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tanto gli uomini sono difficili a credere vere le grandi sciagure, e tanto i Bergamaschi erano convinti, che il governo piemontese, dopo di averli spinti a sollevarsi, non li abbandonerebbe nel pericolo, o almeno li avviserebbe a tempo della impossibilità di soccorrerli. Continuarono quindi i cittadini a tenere assediato il castello sino addi 30 di marzo.

Le truppe austriache aveano sgombrato Brescia il di 16, lasciando a presidio del castello, fornito di diciotto cannoni, cinquecento soldati e sessanta gendarmi. Tre giorni dopo compariva su' poggi prossimi alla città un piccolo drappello di ottanta armati, guidati da don Pietro Poissava curato di Serle. Altri armati condusse quivi il dottore Masselli. Crebbe il numero sino a trecento; esempio e sprone a' cittadini. Il comitato bresciano con diciottomila lire ricevute dal Piemonte, non senza grandi pericoli e fatiche, aveva potuto apparecchiare quattrocento fucili e quarantamila cartucce. Il generale Haynau, nel passato inverno, avea imposto alla città una multa di cinquecentoventimila lire: metà era stata pagata, l'altra dovea esserlo il dì 20; ma per le speranze destatesi col ricominciare della guerra, sino al dì 23 non erasi riscossa dal municipio che una parte della somma. In quel giorno il comandante della piazza andò al municipio per farsi consegnare il danaro riscosso; ma il popolo si levò a rumore, vietò che il danaro fosse dato, arrestò il comandante e lo consegnò alle bande armate, che eran sempre fuori della città. In quel medesimo tempo, attraversando le vie carri di vettovaglie che trasportavansi in fortezza, i popolani disarmavano e facevano prigioni i soldati che li scortavano. Accorrevano i gendarmi, si appiccava una zuffa, e quanti soldati trovavansi sparsi per la città, se cedevano le armi, erano presi, se resistevano ammazzati. Quelli che trovavansi di presidio all'ospedale militare e i gendarmi si ritiravano in fretta nel castello; e la città, rimasta sgombra, atterrava gli stemmi imperiali, e l'italiana bandiera inalberava. Giungevano frattanto a Brescia alcuni cittadini provenienti dal Piemonte, i quali narravano i Piemontesi avere sconfitto gli Austriaci alla Cava, occupata Magenta, forse a quell'ora trovarsi sotto le mura di Milano; il che fu cagione di gioia universale e occasione a grandi festeg. giamenti. La notte che segui, il comandante del castello, chiesta e non ottenuta la liberazione del comandante della piazza, per due ore bombardava e cannoneggiava la città; ma non per questo cadde l'animo a' Bresciani, i quali al fragore delle nemiche artiglierie con altissimi evviva all'Italia e a Carlo Alberto animosamente rispondevano. L'indomani il governo della sollevazione fu affidato al professore Luigi Contratti e al dottore Carlo Cassola, che assunsero nome di comitato di pubblica difesa, ordinata ed armata, come meglio si potè, la guardia nazionale; munita e assicurata la città con serragli e trin. cee. Tutti attendevano da un momento all'altro l'annunzio che i Piemontesi fossero entrati in Milano, quando addi 26 giunse l'intimazione del generale Nugent, il quale con duemila soldati e due cannoni a Brescia si appressava: si disfacesse ogni opera di difesa, si posassero le armi, si rendesse a discrezione la città. Il comitato rispose : « Brescia è risoluta a resistere finchè sia ridotta in cenere ». L'ardore del popolo, anzichè scemare, cresceva, e vieppiù quando fu divulgato un bollettino in stampa, sottoscritto dal generale Chrzanowsky, che annunziava una segnalata vittoria de' Piemontesi, con la perdita dalla parte dei nemici di diecimila uomini fra Storia d'Italia, Vol. IV.

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morti e feriti e di quattromila prigionieri: stolto o scellerato inganno, che tanto sangue costò alla magnanima città! Nugent, tentato un primo assalto, dopo breve zuffa si ritraeva; ritornava con più impeto l'indomani, ed allora il castello incominciava a fulminare la città. Questa volta il combattimento durò quattr'ore, fu fiero e sanguinoso; ma la vittoria rimase al popolo, che gli assalitori valorosamente sostenne e ricacció. L'altro di una lettera di Cremona annunziava la rotta di Novara, l'abdicazione di Carlo Alberto ed il concluso armistizio; ma aggiungeva che il parlamento piemontese avea dichiarata decaduta dal trono sardo la Casa di Savoia ed eletto dittatore Chrzanowsky, il quale, fatti morire i generali traditori e inal. berata bandiera rossa, avea intimato guerra d'esterminio al maresciallo Radetzky. Questa falsa novella era confermata da altre lettere e da testimonianze verbali, le quali diceano di più Chrzanowsky avere disfatto l'esercito austriaco: imposto a' vinti di ritrarsi sino a Verona, lasciando in mano del popolo Mantova e Peschiera. Il comitato di difesa pubblicò aliora un proclama, nel quale, fra le altre cose dicea: « Carlo Alberto è traditore. Viva il generale Chrzanowsky liberatore d'Italia ! >> Ed il po. polo, ingannato e meravigliato, applaudiva e acclamava Chrzanowsky, imprecava a Carlo Alberto, inalberava bandiera rossa. E la colpevole incuria de' capi dell'esercito piemontese non lo disingannava, non gli manifestava la verità, chè anzi nessuno sicuro avviso gli mandava, sicchè il loro silenzio pareva conferma de' nuovi falsi bollettini che circolavano, i quali venivano narrando tutti i casi della supposta battaglia, ove assalito e ove vinto il nemico, il numero de' morti e feriti, i patti tutti della tregua imposti al vinto dal vincitore.

In quel mezzo Nugent, chiesti e ottenuti rinforzi dai vicini presidj, con tremila e cinquecento soldati e con cinque cannoni, muovea nuovamente contro Brescia; cacciava da' poggi le bande di partigiani che gli occupavano, e facea impeto a porta Torrelunga, mentre un fiero bombardamento dirigeva il castello verso quella parte della città. Solleciti accorsero gli assaliti, e nulla tralasciarono per resistere alla forza ed arte degli assalitori. Feriti e morti non pochi uomini cadevano fra questi e fra quegli, ma la maggior perdita era de' nemici; ed i Bresciani non ismentirono in quel dì la fama di fortissimi, che a loro tributano le antiche e moderne istorie. Nugent dovette per la terza volta far suonare a raccolta; ed i cittadini credevano fosse questo l'ultimo travaglio da loro sostenuto, persuasi, che oramai, secondo i patti dell'armistizio, non dovessero tardare le truppe imperiali a ridursi al di là dell'Adige. Ed ecco nella notte del 30 al 31 marzo, venuto da Verona, giungere presso Brescia il generale Haynau, il quale, assunto il comando di quelle milizie, introdusse per la porta esterna un battaglione di fanti nel mal guardato castello, ed intimò alla città si arrendesse a discrezione, se non volesse esser arsa e disfatta. «Voi mi conoscete, o Bresciani, aggiungeva il barbaro; io non manco alle mie promesse! » E sì che i Bresciani conoscevano Haynau; e di che l'anima sua ferocissima fosse capace avevano dalla propria esperienza imparato; onde mandarono a lui loro oratori per invitarlo ad osservare i patti del supposto armistizio. Ed egli, che occasione cercava ad appagare sua crudeltà e l'avidità de' soldati, rispose: « So tutto; ma se la città fra due ore non cede, la ridurrò in cenere». Alle perfide e superbe parole, rispose il popolo dichia rando che non cederebbe, ma che per la patria, pe'figli, per le donne, per tutto ciò ch'è santo anco fra' barbari, risolutamente combatterebbe. E perchè già alcuno co. minciava a sospettare non fosse vero l'armistizio di Chrzanowsky, ma sì quello sottoscritto dal nuovo re di Piemonte, il comitato di difesa pubblicava per le stampe:

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L'armistizio del duca di Savoia fu concluso nel giorno 24 marzo, e Radetzky lo pubblica alle truppe coll'ordine del giorno del 25 marzo, che si legge nel foglio di Milano; mentre l'armistizio di Chrzanowsky fu concluso dopo la sanguinosa battaglia del 25. Nè vi tragga in errore la data del 26 marzo, che leggesi nel citato foglio di Milano sotto l'armistizio del duca di Savoia, perchè questa non è la data di quell'armistizio, ma bensì quella in cui l'armistizio stesso da Novara veniva spe. dito a Milano » . Così il comitato ingannato involontariamente il popolo ingannava, e tanto più veri pareano quei detti, quanto più insopportabile era il pensiero che le altissime speranze concepite fossero in un punto svanite; che un esercito ragguardevole fosse in una sola giornata disfatto; e che un governo, che avea spinto i Lombardi a sollevarsi, i sollevati abbandonasse, ed in sette di non trovasse modo di far giungere a loro sicuro avviso che tutto era perduto, e che alla propria salute, se non a quella della patria, provvedessero. I Bresciani quindi da questi pensieri animati, fidando in Dio e nel proprio valore, suonavano le campane a stormo, e si apparecchiavano a nuova battaglia. Il generale Nugent, con duemila e trecento soldati, cinquanta cavalli e quattro cannoni, simulando quattro attacchi a quattro porte della città, onde dividerne i difensori, riuniva il suo sforzo principale contro alla porta Torrelunga. Quivi la contenzione fu grande; quivi i Bresciani difesero le trincee con valore mirabilissimo: senza bandiere, senz'ordine, senza capitani alla rinfusa combattevano: era loro

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