vano contro al governo provvisorio, ed accusavanlo di tradire la causa che dovea difendere: i costituzionali, i moderati non sapeano che farsi, e contentavansi di ripetere ne' loro giornali: «Operi il governo come lo consigliano conoscenza di tempi ed esperienza di storia », ed altre siffatte parole che niente dicono, eppur paiono di dire qualcosa. Sorgea frattanto gravissima disputa sulle attribuzioni delle due assemblee, toscana cioè ed italiana, ed il governo provvisorio la scioglie, decretando che l'assemblea toscana fosse investita del potere costituente a due distinti effetti: per decidere se e con quali condizioni lo Stato toscano dovesse unirsi a Roma; per comporre insieme a' deputati dello Stato romano la costituente dell'Italia centrale. Ordinava nel medesimo tempo, che, tenuta ferma la nomina de' trentasette deputati per la assemblea costituente italiana, e la contemporanea ma distinta votazione per l'assemblea toscana, non fosse vie. tato che si riunissero in uno stesso individuo la rappresentanza sì nell'assemblea toscana, come nella costituente italiana (1). Questo decreto che fu opera del Mazzoni, era ciò che potea farsi di meglio per ovviare agli inconvenienti delle due assemblee costituenti; ma parve un inganno alla parte democratica, come quello che mettea le sorti dello Stato nelle mani dell'assemblea toscana e non lasciava che una sovranità più nominale che effettiva alla costituente italiana. Il Montanelli, che in quei dì era andato a provvedere alla difesa de' confini, non l'avea consentito. I circoli e giornali levarono contro la voce, e si dettero frettolosamente a imutare le (1) Documenti, vol. II. liste de' candidati, affinchè i più animosi e sicuri entrassero nell'assemblea toscana; e non certi di riuscirvi, con poca prudenza, minacciavano. Il Guerrazzi convocò allora la guardia nazionale di Firenze nel giardino di Boboli, ed aringatala con eloquenti parole, le facea pro mettere di aiutare il governo perchè le deliberazioni dell'assemblea fossero libere ed ubbidite. Si fecero gli squittini con ordine mirabile avuto riguardo alla concitazione degli animi; ed il di 25 di marzo il Montanelli apri l'assemblea con libere e generose parole. Pochi della parte sino allora detta costituzionale o moderata furono eletti; ma altri uomini prevalsero nelle elezioni avversi anch'essi alla repubblica e alla unione con Roma. Due giorni dopo giunse la nuova della disfatta di Novara e del concluso armistizio; e nella notte che seguì, l'assemblea toscana, commossa e sgomentata da quella catastrofe, deliberò: «Che sia immediatamente ricostituito un potere esecutivo provvisorio; che questo potere esecutivo sia conferito ad una sola persona; che il cittadino deputato Guerrazzi sia rivestito del potere esecutivo anzidetto; che questo potere abbia facoltà straordinaria per provvedere ai bisogni della guerra e alla salvezza della patria; e che queste facoltà continueranno in esso, finchè ne durerà la necessità (1)». I democratici più ardenti s'erano stretti intorno al Montanelli, ed esortavanlo a farsi loro capo per abbattere Guerrazzi e suoi partigiani; ma il Montanelli, che vedea la divisione della parte trascinarla ad estrema rovina e che dalle discordie cittadine abborriva, risolutamente niegavasi, ed assunto l'incarico di rappresentare la Toscana a Parigi (1) Documenti, vol. II. e a Londra, celeremente si partiva. Il Mazzoni, famoso in Toscana per costanza di principii e rettitudine d'animo, tanto da meritare l'onorevole soprannome di Catone, prese parte fra gli oppositori del nuovo governo. Tumultuosissime furono le tornate parlamentarie del 28, 29 e 30 di marzo. I democratici volevano l'immediata unione con Roma: i più si opponevano: i cittadini accalcati nelle logge per quelli parteggiavano con si alti clamori che molti impauriano; ma il Guerrazzi rivoltosi fieramente al presidente gli disse: « Io dimando che sia a me data la forza di cui ella dispone; ed io come capo del potere esecutivo andrò a far sgombrare le tribune a tutti questi scellerati ed iniqui perturbatori ». I costituzionali ripigliaron animo: di sessantasei deputati presenti, ventiquattro votarono per la repubblica e quarantadue contro. Oramai la guerra era aperta fra la parte democratica ed il Guerrazzi, il quale, addi 2 di aprile, facea presentare all'assemblea questa sua dichiarazione: << In coscienza e sopra l'anima mia, considerate attentamente le volontà e le cose, io credo che non possa salvarsi o almeno tentare di salvare il paese, laddove non siano dall'assemblea accordate queste cose: 1.° Pieni poteri, che non sieno illusioni, nè facoltà che scappano ogni momento di mano, ma libero esercizio di pensare ed attuare subito quanto si reputa necessario per la salute della patria. 2.° Proroga dell'assemblea a tempo determinato, o indeterminato, con obbligo nel potere esecutivo di non risolvere intorno alle sorti del paese senza consultarla; pena di traditore della patria. 3.o Sospensione di ogni quistione intorno alla forma del governo. 4.° I deputati rimangano a Firenze per condursi a richiesta del potere esecutivo in qualità di commissari per la guerra nelle provincie, o sovvenirle in altra maniera. Per me non credo altra via. L'assemblea deliberi, scelga chi vuole per capo, dittatore o che altro: le parole sono nulla, le cose tutto: io sarò lieto di mostrare come deve ubbidire chi ama la patria davvero ». La disputa si accese con accanito animo dall'una parte e dall'altra: le tribune fragorosamente applaudivano a chi la proposta dittatura oppugnava; ma i contrari non si sgomentavano. Il Manganaro grida: « Nessuno ha diritto di chiamarsi popolo al nostro cospetto ». Il Bondi esclama che i deputati avranno il coraggio di morire al loro posto. Il ministro dell'interno dice al presidente con concitati modi: « lo le ho mandati cento e ottanta uomini, che ne fa ella? » L'indomani continuò la disputa: il Pigli accusava il potere esecutivo di avere spento o tentato di spegnere l'entusiasmo popolare: il Mazzoni, con saldezza ed impassibilità antica, dicea: « Venir tardi i consigli della paura: trattarsi di repubblica o di ristaurazione; per richiamare il principe mancare l'assemblea di facoltà e di mandato; faccia l'assemblea il suo dovere; se il popolo non farà, il suo peggio per lui ». Parecchi oratori pro e contro parlarono; ma da ultimo la proposta della dittatura andò a partito, e raccolti i suffragi, quarantatre furono favorevoli e ventinove contrari. I repubblicani dell'assemblea non si smarriscono per questo primo esperimento, e per mezzo del Pigli interpellano i ministri dell'interno e degli affari esterni sulle condizioni dello Stato e sulle sue relazioni con gli esteri potentati. Il Marmocchi dichiarò allora pochi i repubblicani in Toscana, avversa l'opinione pubblica all'unione con Roma, arduo eccitare i popoli delle campagne alla difesa delle frontiere, se il reggimento repubblicano e la unione con Roma fosse decretata; il Mordini smenti i conforti di Francia e di Inghilterra per quel nuovo ordinamento politico. Allora il deputato Bichi domandò che si cancellassero da' fogli degli stenografi le interpellazioni e le risposte ; ma il Guerrazzi sorse a dire: « Io non sarei mai di parere di dissimulare la verità: meglio valea non chiederla. Ora che è chiesta la verità, la verità si dica. La magnani. mità dell'assemblea non deve consistere nel dissimulare la verità, ma nel contemplare e spendere ogni mezzo per vincerla, qualora non fosse consentanea all'alto scopo che ci siamo proposti. Se la verità è dura, è un fatto fatale: a noi non deve bastare il cuore di mutarla, perchè quando noi cadremo sotto la necessità dei fatti, noi mostreremo ancora che abbiamo fatto quanto per noi era possibile per superarla con virtù e con fermezza ». La proposta del Bichi non fu ammessa. L'assemblea decretò: doversi nel momento sospendere ogni deliberazione intorno alla forma del governo e alla unificazione con Roma; doversi prorogare la prossima futura di lei tornata al dì 15 di aprile, restando non pertanto a Firenze i deputati; il capo del potere esecutivo non poter risolvere intorno alle sorti della Toscana senza il concorso e l'annuenza dell'assemblea, non solo a pena di nullità, ma di essere punito come traditore della patria; potrebbe bensì provvedere alle necessità dello Stato con la emissione di tanti buoni del Tesoro, fino alla concorrenza di due milioni di lire (1). E fu allora che un deputato esclamò con fiorentina arguzia « sembrargli fare i fondi per le feste della ristaurazione ». |