radis, Päte sul Voltone, il banco Membaron, il banco Rosselli e le case Magnani Buttel, Soffredini e Rossi in Piazza Grande; devastarono la chiesa di S. Giuseppe, e non risparmiarono la cattedrale. D'Aspre dichiarò la città in istato d'assedio, ordinò un generale disarmo sciolse la guardia nazionale, soppresse la bandiera tricolore; il tutto sotto pena di morte. Gli steccati do. veano essere disfatti dal popolo: i soldati costringevano a quel lavoro quanti cittadini incontravano; ed un Amadeo Piccoli, per aver risposto: « Chi gli ha fatti li disfaccia », fu morto. Zanobetto Artidoro, non sollecito a dispogliare le vesti di guardia nazionale, fu preso, e pochi minuti dopo la moglie e tre figliuoli piangevano la sua morte. Enrico Bartelloni, per avere risposto alle insolenze di una sentinella, è arrestato: l'indomani un foglio a stampa senza sottoscrizioni è affisso per le cantonate, e vi si legge : « Essere stato fucilato Enrico Bartelloni per avere insultato una sentinella toscana ». H sacerdote Puccini di Corsica, trovandosi a caso in un caffè, dove quattro Ungheresi parlavano con entusiasmo delle vittorie della loro patria, dice loro: : « E perchè non andate voi? » Rispondono: <<< vieni ad insegnarci la via », e menatolo in fortezza, l'uccidono. Altri gravi e terribili accidenti potrei raccontare in questo luogo; perchè per tutta la città si estese e più dì durò questo flagello, sì che divulgò la fama essere in quei giorni morti parecchie centinaia di Livornesi. Ma ritorniamo a Firenze. -Addì 24 di maggio il generale D'Aspre pubblicava con la data di Empoli il seguente proclama: « Abitanti di Firenze! I vincoli di sangue, che uniscono il vostro sovrano alla casa imperiale del mio monarca, i moltiplici trattati, che a sua maestà l'imperatore e re mio signore impongono il dovere di proteggere l'integrità della Toscana e di difendere i diritti del vostro prin. cipe, hanno determinato l'Austria a cedere al desiderio di sua altezza imperiale e reale il granduca, ed a por termine allo stato di anarchia, sotto il quale già da lungo tempo gemeva il vostro bel paese. La fazione, che opprimeva Livorno, fu dalle mie armi distrutta; e quella popolazione, liberata dal giogo di orde ribelli, si sottomise al suo legittimo sovrano. Chiamato ora dal principe vengo colle mie truppe nella vostra città come amico, come vostro alleato. Unitevi a noi, per viemeglio consolidare la quiete, la pace e l'ordine, e ricondurre stabilmente fra voi la concordia, l'impero delle leggi, e quei giorni di felicità, onde già un tempo l'Europa v'invidiava ». Più tardi fu pubblicato un dispaccio del principe Schwarzenberg all'ambasciatore austriaco a Londra, in data del dì 29 di aprile, nel quale si leggeva: << Il governo dell'imperatore ha inviato al maresciallo conte Radetzky lordine di fare avanzare le nostre truppe tanto in Toscana quanto nelle Legazioni. Determinandoci a queste spedizioni, non abbiamo fatto che aderire alle domande inoltrate a questo effetto così dal granduca di Toscana come dal papa ». Il dì 25 di maggio gli Austriaci occupavano Firenze; e il generale D'Aspre, d'accordo col commissario straordinario, ordinava un generale disarmo e scioglieva la guardia nazionale. Il Serristori, prima d'uscire d'officio, pubblicava: «che per assicurare il trionfo della legge rendevasi indispensabile il temporaneo intervento di milizie ausiliari; che col concorso delle truppe austriache tutta la Toscana si ricomporrebbe in unica famiglia ». Il principe da Gaeta elesse un nuovo ministero, il primo atto del quale fu la soppressione, in nome dello statuto, della bandiera italiana, via apparecchiata a chi dovea più tardi, in nome dell'Italia, sopprimere lo statuto. La parte moderata e costituzionale, che, per abbassare i democratici, aveva fatto lega cogli assolutisti, era or da questi soverchiata ed oppressa. Aveano congiurato contro al go. verno provvisorio e l'aveano reso impossibile; aveano congiurato contro al Guerrazzi e lo aveano rinchiuso nella fortezza di Belvedere: non aveano scrupoleggiato sui mezzi per salvare lo statuto ed evitare l'austriaco intervento: per non sgradire al principe aveano accettato in quell'occasione ordini cavallereschi, che nel medesimo tempo erano dati a Radetzky e ad altri capi dell'au striaco esercilo. Non cito nomi per rispetto al passato, e per speranza nell'avvenire. Or lo statuto non era più; gli Austriaci dominavano da padroni in Toscana: la medesima oppressione pesava sui costituzionali e sui democratici, e a' mali della servitù comune aggiungevansi gli odii scambievoli e le scambievoli accuse, perchè l'umana superbia vieta a' partiti di riconoscere i propri errori, e per iscusar sè non esita ad infamare gli avversari; onde si perpetuano le cagioni delle interne discor die, che sono forza agli oppressori, debolezza a' popoli, vitupero alle nazioni. CAPITOLO XIII. DELLE COSE NAPOLITANE E SICILIANE 299 Or conviene risalire molto indietro nell'ordine dei tempi per raccontare ciò che accadde nell'Italia meridionale, dopo il grande assassinio del di 15 di maggio dell'anno quarantotto, e ripigliare l'interrotta narrazione dal punto in cui era, con reale dissimulazione, riaperto il parlamento napolitano. La camera de' deputati dava prova di una lunganimità e moderazione, che forse alla storia parrà soverchia: unica condizione ella però metteva all'oblio del passato ed alla piena riconciliazione con quel governo, che tutte le umane e divine leggi avea violate, cioè che nuovamente l'esercito napolitano ed il napolitano naviglio muovessero in difesa della italiana indipendenza. Onde la mattina del di 3 di agosto, allorchè giunsero in Napoli le prime nuove del disastro di Custoza e gli animi profondamente commoveano, il deputato Massari disse ai ministri queste applaudite parole: « I vostri errori politici sono grandi e forse innumerevoli; ma io consento a gittare su di essi un velo impenetrabile: a un patto però: fate che le nostre armi vadano a cooperare ne' campi della Venezia e della Lombardia alla liberazione dell' Italia; fate che la croce di Pio e la spada di Guastalla non sieno più sole in questa santa e magnanima impresa, e che ad esse non manchi il forte sussidio della spada di Velletri. A questo patto, o signori, tutto il vostro passato sarà dimenticato, e l'Italia, che ora vi scomunica e vi maledice, vi collocherà nel novero de' prediletti suoi figli ». Rispose breve e sdegnoso il Bozzelli: non potere, per ragioni di civile prudenza, entrare in siffatta discussione. Rinnovate le istanze della camera nel di primo di settembre, quando tutte si seppero le sventure di quella guerra, i ministri, dalla vittoria dell' Austria imbaldanziti, superbamente tacquero, e quasi a dar nuova prova del loro animo avverso, i soldati del decimo reggimento di linea, unico che serbò l'onore delle armi napolitane ne' campi lombardi, disseminarono in tutto l'esercito, e da tutto l'esercito i più tristi scelsero per ricomporre quel reggimento. Altro argomento di gravi querele avean di già cominciato a somministrare le inique opere del governo nelle Calabrie. Alle interpellazioni del Dragonetti, il Bozzelli rispose minacciando e vituperando il parlamento e gli elettori. Nel fervore di quell'aringa gli venne messo il piede in fallo sugli scalini della ringhiera, e cadde giù. A quella vista i numerosi ascoltatori, che occupavano le logge, proruppero in applausi tosto repressi dall'autorità del presidente. Rizzatosi il ministro, senza alcun riguardo alla sua propria dignità, come forsennato, cominciò a svillaneggiare l'assemblea; onde nacque tal tumulto, che il presidente dovette coprirsi e sospendere la tornata: al ripigliarsi della quale parve che il Bozzelli sentisse per un istante il peso della pubblica esecrazione e il rimordimento della propria coscienza, sì che non ebbe più animo di continuare il suo discorso, e dette poche parole, lasciò la ringhiera. Allora Carlo Poerio narrò le scelleratezze che nelle Calabrie si commettevano, e dimostrò come tutti gli atti del ministero allo statuto, alla giustizia e alle leggi dell'umanità contraffacessero. Il solo ministro Ruggiero ebbe il triste coraggio di rispondere; gli altri stettero silenziosi, e poco dipoi pubblicarono nel giornale |