giorni, duranti i quali le ostilità furono sospese. Senno, prudenza, consiglio esigono che si copra col silenzio ogni pratica usata onde ottenere l'intento. Queste poche parole bastino per far conoscere quali fatiche e dispendi, anche occulti, costava la salvezza della patria ». Addi 15 maggio le truppe reali occuparono gli alloggiamenti al di fuori delle mura: la bandiera borbonica fu inalberata. Le vie della città erano deserte, silenziose, mestissime: non vi fu un grido di gioia, o di plauso, neanco di quel volgo corrotto da moneta o da impunità, che applaude sempre al nuovo signore. Caduta la rivoluzione siciliana, unica cura del vincitore fu ristaurare l'antica tirannide, punire ne' vinti ogni colpa, vendicare ogni offesa, rompere tutti i passi, contraffare a tutte le promesse, smettere l'ipocrisia del perdono, premiare i traditori, cogliere il destro per purgare lo Stato dagli amici, anco i più tiepidi, di libertà. 417 CAPITOLO XV. DELLA REPUBBLICA ROMANA, E DELLA CROCIATA CATTOLICA DELLA FRANCIA, DELL' AUSTRIA, DELLA SPAGNA E DEL RE DI NAPOLI PER RISTABILIRE IL PRINCIPATO ECCLESIASTICO. Roma apparecchiava armi ed implorava la benedizione di Dio sulla guerra della nazionale indipendenza, allorchè giunse inaspettata la nuova della disfatta di Novara. L'assemblea si radunò a segreto consiglio addi 29 di marzo: grandissima la concitazione: variavano i pareri: chi mettea il partito d'invadere il regno di Napoli mentre la guerra ancor ferveva in Sicilia; chi di correre in Lombardia: nessuno potea persuadersi, ogni speranza fosse perduta. Il Valerio, ch'era tuttavia in Roma e che sperava si rialzerebbe il Piemonte coi soccorsi delle altre provincie italiane, chiese ed ottenne di essere introdotto nell'assemblea, co' legati di Venezia e di Toscana, commossi al comune pericolo. E' quivi narrò le vicende della guerra, e le ultime gravi sventure; celebrò Carlo Alberto ed i suoi figliuoli; maledisse all'audacia delle parole non rispondente a quella delle opere: emulasse la repubblica il principato : si accorresse senza indugio in aiuto della causa italiana pericolante, non perduta. Alle sue parole consentirono il legato toscano ed il veneto, e tutti e tre in scritto protestarono «contro tutto ciò che si fosse potuto addurre per scemare la gloria dell'esercito italiano, per far credere disperate le sorti della patria, e per inStoria d'Italia, Vol. IV. 27 dugiare ulteriormente nel soccorrerla con isforzo supremo». L'assemblea deliberò concorrere con tutti i mezzi alla guerra della indipendenza, ordinò partissero nell'istessa notte alla volta del Piemonte tutte le truppe di ordinanza; concentrò il potere esecutivo in un triumvirato, composto del Mazzini, del Saffi e dell'Armellini, al quale triumvirato conferi poteri illimitati per la guerra della indipendenza e la salvezza della patria. Alla nuova del disastro di Novara fu gran gioia in Gaeta. Le conferenze sugli affari di Roma aprironsi addi primo di aprile: presidente il cardinale Antonelli; legati per Francia i signori D'Arcourt e Rayneval; per Austria Esterhazy; per Spagna Martinez de la Rosa; per Napoli Ludolf. L'Esterhazy, che prima della giornata di Novara simulava modestia e temperanza, montato in rigoglio per la conseguita vittoria, mise innanzi pretèse sì grandi, che gli ambasciatori francesi, avvegnacchè dispostissimi a secondarlo, non poterono condiscendere; mentre il cardinale Antonelli, smessi i liberali infingimenti e mutato linguaggio, chiese apertamente che il papa fosse ristaurato nella dominazione temporale, senza alcuna condizione, e senza che della conservazione de'liberi ordini fosse data a' popoli sicurtà o promessa. Allora il D'Arcourt dichiarò non potere procedere oltre in quelle negoziazioni, prima che gli fossero giunti nuovi ordini del suo governo; e mise a profitto quell'indugio per inviare novellamente a Roma il Mercier, affinchè si maneggiasse co' capi della parte costituzionale, rivelasse loro i pericoli, e gli esortasse a fare opera di ristaurazione spontanea, invocando il patrocinio della Francia. Mercier andava, significava desideri, dava consigli; ma niente esplicitamente prometteva: non dava sicurtà alcuna in nome della Francia. Dall'altra parte andava e venia da Roma il signor Forbin di Janson, segretario di legazione, e congiurava con preti, frati e sanfedisti per la ristorazione del dispotismo clericale, tenendosi in corri. spondenza con monsignore Falloux, prelato de' più attillati e profumati della corte pontificia, e fratello del signor Falloux, ministro della pubblica istruzione della repubblica francese, avvegnacchè della parte legittimista; il che parrà cosa incomprensibile agli avvenire, non a noi, che assistemmo allo strano spettacolo di una repubblica che affida il reggimento suo a' mo narchisti, e caccia in prigione i repubblicani. Così la Francia ordiva in Italia due trame, l'una co'costituzionali per mezzo dell'Harcourt e del Mercier, l'altra cogli assolutisti per mezzo del Rayneval e del Forbin: le fila della prima erano in mano del signor Drouin de Lhuis ministro degli affari esterni; quelle dell'altra in mano del signor Falloux ministro della pubblica istruzione, e del signor Montalembert, che, senz'essere ministro, poteva più dei ministri, come capo della parte chericale. I costituzionali di Roma si lasciaron cogliere a questo inganno, e cominciarono a far guerra sorda al governo della repubblica: molestavanlo e sbeffeggiavanlo: volgeano contro di lui la libertà di stampa, ch'egli ad amici e ad avversari assicurava; abusavano della sua tolleranza per abbassarlo; e credendo servire la causa del principato costituzionale, apparecchiavano la via alla tirannide sacerdotale e forestiera. I triumviri aveano ricostituito il ministero: rimasero ministri il Rusconi per gli affari esterni, il Manzoni per le finanze, il Lazzarini per la grazia e giustizia, il Montecchi pel commercio e pei lavori pubblici: nuovi si aggiunsero lo Sturbinetti per l'istruzione pubblica, e per l'interno il Berti Pichat, che da indi a poco rassegnò l'ufficio, il quale rimase in mano dell'Accursi. Il ministro della guerra fu governato da una commissione eletta dall'assemblea; e alla detta commissione fu con provvido consiglio subordinata la guardia nazionale romana, della quale era comandante il ministro Sturbinetti. L'assemblea creò per circa dugento cinquantamila scudi di nuovi buoni del tesoro, dichiarando infruttiferi quelli creati dal governo pontificio; il che fu opera contraria alla fede pubblica. Fu anco decretato un aumento di tassa del venticinque per centinaio su tutti coloro i quali nel termine di sette di non pagassero la prima rata del prestito forzoso. Più tardi, andato il Manzoni a Londra, anco le pubbliche finanze furono confidate ad una commissione di probi e specchiati uomini la quale mise un qualche ordine in quella matassa arruffata dalla ignoranza e ladroneria degli ufficiali pontificii; nel quale lavoro prestò servigi un tal Galli, rammentato altra volta in queste storie, il quale ben sapeva dove stesse il bandolo, dappoichè l'aveva per più anni maneggiata. Co' beni demaniali l'assemblea decretava fosse dotato il clero povero; e quelli che dalle così dette mani morte provenivano, volle fossero dati in enfiteusi, con lieve canone, redimibile in ogni tempo, a famiglie povere ed industriose. La tassa delle patenti per l'esercizio de'mestieri fu soppressa; abolito il turpe appalto del sale, ed il suo prezzo scemato con gran beneficio dell'agricoltura, della pesca, della pastorizia, e della pubblica salute. , Frattanto i deputati, che aveano avuto l'incarico di compilare la costituzione della repubblica, ne recavano il testo all'assemblea. Principi fondamentali: la sovranità |