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battere e virtuosamente morire; ma eran le loro dottrine che mancavano di nervo e di audacia, era il loro cuore troppo fidente e troppo buono che non sapeva evitare le insidie degli avversarii; era il loro animo troppo civile che li rendea inferiori a' barbari pretoriani del dispotismo, ed impedia loro di fare la guerra come con simili nemici andava fatta. La parte democratica dap. pertutto scadeva di autorità e di forza e tristo augurio e grande sconforto all'Italia che a nuova guerra si ap. pressava.

CAPITOLO Χ.

DELLA GIORNATA DI NOVARA E DELL'ABDICAZIONE
DI RE CARLO ALBERTO.

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Prima ch'io entri a narrare la breve guerra, che fu sì fatale all' Italia, è da mostrare qual fosse lo stato dei due eserciti piemontese ed austriaco, quali ordini avessero, come stessero animate le milizie, che valido e che infermo in esse si rinvenisse. Dirò adunque come l'esercito piemontese, rivalicato il Ticino nell'agosto dell'anno quarantotto, poco scemato di numero, assai di forza e di buona disposizione, fu sparpagliato in gran parte a presidio nelle varie città dello Stato, e quivi rimase sino al momento in cui riassumevasi la guerra, sì che le truppe, le quali trovavansi le più lontane da' luoghi designati alle radunanze, vi giunsero stanche per le affrettate e lunghe marce. Mancavano alla fanteria due classi di soldati, che avevano militato nella precedente campagna, e v'erano invece due nuove classi della riserva: molti antichi soldati avevano avuto licenza di ritornare alle loro case. Quand'era imminente la guerra, ordinavasi la formazione di un quarto battaglione per ciascun reggimento, il che cagionava un grande scompiglio: gli ufficiali mancavano; se ne promoveano moltis simi a più alti gradi, altri nuovi se ne eleggevano: il tutto in fretta e furia perchè il tempo incalzava, senza sufficiente ragione, prevalendo spesso al merito il favore o la fortuna; onde scontento grandissimo nel maggior numero. Quasi tutti gli ufficiali superiori vedevano per la prima volta le loro brigate, i loro reggimenti e batta

glioni: il generale Perrone prese il comando della divisione, che gli era affidata, nella vigilia della battaglia. Ignoravano quindi de' loro sottoposti l'abilità, il valore, la disposizione; non avevano potuto esercitarli insieme; non ispirar loro fiducia e confidenza; non al suono della loro voce abituarli. Alcuni comandanti riceverono l'artiglieria nella giornata del 20; la cavalleria lombarda non raggiunse la sua divisione che la sera del 21. Alcuni corpi dell'esercito avean chirurgi senza strumenti; a parecchi le ambulanze pel trasporto de' feriti mancavano. I vizi e difetti dell'ordinamento, anzicchè scemare, eran cresciuti, perchè non v'era l'entusiasmo del quarantotto, che a molte cose suppliva: la ricordanza della ritirata del Mincio e de' casi di Milano toglieva fiducia e speranza alle truppe. La disciplina più malferma di prima: desiderio di guerra punto, o pochissimo: non ardor di animi: ufficiali sconosciuti a' soldati, e questi a quelli: non pregiati i vecchi capi, non noti i nuovi. Cresciuta di numero, non migliorata la fanteria, che è il nervo de' moderni eserciti; ottima l'artiglieria, ma scarsa; non rispondente al bisogno la cavalleria leggiera; lo stato maggiore come nel quarantotto; come nel quarantotto o poco meno disordinato e confuso il servigio de' viveri e delle salmerie. I vari corpi dell'esercito erano distribuiti sulla lunghissima linea che si stende dalla Agona al Ticino ed al Lago Maggiore da una parte, e dal Ticino al Po sino al Taro. Erano compartiti in sei divisioni, non compresa la riserva: v'eran di più una brigata ed alcuni battaglioni incompleti, senza cavalli e cannoni, che da Castel San Giovanni presso Piacenza fronteggiavano il presidio austriaco di quella città. Il primo corpo dell'esercito componeasi della prima, seconda e sesta divisione, comandate dai generali Giovanni Durando, Bes e Ramorino, e non aveva comandante supremo; il secondo corpo, sotto gli ordini del generale Perrone e del duca di Genova, era composto della terza e quarta divisione e di una brigata; il terzo corpo, che formava la riserva, era comandato dal duca di Savoia. Capo dello stato maggiore era il generale La Marmora: duce supremo il polacco Chrzanowski. La prima divisione annoverava quattro reggimenti di fanti, uno di cavalli, un battaglione di bersaglieri, e due batterie di battaglia; la seconda, quattro reggimenti di fanti, uno di cavalli, una batteria di posizione ed una di battaglia; la terza e quarta, dieci reggimenti di fanti, tre di cavalli, due battaglioni di bersaglieri piemontesi, i cacciatori della Valtellina e del Bergamasco, tre batterie di battaglia, una di posizione e la batteria lombarda; la quarta componeasi di quattro battaglioni lombardi, del battaglione Manara, di dugento studenti, di quattrocencinquanta Tridentini, di un reggimento di cavalleria lombarda e di due batterie; la sesta (della quale non mi occorrerà più far parola, perchè non prese alcuna parte alla guerra) avea quattro reggimenti di fanti, due squadroni di cavalli, una com pagnia di bersaglieri e due batterie; la riserva infine, quattro reggimenti di fanti, un reggimento e quattro squadroni di cavalli, due batterie di battaglia ed una di posizione. L'esercito contava quindi centoventimila soldati e cento trenta cannoni; ma tolti i presidii, gli ammalati e gli assenti, non avea in realtà che novanta mila uomini. Di questi una terza parte erano stati sotto le armi per qualche tempo; una terza parte erano soldati nuovi ed inesperti; gli altri provinciali, cioè soldati che dopo quattordici mesi di milizia, erano da molti anni ritornati alle proprie case, d'onde ora si dipartivano lasciando mogli, figliuoli e faccende.

L'esercito austriaco, molto più saviamente ed ordinatamente dell'italiano, era diviso in cinque corpi eguali in numero ed in qualità: del primo era comandante il generale Wratislaw, del secondo il generale d'Aspre, del terzo il tenente maresciallo Appel, del quarto il tenente maresciallo Thurn, del quinto, che formava la riserva, il maresciallo Radetzky, generalissimo dell'Austria in Italia. Ogni corpo componeasi di due divisioni, ciascuna di visione di due brigate, ciascuna brigata di due reggimenti di fanti, con cavalli e artiglieria in proporzione. Contava centomila soldati; pronti a battaglia novantamila, con cent'ottanta cannoni. Somma era la disciplina, stupendo il servigio di ogni bisognevole, risoluto il coman. dare quanto celere l'ubbidire: la recuperata Lombardia, la vinta sollevazione di Vienna e la memoria delle riportate vittorie davan animo e fidanza a' soldati.

La frontiera orientale del Piemonte si stende, attraversando gli Appennini e le Alpi, dal Mediterraneo alla Svizzera, ed è dal Po divisa in due parti: l'una compresa fra quel fiume ed il mare è per natura ed arte fortissima: quivi sono Genova, Alessandria e Valenza, il dorso degli Appennini, i torrenti della Bormida, della Scrivia, del Tidone e della Trebbia. Ma sulla parte sinistra, dal Po al Lago Maggiore ed alle Alpi, il Piemonte è aperto e indi. feso: debole ostacolo il Ticino (ch'è miglior riparo del confine lombardo), più deboli gli altri fiumi: nessun passo forte per natura, nessuno dall'arte fortificato: via breve, facile, piana, d'ogni cosa necessaria alle truppe abbondevòle, e Torino, sede del regno, non munita e scoperta. Impossibile quindi da quel lato la guerra difensiva, ove

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