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termini della conversazione avuta con lord Palmerston. Egli si tenne fermo nelle idee manifestate da qualche tempo a questa parte, cioè che l'Inghilterra, esauriti i mezzi di persuasione col re di Napoli, non può adoprare le sue forze per costringerlo ad abbandonare la Sicilia; che una guerra col re di Napoli non sarebbe giustificabile innanzi alle camere inglesi; che nella speranza di evitare danni e stragi alla Sicilia aveva mandate istruzioni a lord Napier per dire al governo napolitano che l'Inghilterra conservava sempre gli stessi sentimenti riguardo alla Sicilia; che consigliava la riunione della corona siciliana sulla testa del re di Napoli, salva l'indipendenza amministrativa e legislativa, tal quale era stata proposta da lord Minto; che, ove questo non avesse potuto ottenersi, avrebbe consigliato la corona di Sicilia si cedesse ad un figlio del re coll'assoluta indipendenza; e che, ove neanco questo avesse potuto ottenersi, avrebbe consigliato il re di Napoli a riconoscere quel principe italiano, che la Sicilia desiderava (1) ». Strana progressione di consigli che solamente possonsi ascoltare in pace dai rappresentanti di uno Stato piccolissimo nella bocca del ministro di uno Stato potentissimo! Amari andava e veniva con mirabile attività da Londra a Parigi, nè lasciava unitamente agli altri commissari alcun mezzo intentato per giovare alla causa siciliana. Da Parigi i commissari di Sicilia scriveano: < Amari ha parlato due volte col signor Bastide: la prima per pochi minuti: insistè per la separazione delle due corone; con quella disperata risolutezza alla quale lo consigliavano gli ultimi suoi abboccamenti di Londra; e n'ebbe in risposta queste precise parole:

(1) Dispaccio del 22 settembre 1848.

su questo punto voi ve la intenderete meglio coll'Inghilterra, che con noi. Indi la suprema necessità di procurare un ragionamento più pacato. Si ottenne per venerdì, ed eccone il tenore: Messo alle strette dalle due conseguenze che si darebbe un colpo mortale alla rivoluzione italiana, e si favorirebbe la ristorazione di un Borbone e di un assassino, il ministro, che comprende questo linguaggio, come molti altri de' suoi colleghi e lo stesso Cavaignac, onesti tutti ne' loro principii politici, mostrò ad Amari non essere disperato il caso. Gli assicurò positivamente che lord Palmerston infino a quel momento, lungi dal volere la ristorazione del Borbone, sostenesse la separazione assoluta delle due corone, con due principi, e alla Sicilia la costituzione del 1812, sotto la protezione dell'Inghilterra. Quest'ultima frase è testuale nel discorso di Bastide, ma ci sembra piuttosto la conseguenza ch'ei tirava, che una espressa condizione della proposta di Palmerston, il quale, anco desiderandola, non l'avrebbe mai significata con parole nude. Quanto a noi, continuava Bastide, noi vogliamo fermamente che la Sicilia resti unita all'Italia: il legame che la tiene è il legame con Napoli; dunque non amiamo che questo si spezzi. Noi abbiamo sostenuto che le due corone restino separate con parlamento, finanza, esercito diversi: ma le due corone sopra la medesima testa. Quella di Ferdinando? rispose Amari, ed aggiunse il comento che ogni Siciliano sa fare. Costernato il ministro da queste acerbe punture, replicò ch'egli abborriva i Borboni almeno quanto noi, e che finalmente nè sperava, nè desiderava di vincere il partito da lui stesso proposto. Il re di Napoli, egli diceva, protesta sempre appo i potentati per la violenza che gli stanno facendo la Francia e l'Inghilterra, tenendogli le mani: egli non ha accettato la mediazione, non osserva la tregua che per paura delle due flotte, ed abborre dall'espediente della corona siciliana separata e nominale sul suo capo quanto ne abborriscono i Siciliani. Dunque non è da temersi che prevalga l'espediente proposto dalla Francia. Noi stessi, e' soggiungeva, continuando a sostenerlo, sapremo avvilupparlo tra ostacoli siffatti, che non si concluderà nulla, che sarà impossibile al re di Napoli di accettare, che si manterrà l'armistizio, e che si andrà innanzi sino a primavera. Intanto il governo francese continuerebbe ad aiutarci, ma in modo (son queste parole del signor Bastide) che non gli fosse colta la mano dentro al sacco. Non possiamo darvi ufficiali in attività, ma non impediremo che vengano in Sicilia ufficiali congedati o in ritiro. Armi e munizioni ve ne venderemo. L'animo nostro è per voi; ma sappiate che qualche potenza si lagna della forza che facciamo al re di Napoli. La Russia non vorrebbe che un pretesto per ficcarsi nel Mediterraneo; e questo affare di Sicilia potrebbe accendere la guerra, che pare anco difficile a scansare per altre cagioni, ma che noi, per dovere verso la Francia, siamo tenuti di evitare per quanto si possa. Questi modi subdoli, queste astuzie, egli concluse, non mi vanno a sangue, eppure trattandosi d'interessi sì gravi, siamo obbligati adoprarli. Il signor Bastide disse ancora, che la Russia, come partecipante a' trattati del 1815, dissente per la indipendenza assoluta della Sicilia, ma non già per la separazione de' due governi con unico principe (1)».

(1) I commissari barone Friddani e M. Amari al ministro degli affari stranieri: Parigi, 7 novembre 1848.

Il marchese di Torrearsa, combattuto nella camera de'comuni da' deputati dell'opposizione, avea detto se si reputasse preferibile altra forma di reggimento, francamente e lealmente si manifestasse: non rimarrebbe indietro il ministero. Queste parole parvero ad alcuni ornamento oratorio; ad altri sdegno inconsiderato: tutti gridarono ad una voce: «No, no!» Ciò nonostante, nello stato in cui trovavansi le cose siciliane, il ministero avea creduto dover tentare l'animo de' governanti di Francia, profferendosi disposto a proclamare la repubblica in Sicilia, e così eccitare lo zelo intiepidito dell'Inghilterra e rendersi più favorevole la repubblica francese. Amari disse quindi al signor Bastide: « E che fareste voi, se gridassimo la repubblica in Sicilia!». Il ministro rispose: <<< Fareste male, perchè non è ancor tempo per l'Italia: appena l'è per noi. Non vedete come siamo?(1)». Torrearsa scriveva a' commissari a Parigi: «Se la Francia non vorrà appoggiarci come stato monarchico costituzionale, non potrà abbandonarci come repubblica. Questa è l'opinione generale del paese, e diverrà anco una necessità tutte le volte che colla mediazione ci si vorranno offrire delle condizioni inaccettabili (2)». Dieci di dopo i commissari siciliani spedivano da Parigi un dispaccio in cifra del tenore seguente: «Amari ha parlato or ora col ministro degli affari stranieri. La Francia vuol temporeggiare, e l'Inghilterra ancora. Con tali disposizioni andò lord Temple a Napoli. L'ultimatum sarà: la corona al Borbone, con tutto separato, anco l'esercito e la rappresentanza all'estero.

(1) Dispaccio del 7 novembre, 1848.
(2) Dispaccio degli 11 novembre, 1848.

Se Napoli accetta, sarà notificato alla Sicilia, con mi. naccia della Francia di ritirarsi, se la Sicilia rifiuta. Non vi curate punto di questa minaccia, dice il ministro; quando sarà seria ve lo dirò io. Interpellato se ciò si potesse scrivere al nostro governo, disse di sì, e replicò formalmente tale assicurazione (1)». A questo dispaccio ne seguì un altro: «Martedì sera andammo da Cavaignac in mezzo ad una folla densissima di guardie nazionali de' dipartimenti. Generale, gli disse Frid. dani, dovremmo parlarvi. È inutile, bisogna vi accomodiate. Ma questo non può farsi, ed in ogni caso bisogna prender tempo. - Prender tempo? e perchè? rispose il generale, e si mise a parlare con altri. Aveva ragione, perchè il tempo che corre è suo nemico e perchè aveva altro da fare che pensare alla questione siciliana, vedendo quasi certo che nè questa, nè altra si risolverebbe da lui (2)». Tredici di dopo Luigi Bonaparte era presidente della repubblica francese.

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Lord Temple andava a Napoli con queste istruzioni: operare sempre di accordo col rappresentante della repubblica francese: la corona siciliana a Ferdinando II o ad uno de' suoi figli; a' Siciliani amministrazione, parlamento ed esercito proprio: dire al re di Napoli, che ritirando le sue truppe non avrebbe più a temere di essere deposto, perciocchè i Siciliani non avrebbero più ragione ed interesse di farlo; dire a' Siciliani che la separazione delle due corone era stata stabilita nel 1812 in condizioni diverse dalle attuali, e che la Sicilia era troppo piccola per istare da se: non prender parte a

(1) Dispaccio del 21 novembre 1848.

(2) Dispaccio del 27 novembre 1848.

Storia d'Italia, Vol. IV.

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