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in una stanza, non escluse le donne, e quindi sottoposto al giudizio: perfidia degna di Napoli e di Roma; inaudita in Toscana.

Nel Lucchese la riazione scoppiò nel medesimo dì 11 di aprile. Il prefetto radunò pochi soldati di cavalleria, i volontari, i municipali e due cannoni, e li fece muovere alla volta di Picciorana, dove i contadini ch'eransi sollevati, non pria assaliti, si dispersero. Il vicario, che continuava a suonare la campana a stormo, con un colpo di fucile fu spento. La spedizione dovea procedere verso Capannori; ma alcuni gentiluomini lucchesi si proffersero pacieri. I sollevati, che in quel mezzo aveano portate le armi, veduti costoro, cominciarono a gridare: << Voi ora venite? Voi che ci avete spinti e abbandonati? » I pacieri furono arrestati, condotti a Lucca e chiusi in carcere. La mattina del 13, allorchè si seppero gli avvenimenti di Firenze, i vinti ripigliarono animo, i vincitori invilirono. Le campane di Lucca suonarono a stormo, accorsero i contadini, il municipio si dimise, subentrò l'antico municipio che avea per gonfaloniere il marchese Mazzarosa, la guardia civica si dichiarò per il principato costituzionale, atterrati furono gli alberi della libertà, rialzati gli stemmi granducali. Allora le guardie municipali ed i volontari fiorentini fu. rono chiusi ne' loro alloggiamenti, di poi quelli disarmati e disciolti, questi lasciati partire per Firenze: i veliti ripresero il nome e gli andari di carabinieri: il prefetto Landi ebbe quattro ore di tempo per partirsi: le case della nobiltà e dell'alto clero furono illuminate a festa: il conte Demidoff e la contessa Boccella entravano in città come trionfatori.

Frattanto gli Austriaci ed Estensi occupavano Massa e Carrara pel duca di Modena, e Pontremoli per quello di Parma. Le colonne comandate dal Guarducci, dal Petracchi e dal Pieri erano a Pistoia. I Livornesi pregavano con grande istanza i primi due a ridursi a Pisa, che parea disposta a resistere. Il generale D'Apice, che ubbidendo agli ordini ricevuti dalla commissione governativa non avea opposto alcuna resistenza agli Austriaci, dopo aver recato parole di pace a' Pisani, si dimise e si parti di Toscana; e nella notte del 17, trecento uomini di linea, mezzo squadrone di cavalli e due cannoni entravano di sorpresa a Pisa, dove fu creata una commissione governativa composta del professore Silvestro Centofanti, Ridolfo Castinelli e Rinaldo Ruschi. Il Petracchi, in una sortita fatta da Pistoia, rimase prigioniero; la gente del Pieri si sbandò; il Guarducci ottenne di passare co' suoi disarmati da Pisa, a patto che usciti dalla città, sarebbero loro rese le armi; ma non fu mantenuto.

Livorno era in mano de' cittadini: chiuse le porte della città, l'entrare e l'uscire solamente permesso alle donne, a' fanciulli ed a' forestieri. Addi 16 si radunò una grande assemblea: v'erano il vescovo, i capi della guardia nazionale, i più ricchi negozianti, gli uomini di maggiore autorità e riputazione, e fu presa questa deliberazione: che sino a più precise notizie si indugiasse di aderire alla commissione governativa di Firenze, e che frattanto vegliasse al mantenimento dell'ordine interno ed alla sicurezza della città il municipio, con l'aggiunzione de' cittadini Luigi Secchi, Marco Mostacchi, Felice Contessini e Cesare Botta. I deputati alla costituente, fuggiti da Firenze, parte erano stati incarcerati nelle provincie, parte si ridussero a Livorno; ma i più, disperando di onorevole resistenza, andarono a Roma, o fuori d'Italia. Dopo qualche giorno fu creata una commissione governativa, nella quale sedevano il Guarducci, il dottore Salvi, il dottore Viti e lo scultore Demi. Il comandante della guardia nazionale, un De Antellis, dopo aver promesso miracoli di valore, or dicea, «trovare l'ufficio immensamente più grave di quel che gli s'era fatto supporre », e si dimetteva. Ac. corron tutti al banchetto apparecchiato in solido palagio, ma son pochissimi quelli che non fuggono da una casa che minaccia rovina. La commissione si disciolse, rimanendo soli in ufficio il Guarducci ed il Demi, e fu composta e ricomposta più volte; ma gli eletti oggi, ritraevansi domani. Gli Austriaci si avanzavano: scemando le speranze, i capi l'un dopo l'altro imbarcavansi; ma il popolo non volea udir parlare d'accordo, e nell'abbandono infieriva. Un Frisani, capo di una banda di Lombardi, per parecchi di non si fece vedere; di poi ricomparve e fu morto.

La commissione governativa di Firenze avea scritto al granduca, ragguagliandolo di quant'era seguito; e << Altezza, gli avea detto, il vostro ritorno affrettato dai voti dell' intera Toscana, risparmierà a noi l'onta e i danni di una invasione, risparmierà a voi il dolore di fare al vostro regno fondamento delle armi straniere, dalle quali sempre abborriste ». Rispose il granduca addi 20 di aprile : « 1 Toscani possono essere certi, che quello che sono stato sarò sempre per loro ». Questa lettera giunse a Firenze, mentre arrivava a Gaeta una deputazione composta dei presidenti del senato e del gran consiglio e di altri autorevoli personaggi, i quali scrissero, aver trovato il principe punto mutato dai bei giorni del risorgimento italiano. Reduci a Firenze recavano un regio autografo, nel quale era detto: « Deb. bono i Toscani andar sicuri, che porrò ogni studio nel cercare i modi più efficaci a risarcirli delle sofferte calamità, e a ristaurare il regime costituzionale in guisa che non debba temersi la rinnovazione de' passati disordini ». E per ben cominciare, pubblicava un decreto in data del di primo di maggio, nel quale, « considerando, e'dicea, che nell'attuale situazione, non possono prestare nè opportuno nè valido appoggio i corpi legislativi », affidava pieni poteri al conte Serristori col titolo di commissario straordinario. Addi 6 di maggio si riseppe a Firenze, che gli Austriaci erano entrati in Toscana e aveano occupata Lucca, e fu divulgato un proclama del generale D'Aspre: dicea, venire a tutela de' diritti del legittimo sovrano; a fare rinascere e a rendere salda la pubblica e privata sicurezza. « All'ombra loro soltanto, e' soggiungeva, le istituzioni costituzionali, impartitevi dal vostro legittimo sovrano, potranno prendere salde radici e portare buoni e numerosi frutti ». Concludeva, opererebbe d'accordo col commissario Serristori. Questi dichiarò nella gazzetta di Firenze essere non che estranio, inconsapevole di tutto quanto avveniva. La commissione governativa, ceduto il potere, protestava dicendo: « Il municipio fiorentino, assumendo la direzione degli affari in nome di sua altezza reale, intese non solamente di redimere lo Stato dal dispotismo di una fazione; ma eziandio di salvare il paese dal non meritato dolore di una invasione, di salvare il principato rinascente dall' infausto battesimo di una protezione straniera >>; e ch'egli avea creduto di operare « in conformità alle intenzioni più di una volta espresse da sua altezza reale ». Aggiungeva quindi che « se gli avvenimenti del di 12 di aprile dovevano avere questa conclusione, meglio era che non fossero accaduti ». Troppo tardi! Ventimila Austriaci erano a Pisa e muovevano contro a Livorno.

La mattina del di 10 di maggio le campane di Livorno suonavano a stormo, nunziatrici delle cominciate ostilità, udivasi il fragore delle artiglierie. Si combattè tutta la giornata accanitamente il popolo senza capi, senza ordini, e, quel che più conta, senza speranza, fece miracoli di valore: pugnava e moriva per l'onore del nome, non per ottenere una vittoria impossibile. La notte facea cessare la mischia. L'indomani, respingendo i Livornesi la profferta capitolazione, gli Austriaci ritornavano agli assalti con maggiore gagliardia, e s'impossessavano di Porta a Mare: la città, scemati e disordinati più che mai i suoi difensori, inalberava bandiera bianca. Con ciocche di mirto al caschetto e al suono festivo delle bande militari entrano in Livorno gli Austriaci, e si schierano in piazza d'armi. Quindi si dividono in piccoli drappelli, e cominciano a percorrere le vie, e ad entrare per le botteghe e per le case, atterrando gli usci. Era finito il combattimento: or principiavano la strage e la rapina. Impossibile narrare tutti gli atroci fatti di quella atrocissima giornata. Venti per. sone, arrestate a caso, furono ammazzate in piazza del Voltone; tre volontari moschettati sotto l'albero della libertà in piazza d'armi: in quelle due piazze, alle ore quattro, contavansi cinquantasei cadaveri. In fortezza vecchia era prigione il sacerdote Maggini cappellano dei municipali, arrestato dal popolo perchè tentava salvarsi colla fuga: gli Austriaci, vedutolo fregiato di una nappa tricolore, lo ammazzarono. La crudeltà de' soldati, nell'ira fresca, si sfogava col sangue, poscia passò in avarizia. Saccheggiarono la palazzina abitata dalla famiglia Borgi in via del Gran Principe, le case Bastianelli, Pa

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