siccome la deliberazione non fu adottata, noi ch' eravamo di avviso contrario credemmo di ri. manere. Signori, siamo in un momento, in cui il governo ha d'uopo della piena fiducia della nazione, e perciò non devono essere occulte le cose che possono essere sinistramente interpretate; esse devono conoscersi affinchè possiamo conoscere noi pure se abbiamo il voto della nazione.» Dopo questo discorso interrotto più volte da fragorosi applausi, il Gioberti dichiarò non aver mai voluto l'intervento nel senso stretto della parola; non essere intervento l'entrare in uno stato qualunque con uomini armati, quando questo è chiesto dal principe e dal popolo: non potere dir altro, non potere entrare ne' particolari; solo affermare che l'atto da lui proposto avrebbe agevolata la guerra della indipendenza, e forse accelerata la vittoria. Il deputato Ranco proponea si sottoponesse ad accusa l'ex-presidente dei ministri per aver presa una deliberazione di massima importanza senza consultare i suoi colleghi. Gli ascoltatori alta |