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CAPITOLO 11.

CONTINUAZIONE DELLE COSE DI ROMA

SINO ALLA PROCLAMAZIONE DELLA COSTITUENTE.

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La mattina del di 25 novembre il marchese Sacchetti, che faceva le veci di maggiordomo del papa, fece leggere a' ministri che dell' accaduto niente sapeano, una lettera del tenore seguente: « Marchese Sacchetti. Affi. diamo alla sua nota prudenza ed onestà di prevenire della nostra partenza il ministro Galletti, impegnandolo con tutti gli altri ministri non tanto per premunire i palazzi, ma molto più le persone addette a lei stessa che ignoravano totalmente la nostra risoluzione. Che se tanto ci è a cuore e lei e i famigliari, perchè, lo ripetiamo, ignari del tutto del nostro pensiero, molto più ci è a cuore di raccomandare ai detti signori la quiete e l'ordine dell'intera città. 24 novembre 1848. Pius PP. IX». Letto quel foglio, i ministri si affrettarono a pubblicare, che il pontefice, « trascinato da funesti consigli », erasi partito di Roma; ch'ei veglierebbero alla tutela dell'ordine e della pubblica tranquillità, confidando nel popolo.

Divulgatasi frattanto la nuova della fuga del papa, Roma fu commossa da contrarii affetti e pensieri; ma i più rimaneano con l'animo sospeso, quasi non sapendo se rammaricare se ne dovessero o rallegrare: ed è notevole un proclama pubblicato allora dal circolo popolare, nel quale dichiaravasi legale l'autorità dei ministri, come quella ch'era stata confermata dal papa nella lettera al marchese Sacchetti; e si esortava il popolo alla quiete e all'osservanza delle leggi, la guardia civica alla difesa degli ordini costituzionali: tanto in quel di gli uomini più infiammati eran lontani dal desiderio di tentare novità nel reggimento dello stato, e tanto è bugiarda l'accusa che i repubblicani forzassero il papa a partirsi per gridar la repubblica. Pregarono anzi i cittadini con grande istanza il Mamiani, che tutti sapevano partigiano del principato costituzionale, perchè accettasse l'ufficio di ministro, che, in nome del papa, gli era stato profferto; ed egli da ultimo assenti; e recatosi co' suoi compagni al consiglio dei deputati, fu dallo Sterbini chiesto il loro suffragio a testimonianza di fiducia. Sorse allora il principe di Canino a dire con concitate parole, che se i ministri del popolo (cosi li chiamò) volessero meritare la pubblica fiducia, bisognerebbe che senza indugi ed esitazioni la italiana costituente proclamassero. E rispondendo il Mamiani starsi in cima de'suoi pensieri la federazione italiana, il Canino ripigliò a far le lodi della costituente a suffragio diretto e universale, condannando il bastardo concetto, del quale faceasi espositore e lodatore il ministro. Nella quale disputazione intervenne il Galletti con parole conciliative ed applaudite, e si passò oltre a proporre e compilare un proclama a'popoli dello stato, del tenore seguente: «Deve esservi manifesto che, nell'assenza del principe, il governo dello stato permane costituito nelle medesime legali autorità. Il consiglio dei deputati sempre fermo nell'esercizio de'suoi doveri si accorda di tutta sua volontà col ministero, al quale il santo Padre ha conferito i poteri, e nell'assenza sua raccomandato l'ufficio di tutelare l'ordine pubblico. Perciò dopo aver decretato per voto unanime di cooperare assiduamente e con ogni sua facoltà a qualunque atto lodevole del governo, aggiunge la propria alla voce di lui, per esortare il popolo romano e quelli tutti delle provincie a dare ora più che mai splendida prova di loro civile virtù e saggezza; ricordandosi principalmente, che dalla loro unione e concordia presente dipende in grandissima parte eziandio l'unione, la concordia e la liberazione d'Italia. Il consiglio dei deputati in suo nome e in nome del ministero avverte i popoli del suo zelo instancabile per giungere alla pronta attuazione delle più care speranze della patria comune ». Data lettura di questo proclama, fu da tutti approvato, all' infuori del Canino, che doleasi non fosse in esso parola della costituente italiana.

Addì 26, adunatosi l'alto consiglio, monsignore Gnoli chiese a' ministri se avessero proponimento di riconoscere l'autorità di quella assemblea; se potessero dare precise notizie delle condizioni dello stato e del viaggio del pontefice; se credessero dover rivolgere a lui parole di ossequio e di riverenza e preghiere di far ritorno a Roma. Rispose il Mamiani: fermi essere gli ordini e gli istituti politici dello stato, perciò ferma l'autorità dell'alto consiglio e l'ubbidienza de'ministri: del viaggio del pontefice niente sapersi di sicuro; attendersi maggiori notizie per deliberare qual modo di preghiera prescegliersi. Al che tutti dichiararonsi soddisfatti e fu proposto, e ad unanimità di suffragi approvato un proclama che così dicea: « Nella mestizia di cui riempie l'animo l'assenza del principe e padre comune, l'alto consiglio unisce con voti unanimi la sua voce a quella del consiglio dei deputati e del ministero per confortare i popoli nella osservanza e confermarli nella volontà che l'ordine pubblico sia conservato. La concordia fra gli ordini costituiti dello stato è la salute dello stato medesimo in qualsi. voglia turbamento; e questa concordia non mancherà Storia d'Italia, Vol. IV.

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certamente per parte dell'alto consiglio, il quale risolutamente coopererà a tutto ciò che sia proposto per bene e sicurezza della patria. Voi, popoli, voi ricorderete, che la tranquillità dello stato pontificio non solo è necessaria a mantenere quella riputazione di civile sapienza e di bontà che voi avete nel mondo, ma è necessaria a preservare e prosperare la sorte dell'italica grandezza ed indipendenza, e la pace del mondo ». E qualche giorno dopo il Mamiani scrivea a tutti gli ambasciatori e ministri stranieri presso la corte di Roma, e dimostrata la legalità del ministero romano e la purezza e nobiltà dei suoi intenti, facea loro notare e considerare come non mai il santo Padre avea avuto a soffrire la benchè minima violenza o minaccia nell'esercizio della sua autorità pontificale, e come i romani dissidii eran rati dal desi. derio unanime del popolo, che fra'due poteri, spirituale e temporale, una divisione profonda e compiuta intervenisse; mentre dall'altra parte, come per l'addietro, con grande ostinazione, voleansi tenere congiunti e confusi: aggiungendo asprezza al conflitto il sentimento nazionale non soddisfatto, e il credersi venisse a contesa colla nuova politica italiana la vecchia politica della romana curia, usa a voler sempre sola scampare nel naufragio della nazione. E'concludea dicendo: « Le agitazioni dello stato romano derivano da un bisogno fondamentale e incessante, il quale non verrà rimosso e distrutto dai temperamenti della diplomazia, e neppure dall'uso di qualunque forza armata, la quale comprimerebbe temporaneamente la molla, ma spezzarla mai non potrebbe (1)».

(1) Circolare del 29 novembre 1848.

Addi primo di dicembre il ministro Mamiani presentò al consiglio de' deputati un progetto di decreto per la convocazione dell'assemblea costituente italiana, nel quale, se togli il nome, niente v'era rispondente a' desideriimanifestatisi in quel tempo in Roma, in Toscana e altrove; perciocchè l'assemblea dal Mamiani proposta non avea altra facoltà che di compilare un patto federale, il quale, rispettando l'esistenza de' singoli stati e le forme loro particolari di reggimento, assicurasse l'unione e la indipendenza dell'Italia; mentre l'altra con diritti ed ufficio più rispondenti al nome, avrebbe dovuto costituire politicamente la nazione, con quegli ordini e quelle leggi, che dal senno e dalla prudenza della maggioranza degli Italiani sarebbero giudicati più opportuni ed acconci ai vantaggi e all'onore della patria comune: oltre a che, l'assemblea del Mamiani avrebbe dovuto esser composta dei rappresentanti di ogni singolo stato, eletto in quel modo che a loro fosse piaciuto; mentre l'assemblea, alla quale dava il suo nome il Montanelli, sarebbe stata eletta a suffragio universale e diretto di tutte le provincie italiane: insomma questa sarebbe per essere una vera assemblea costituente italiana; quella un congresso federale degli stati italiani. Ma ecco, mentre di questo si disputava, giungere a Roma un breve pontificio del seguente tenore: « Le violenze usate contro di noi negli scorsi giorni, e le manifestate volontà di prorompere in altre (che Iddio tenga lontane, ispirando sensi di umanità e moderazione negli animi) ci hanno costretti a separarci temporaneamente dai nostri sudditi e figli, che abbiamo sempre amato ed amiamo. Fra le cause che ci hanno indotto a questo passo, Dio sa quanto doloroso al nostro cuore, una di grandissima importanza è quella di avere la piena libertà nell'esercizio della suprema potestà della

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