Slike stranica
PDF
ePub

sgomentate come all'appressarsi de' barbari, si arresero senza combattere.

Erano in tale stato le cose di Sicilia, allorchè il comandante del vapore da guerra francese il Vauban ed il console di Francia offrivano al governo siciliano i buoni uffizi dell'ammiraglio Baudin per un accordo col re di Napoli. Ne fu fatta proposta in parlamento. La camera de' comuni era priva de' più animosi deputati: la più parte di loro erano stati inviati nelle provincie per provvedere alle difese: gli appartenenti alle milizie avean voluto raggiungere i loro corpi: soli ottantotto se ne trovaron presenti: con cinquantacinque suffragi l'offerta dell'ammiraglio Baudin fu accettata; nella camera dei pari, all'unanimità. Il ministero si dimise. Fu impossibile comporre un nuovo ministero: si contentarono di tre soli ministri: il barone Grasso, cognato del comandante generale della guardia nazionale e maggiore della guardia nazionale di Palermo, il pari barone Canalotto ed il pari Salvadore Vigo. L'ammiraglio Baudin rispose con suo dispaccio in data del dì 18 di aprile: « Il signor Rayneval ed io abbiamo pregato il re di volere accordare alla Sicilia delle condizioni di riconciliazione non meno favorevoli di quelle state formulate nell'atto di Gaeta del 28 febbraio ultimo ». E avvegnacchè dicesse avere il re dichiarato « che non volea legarsi con alcuno impegno», soggiungea: « Il capitano di fregata Eugenio Massin, capo del mio stato maggiore, che spedisco in Palermo sul vapore l'Ariel, avrà l'onore di presentare questo dispaccio all'Eccellenza Vostra, e le dirà a voce molte particolarità che sarebbe lungo di scrivere, e che spero la rassicureranno interamente su la intenzione del re, e su l'avvenire della Sicilia ». Il capitano Massin era portatore di un foglio, che contenea i seguenti capitoli, come concessioni per la Sicilia, promesse dal re di Napoli a' rappresentanti della repubblica francese: «1.o Una costituzione in conformità dell'atto di Gaeta del dì 28 di febbraio. 2. Il figlio primogenito del re, o altro principe reale, ed in mancanza, un distinto personaggio per vicerè. 3.o Guardia nazionale per Palermo; con una legge che ne stabilirebbe l'ordinamento. 4.° Liberazione de' prigionieri siciliani fatti in conseguenza degli avvenimenti di Calabria, eccetto i capi che sarebbero mandati in esilio per un tempo determinato. 5.o Amnistia generale, esclusi solamente i capi e gli autori della rivoluzione. 6.° Riconoscimento del debito pubblico contratto dal governo della rivoluzione ».

Frattanto i capi della guardia nazionale incitavano i militi a reprimere ogni manifestazione popolare; affermavano i parteggianti per la guerra essere uomini di. voti a Ferdinando II, il quale bramava recuperare la Sicilia per forza d'armi e non di accordi, onde far valere le ragioni della conquista, e sottrarsi alle condizioni a lui imposte dalla Francia. Ed ecco la guardia nazionale custodire le porte della città, niegare l'entrata agli uomini armati che accorrevano dalle campagne, vietare i canti e le grida di guerra, chiudere i luoghi di pubblico convegno. I più faceano questo in buona fede, abbindolati da pochi malvagi, i quali andavano ripetendo: non trattarsi di sottomessione, ma di pace a patti onorevoli: i grandi potentati aver composto pacificamente le cose d'Italia, nè voler più patire continuasse in Sicilia la guerra: non trattarsi più di Ferdinando II; ma di Austria ridivenuta signora d'Italia; ma d'Inghilterra e di Francia deliberate ad imporre anco colla forza la pace. Già udivansi (incredibile a dirsi!) queste stolte parole: « I realisti ed i ladri vogliono la guerra ». I timidi disperavano di salvezza, i diffidenti si credeano traditi, i ricchi temevano nuovi sacrificii senza pro', i creditori dello Stato erano sedotti dalla promessa che il debito pubblico sarebbe riconosciuto, i voltabili correano colla fortuna, i traditori congiura. vano più arditi, ed i malvagi univansi a loro per averli compagni nelle rovine o protettori nelle venture; e frattanto il nuovo ministero scioglieva e disperdeva le forze armate per mettere il popolo nella necessità di accettare una pace vergognosa. Gran numero di deputati e di uomini autorevoli, alcuni di propria volontà, altri quasi sforzati, si partivano. Il presidente Ruggiero Settimo radunò intorno a sè i pochissimi che rimaneano e li richiese di consiglio. Fra questi era il La-Farina, il quale propose: Ruggiero Settimo assumesse la dittatura; ordinasse lo scioglimento della guardia nazionale di Palermo, l'arresto del comandante generale; pubblicasse il carteggio del ministero per persuadere al popolo, che non trattavasi di una pace onorevole, ma di una resa a discrezione; chiamasse alle armi gli abitatori delle campagne. Nè questo era pensiero ineseguibile come qualcuno potrebbe credere, imperocchè la guardia nazionale s'era da sè quasi disciolta; in Palermo v'erano quattro battaglioni di fanti, una brigata di artiglieri, mille marinari cannonieri che servivano da fanteria di marina, due squadroni di cavalleria, il battaglione della giovine guardia, la legione universitaria e la guardia municipale; a Trapani, un battaglione di fanti; a Castrogiovanni duemila uomini di truppe rego. lari, con una batteria di campagna ed una batteria di montagna ed il battaglione francese; le quali forze poteano tutte, senza alcuna difficoltà, ritrarsi a Palermo, città ben munita di artiglieria, di munizioni e di vettovaglie, ed i cui abitatori han meritata fama di fortissimi. Gli adunati parlarono tutti in contraria sentenza: fu deliberato: il presidente del governo cederebbe al municipio il governo della città. Quasi tutti gli uomini che aveano preso parte notevole nella rivoluzione si partirono. Il municipio mandò suoi deputati a Filangieri, e sciolse tutte le truppe regolari che presidiavano la capitale.

Addi 26 di aprile undici navi regie a vela e a vapore comparvero rimpetto Palermo; ed allora si cominciò a parlare di sommissione. A quella parola cadde la benda dagli occhi al popolo: la commozione fu grande, crebbe ne' due dì seguenti, finchè diventò terribile tumulto la sera del dì 29. Un torrente di popolo percorse la via Toledo, gridando: «O pace o guerra, abbasso i traditori! >> Parte della guardia nazionale si disciolse, parte si uni a' tumultuanti; Spaccaforno pretore di Palermo salvossi colla fuga su di una nave francese; il municipio scomparve. L'indomani il popolo chiese la consegna delle armi, ed ottenuto quanto bramava, cominciò a rialzare i ripari abbattuti e a munire i disarmati ; un nuovo municipio fu creato, ed un comitato di guerra preseduto dal vecchio generale Bianchini. I cannoni del castello trassero contro le navi napolitane che dovettero di fretta ritrarsi. Addi 5 di maggio, essendo l'esercito regio a poche miglia da Palermo, il popolo si levò nuovamente a rumore, gridando : « Guerra a' nemici e morte a' traditori! ». Il magistrato municipale volle dichiarare la capitale in istato d'assedio; ma di poi, sgomentato dalla sua stessa audacia, si salvò anch'esso colla fuga. All'alba del di 7, bande di popolani armati, senz'ordini, senza capi, e solamente sostenuti dal battaglione francese e da uno squadrone di cavalleria, assalirono vigorosamente le regie truppe. La lotta continuò fiera e sanguinosa ne' due dì seguenti: il popolo combatteva senza consiglio, senza impero, a ventura: non v'era chi provvedesse alle munizioni, alle vettovaglie, a' feriti: voleasi salvo l'onore. Filangieri si ritrasse in dietro, parlò parole di pace, pubblicò un' amnistía << per tutti i reati comuni d'ogni natura», riassicurò per mezzo del console francese per i reati di Maestà non sarebbero esclusi, che « gli autori e capi della rivoluzione». Al popolo queste parole parvero oscure, e ne chiese spiegazione. Rispose essere risguardati come capi << quelli che architettarono la rivoluzione ». Più insospettito che mai il popolo chiese si pubblicassero prima i nomi degli esclusi: aderì il generale Filangieri: erano solamente quarantatre. Allora il popolo volle sicurtà d'imbarco pel battaglione francese, e pe' disertori napolitani che aveano combattuto in pro' della Sicilia; le truppe reali non entrerebbero giammai dentro le mura di Palermo, ma occuperebbero gli alloggiamenti esterni; provvederebbe la sola guardia nazionale al servigio interno della città; sarebbero fedelmente mantenute le promesse date all'ammiraglio Baudin, e completamente osservati i capitoli. de' quali era stato portatore il capitano Maissin, capo dello stato maggiore dell'ammiraglio. A tutto condiscese Filangieri addi 11 di maggio. Come si adoprassero i quattro dì che seguirono si legge in una relazione ufficiale, pubblicata in Palermo, dappoichè la Sicilia ricadde sotto la dominazione de' Borboni. Quivi è detto: « Ecco l'istante di avvicinarsi le reali truppe pacificamente a Palermo. Pure la città in disordine, priva di forza comprimente, soffriva delle gravissime difficoltà, ed a superarle fu mestieri che si adoprassero assai accorte maniere, e molti sforzi per ben quattro

« PrethodnaNastavi »