Santa Sede, quale esercizio potrebbe con fondamento dubitare l'orbe cattolico che nelle attuali circostanze ci venisse impedito. Che se una tale violenza è oggetto per noi di grande amarezza, questa si accresce a dismisura ripensando alla macchia d'ingratitudine contratta da una classe d'uomini perversi al cospetto dell' Europa e det mondo, e molto più a quella che nelle anime loro ha impresso lo sdegno di Dio, che presto o tardi rende efficaci le pene stabilite dalla sua Chiesa. Nella ingratitudine dei figli riconosciamo la mano del Signore che ci percuote, il quale vuole soddisfazione dei nostri peccati e di quelli dei popoli; ma senza tradire i nostri doveri, noi non ci possiamo astenere dal protestare solennemente al co. spetto di tutti (come nella stessa sera funesta dei 16 novembre e nella mattina dei 17 protestammo verbalmente avanti il corpo diplomatico, che ci faceva onorevole corona, e tanto giovò a confortare il nostro cuore) che noi avevamo ricevuta una violenza inaudita e sacrilega. La quale protesta intendiamo di ripetere solennemente in questa circostanza, di avere cioè soggiaciuto alla violenza, e perciò dichiariamo tutti gli atti, che sono da quella derivati, di nessun vigore e di nessuna legalità. Le dure verità e le proteste ora esposte ci sono state strappate dal labbro, dalla malizia degli uomini e dalia nostra coscienza, la quale nelle circostanze presenti, ci ha con forza stimolati all'esercizio dei nostri doveri. Tuttavia noi confidiamo, che non ci sarà vietato innanzi al cospetto di Dio, mentre lo invitiamo e supplichiamo a placare il suo sdegno, di incominciare la nostra preghiera colle parole di un santo re e profeta: Memento, Domine, David et omnis mansuetudinis ejus. Intanto avendo a cuore di non lasciare acefalo in Roma il governo del nostro stato, nominiamo una commissione governativa composta dei soggetti: il cardinale Castra.cane, monsignor Roberto Roberti, principe di Ruviano, principe Barberini, marchese Bevilacqua di Bologna, marchese Ricci di Macerata, tenente generale Zucchi. Nell'affidare alla detta commissione governativa la direzione temporanea dei pubblici affari, raccomandiamo a tutti i nostri sudditi e figli la quiete e la conservazione dell'ordine. Finalmente vogliamo e comandiamo che a Dio s'innalzino quotidiane e fervide preghiere per l'umile nostra persona, e perchè sia resa la pace al mondo e specialmente al nostro stato ed a Roma, ove sarà sempre il cuor nostro, qualunque parte ci alberghi dell'ovile di Cristo. E noi, come è debito del supremo sacerdozio a tutti precedendo, devotissimamente invochiamo la gran Madre di misericordia e Vergine immacolata ed i santi apostoli Pietro e Paolo, affinchè, come noi ardentemente desideriamo, sia allontanata dalla città di Roma e da tutto lo Stato l'indignazione di Dio Onnipotente. Datum Cajetae die XXVII novembris, anno MDCCCXLVIII. Pius Papa IX ». Con dispacci, che non furono pubblicati, rimessi al solo cardinale, il papa ordinava la prorogazione de'consigli deliberanti; dava facoltà alla commissione di approvare i nuovi boni del tesoro per la somma di scudi seicentomila; di costituirsi anco col numero di tre; di trasferire la sede del governo fuori di Roma, di eleggere altre persone in sostituzione o aggiunzione dei suoi com. ponenti, purchè non fossero di quelle imposte al pontefice dalla sollevazione e violenza, come il breve dichiarava. Il cardinale Castracane era stato uno dei più fie. ramente ostili alle riforme ed agli ordini nuovi di libertà; così apertamente riprovava la guerra dell'indipendenza, che non aveva esitato dire ad alcune gentildonne questuanti per Venezia, ch'elle faceano opera non buona e perniciosa per le anime loro. I principi Ruviano e Barberini, nella romana nobiltà, erano dei più risoluti nemici di libertà, ed il primo bramoso per cortezza di mente e per superbia patrizia. Lo Zucchi era venuto in odio del popolo come collega del Rossi e suo efficace cooperatore. Monsignor Roberti aveva fama di animo mite; il Ricci ed il Bevilacqua, di amore all'Italia: ma anco quest'ultimo non era gradito, per. chè, dopo i casi del di 15 e 16 di novembre, aveva rassegnato l'ufficio di deputato, e disdegnosamente si era da Roma allontanato. Che più? i quattro che trovavansi nella capitale, cioè il Castracane, il Ruviano, il Barberini e il Roberti, non solamente non fecero alcun atto per assumere l'esercizio della suprema autorità, che anzi acerbamente si rammaricavano, che il papa avesse gittato addosso a loro quel carico, senza ne anco avvisarli; ed il Ruviano si parti alla volta di Toscana, mentre gli altri alla partenza si apparecchiavano. I ministri, appena furono sicuri che il papa infirmava ed aboliva l'autorità loro, rassegnarono per lettera gli uffici; ma rimanea la difficoltà maggiore, cioè quella della commissione governativa, la quale tenea nascosto il mandato e gli altri ordini ricevuti, nè in verun modo eseguivali; non parlava, non iscriveva, non operava, e interrogata non rispondea. Così la città, così le provincie senza governo alcuno si rimaneano, largo campo a'tristi e a'bramosi di garbugli, opportunità grande di scismi, discordie, sedizioni e tumulti. Per ovviare a tanto disordine, nella sera del dì 3 di dicembre, il consiglio de'deputati prese questa deliberazione: 1.° Che il consiglio de'deputati, riconoscendo che l'atto che dicesi firmato dal pontefice in Gaeta il 27 novembre non ha per esso alcun carattere di autenticità, nè di regolare pubblicità, e che quando anche non ne mancasse, non presentando sotto verun rapporto i caratteri della costituzionalità, a'quali è soggetto non meno il sovrano che la nazione, non potrebbe essere atteso, e dovendo altronde obbedire alla legge della necessità ed al bisogno di avere un governo, dichiara che gli attuali ministri debbono continuare nell'esercizio di tutti gli atti governativi, finchè non sia altrimenti provveduto. 2.° Che si mandi immediatamente una deputazione del consiglio a sua Santità per invitarlo a tornare a Roma, o provvedere altrimenti alla mancanza del capo del potere esecutivo. 3.° Che s'inviti l'alto consiglio a fare un'eguale dichiarazione e ad unire taluno dei suoi membri alla formazione della deputazione da mandarsi a sua Santità. 4.° Che un proclama sia fatto al popolo di Roma e dello Stato onde prevenirlo delle misure prese dal consiglio de'deputati, ed altro alle guardie civiche onde raccomandar loro la tutela dell'ordine pubblico e la garanzia delle libertà e leggi fondamentali dello Stato. La stessa deliberazione presero l'alto consiglio ed il municipio romano, e le tre deputazioni, composte di uomini di temperate opinioni e che credeansi bene accetti al pontefice, mossero alla volta di Gaeta, in compagnia del senatore di Roma principe Corsini, perchè istruissero il papa delle vere condizioni della città; la sua protesta non aver fatto ricredere nessuno, e invece inasprito molti e dato animo e pretesto a'desiderosi di novità: volesse tentare le vie di conciliazione; ritor. nasse a Roma, o scegliesse a sua temporanea sede altra città dello Stato. Ciò non volendo, creasse almeno una giunta di governo effettiva e non apparente, e le cui facoltà bastassero a farle tenere il luogo del prin cipe, secondo i diritti e gli usi costituzionali. Giunti questi deputati a'confini del regno, con loro somma maraviglia, si videro niegato il passo in nome del papa dagli ufficiali della polizia napolitana; per lo che obbligati a retrocedere a Terracina, scrissero al cardinale Antonelli, affinchè nella sua qualità di prefetto de'sacri palazzi, volesse agevolar loro il modo di pervenire al santo padre; ed avutane in risposta una lettera del cardinale, nella quale manifestavasi il fermo proponimento del papa di non ricevere alcuno che venisse a supplicarlo di restituirsi alla sua sede o in altra città dello Stato, fecero ritorno a Roma. Fu allora nel parlamento posto e vinto il partito, che si eleggesse una commissione, la quale, d'accordo col ministero, pensasse a suggerire alcuna provvisione e risoluzione acconcia alla gravità e straordinarietà degli avvenimenti; e dopo nuove e sollecite pratiche e sup. plicazioni al papa, fu proposto e approvato il decreto seguente: che fosse costituita una provvisoria e suprema giunta di Stato; ch'ella si componesse di tre persone scelte fuori del consiglio dei deputati, nominata a maggioranza assoluta di schede dal detto consiglio e approvata dall'alto consiglio; che la giunta, a nome del principe e a maggioranza di suffragi, esercitasse tutti gli uffici partenenti al capo del potere esecutivo nei termini dello statuto, e secondo le norme e i principî del diritto costituzionale; cessasse immediatamente le sue funzioni al ritorno del pontefice, o qualora e'deputasse con atto legale persona a tenere le sue veci e adempierne gli uffici, e questa ne assumesse di fatto l'esercizio (1). La giunta fu costituita coi senatori di (1) Decreto degli 11 novembre 1848. |