cancellare quello del napolitano Saliceti, ed il nuovo ministero fu cosi composto: Rosmini ministro della i. struzione pubblica e presidente del consiglio; Mamiani, ministro degli affari esterni; Galletti ministro dell' interno; Sereni ministro di grazia e giustizia; Sterbini, ministro del commercio e dei lavori pubblici; Campello, ministro delle armi; Lunati, ministro delle finanze. Agli assenti Mamiani, Sereni e Campello furono spediti solleciti messaggi. Il Galletti annunziò al popolo quei nomi, e come il papa avea rimesso al par. lamento il deliberare intorno alla costituente italiana. In un tratto la sollevazione cessò: la città tutta in festa; all'ira successe la gioia: al fragore delle armi i lieti suoni ed i canti. Veramente i Romani non furono conseguenti in quel giorno: potevano dichiarare non più esistente lo statuto, tante volte dal papa violato, e gridare la repubblica; ma mantenere lo statuto, e far dimettere un ministero nel dì appunto in cui riaprivasi il parlamento, e far violenza al principe, perchè accettasse ministri da lui non voluti, era lo stesso che confirmare una legge nell'atto che si calpestava, e fare ingiuria a un principe, del quale riconoscevasi ed acclamavasi l'autorità. Vero egli è che di questo disordine era prima cagione il pontefice, il quale aveva licenziato ministri graditi al parlamento, nominati altri dal parlamento non voluti, e alle sue deliberazioni resistito con arbitrio di re assoluto. Ma in questo caso a'popoli savj non rimangono che due partiti ragionevoli: opporsi al principe co'mezzi che fornisce la legge; ovvero mettere fuor della legge il principe violatore della legge: ogni altro partito mezzano è irragionevole, non degno e malsicuro. L'indomani il Rosmini, consultato il papa, dichiarava non accettare il ministero, ed era nominato in suo luogo monsignore Muzzarelli. I nuovi ministri pubblicarono per le stampe i loro concetti ed intenti in tutto conformi ai voti dal popolo manifestati e alle deliberazioni del parlamento. Gli Svizzeri, disarmati, furono espulsi dal Quirinale; il Galletti, creato generale comandante dei carabinieri. Nell'alto Consiglio non si fece parola dell'accaduto: in quello de'deputati, il Potenziani pose il partito che si manifestassero al principe sensi di rispetto e di divozione; ma parlò contro il Canino, disse vero e legittimo sovrano il popolo italiano, applaudirono gli ascoltatori, ed il voto fu contrario alla proposta. I ministri Campello e Sereni, giunti in Roma, accettarono l'ufficio: Mamiani prese tempo a risolvere, andò al papa il di 24, e gli chiese se accettando farebbe atto contrario alla sua volontà e a lui sgradito. Gli rispose di no, anzi ad accettare con molte ed affettuose parole, lo esortò: suo intento avvolgerlo nella rovina del ministero, dalla quale salvar volle il Rosmini. Pio IX da molto tempo era risoluto partirsi di Roma: aveva richiesto di ospitalità il re di Napoli; ospitalità gli era stata profferta in Francia dal generale Cavaignac, capo della podestà esecutiva in quella repubblica. Egli aveva promesso all'ambasciatore francese, che, uscendo da Roma, andrebbe in Francia, antico e fidato rifugio de'papi, nei tempi de' re cristianissimi; ma l'Austria non volea ch'e' diventasse ospite di una repubblica, e molto bene seppe maneggiarsi per mezzo dello Spaur, ministro di Baviera, il quale per l'assenza dell'austriaco ambasciatore, i suoi uffici esercitava. Pio IX non aveva fiducia che ne' legati stranieri: lo Spaur, il Martinez de la Rosa ministro di Spagna, il D' Harcourt ambasciatore francese erano i suoi consiglieri: a fianco sempre del principe e suo confidente il cardinale Antonelli: niente senza sua saputa oprava il pontefice, che la sua vigilanza lodava, i suoi ossequi gradiva, il suo parere sempre abbracciava. Gli italiani tutti gli eran noiosi, importuni, sospetti e molesti. Non dico del Pareto odiato come ministro di Carlo Alberto e promotore della guerra d'indipendenza; ma il toscano Bargagli, il siciliano padre Ventura, il veneziano Castellani, che tutti erano al pontefice devoti, ne'suoi consigli non erano ammessi, e ciò che si disegnasse e deliberasse ignoravano. Prevalea su tutti lo Spaur, fiero nemico della libertà ed indipendenza italiana, e tanto povero di ingegno e dottrina quanto ricco di scaltrimenti e malizie: valeva molto la moglie di lui, la quale vedendosi rapire dagli anni la beltà, che l'aveva fatta primeggiare nelieti convegni delle romane gentildonne, il tempo, che prima concedea agli amori, occupava ora nelle pratiche reli. giose e nelle politiche faccende. Fu quindi risoluto fra il papa, lo Spaur, la contessa sua moglie, il Martinez de la Rosa, il D'Harcourt, il cardinale Antonelli e qualche altro confidente di trasportare la corte fuori di Roma. Questo in comune: ciascuno poi in privato ricercava il suo proprio vantaggio, e maneggiavasi per lasciar beffati i compagni. Il francese volea che il papa andasse in Francia, sperando che questo gioverebbe al generale Cavaignac nella prossima elezione alla presidenza della repubblica: lo spagnuolo proponea la Spagna, e se il continente paresse troppo lontano, le isole Baleari, nella speranza che così sarebbero ridotti in termini di componimento i lunghi negoziati fra la corte spagnuola e la santa sede: Spaur proponea ad asilo il regno di Napoli, come luogo vicino, sicuro per la esecuzione de'disegni liberticidi e all'Austria gradito. Pio IX dicea al D'Harcourt: confidare pienamente nella Francia e nel generale Cavaignac; non così nel suo rivale Luigi Bonaparte: andrebbe in Francia, ma dopo l'elezione: in quel mezzo indugierebbe in qualche luogo neutrale: tenesse in pronto una nave francese a Civitavecchia. Dicea al Martinez de la Rosa: accettissime le profferte della cattolica Spagna e della sua giovine regina; sventura non trovarsi nei porti vicini alcuna nave da guerra spagnuola; vi provvedesse. Parecchi costituzionali dello Stato romano, che in quei di aveano circondato di cure fedeli ed affettuose il pontefice, proponeano si ritirasse a Bologna, città, i cui deputati, estinto il Rossi, che era loro collega, avevano rassegnato l'ufficio, ritornando alle loro case con animo avverso al nuovo ministero, e alle esigenze ro. mane. Il cardinale Antonelli fingea gradire la proposta e favoreggiarla; aggiungeva anzi essere utile che uomini ragguardevoli della parte costituzionale accompagnassero il pontefice, quasi sicurtà del suo saldo proponimento di mantenere lo Statuto. La sera del 24 di novembre, aperta una porticciuola da molto tempo serrata e confitta, il papa, il cardinale Antonelli e monsignore Stella, tutti e tre travestiti, montavano in una modesta vettura, e uscivano inosservati dal Quirinale e da Roma. Il duca D'Harcourt, consapevole della fuga, rimanea nelle stanze del papa, come se fosse con lui in segreto colloquio, e la reggia tenevasi illuminata sino all'ora consueta. Di là uscito, corre in tutta diligenza a Civitavecchia, dove crede dover trovare il pontefice. Ma questi, fuori le mura di Roma, in un luogo convenuto, erasi unito al conte e alla contessa Spaur, e galoppava per la strada di Terracina a Molo di Gaeta, e quivi giunto, in pubblico albergo si soffermava. Monsignor della Porta e monsignore Piccolomini, a'quali era stata data notizia della partenza, ma non del vero luogo, ove il papa aveva risoluto di andare, giunsero a Civitavecchia con le sue robe, e dopo averlo vanamente atteso, entrarono in una nave francese e arrivarono a Marsiglia. De'famigliari e parenti, se togli il nipote Luigi, niuno pare ricevesse sicuro avviso della fuga. Il fratello Gabriele, il Rosmini ed il Montanari non la seppero che l'indomani, non ostante che il papa avesse promesso loro di menarli seco, e che da più di si tenessero apparecchiati; uscirono di Roma alla ventura, e non sapevano, per raggiungerlo, qual via tenere. Giunto egli in quel mezzo a Molo di Gaeta, lo Spaur andò celeremente a Napoli, recando al re Ferdinando una lettera del pontefice. Il re corse sollecito a lui con dimostrazioni grandissime di riverenza e di ossequio, e lo pregò a gradire l'ospitalità nel suo castello di Gaeta; al che il papa ac. consenti. Lietissimo ne fu il re di Napoli, al quale molto stava a cuore infrangere, in presenza del vicario di Dio, i giuramenti pronunziati invocando il nome di Dio, sapendo bene che, per il beneficio che ricevea e per la co. munanza degli intenti liberticidi, il pontefice non avrebbe esitato ad alzar le mani e fargli un potente crocione, pronunziando le parole del rituale: Bona quæ fecisti et intendis facere, sint tibi in remissionem peccatorum tuorum, e così mandandolo prosciolto e assoluto d'ogni colpa e pena. |