mano non vengano ad ogni tratto avversati nel desiderio legittimo, il quale nutrono, d'ogni libertà e d'ogni progresso civile ; e sopratutto non vengano mai oppugnati nel sentimento nazionale, e nella prima e fondamentale di tutte le condizioni sociali e politiche; quella, cioè, di vivere indipendenti, signori e modera tori delle proprie loro sorti, e di potersi colle armi affrancare dal duro giogo dello straniero. Ma tornando di presente al discorso del generale Cavaignac, egli sembra molto credibile che dopo aver esso saputa la quiete profonda in cui vive Roma e lo Stato fin dal dimani del giorno 16; dopo aver conosciuto la concordia mirabile in cui si stringono ogni di più il ministero, le camere, il municipio, la guardia civica e ogni altra parte del popolo; dopo avere considerato come ciò mantenga in Roma e in ogni provincia un ordine veramente esemplare, e come in seno alla libertà illimitata di pensieri, di scritti e di opere, in cui trovansi questi popoli, non vedesi un atto ed un cenno non pure contrario alla fede cattolica, ma il quale offenda e turbi in alcuna parte ogni pratica ed ogni qualunque dimostrazione di culto esteriore; infine, dopo avere quel generale considerato che il ministero, le camere ed ogni altro corpo costituito nulla hanno che fare con le passioni del popolo e con gli eccessi che ne possono rampollare, e come invece essi tutti mantengonsi nella legalità e nello stretto esercizio dei loro diritti e dei loro doveri, si sentirà costretto a mutare opinione e deliberazione, e non verrà colla forza a difficultare o a tardare quella conciliazione, la quale dee nascere spontaneamente cosi dalla persuasione e dallo amore, come dalla necessità delle cose meglio conosciuta e sentita. Ma come ciò sia, la deliberazione del generale Cavaignac, alla quale non vogliamo credere che partecipi di buon grado la generosa nazione francese, è un'umiliazione, è un oltraggio gravissimo per tutte le genti italiane. Sotto qualunque colore, e per qualunque ragione onesta e plausibile il generale Cavaignac intenda d'intervenire a mano armata in Italia, ciò è un fatto che, non consentito dalla nazione e da chi la rappresenta, costituisce una violazione vera e flagrante dell'universale diritto dei popoli. Il generale Cavaignac non accenna neppure alcun precedente accordo nè coi popoli nè coi principi della penisola; egli non fa motto della richiesta, o almeno del franco e pieno consentimento di Pio IX; la qual richiesta e il qual consentimento noi neghiamo dall'altra parte che possa mai essere stato. Pio IX è il più mansueto dei principi ed ha cuore alto ed italiano. Come potrebbe egli voler tornare nella sua sede preceduto e fiancheggiato dalle armi straniere! Chi ciò suppone, chi ciò afferma, crudelmente l'offende. Oltre di che (noi lo ripetiamo) trattandosi qui non dell'ufficio suo apostolico, ma unicamente delle differenze politiche insorte tra lui e i suoi popoli, il tornare in mezzo di loro in virtù delle armi straniere sarebbe il compiere l'atto il più avverso che dar si possa a'principii costituzionali, e alle massime fondamentali del diritto pubblico. Ciò tutto considerato, noi sottoscritti protestiamo solennemente in faccia alla Italia e all'Europa contro la invasione francese preparata e deliberata dal generale Cavaignac, e dichiariamo che alle sue truppe verrà, secondo le nostre forze, impedita l'entrata e la violazione del territorio nazionale; nel che fare noi intendiamo di difendere l'onore non pure degli Stati romani, ma di tutta quanta l'Italia, e di secondare la ferma volontà e deliberazione di tutti 1 i suoi popoli; e similmente facciamo solenne e gene rale richiamo ai potentati di Europa e al senso loro di equità e di giustizia. Imperocchè la causa è comune a tutte le nazioni gelose dell'indipendenza, e altere di avere conquistato la politica libertà. Roma, 8 dicembre 1848. C. E. Muzzarelli presidente; F. Mamiani; G. Galletti; P. Sterbini; P. Campello. » Frattanto due membri della commissione governativa creata dal papa, cioè il Bevilacqua e lo Zucchi, dichiaravano per le stampe, che andrebbero a Gaeta difensori degli ordini costituzionali dello stato e della causa italiana, non che mezzani di pace fra il pontefice ed il po polo, e si partirono da Bologna, seguiti dal Ricci, che, co' medesimi intenti, muovea da Macerata. Lo Zucchi giunse a Gaeta molto tardi, perchè temendo l'odio popolare che contra a lui s'era destato negli Stati romani e in Toscana, dovette allungare il viaggio, passando per la Liguria, dove rimase qualche tempo infermo: il Bevilacqua ed il Ricci, accolti cortesemente dal papa e dal cardinale Antonelli, fecero quei maggiori ufficii che poterono di conciliazione, dando savi e liberali consigli; e n'ebbero in risposta essere il papa risoluto di ritornare nello Stato, ma non poter dire il quando, attendendo risposta dai potentati cattolici: non doversi però in alcun caso mettere in dubbio l'intangibilità dello statuto, ed il saldo proposito di sua Santità di mantenerlo. Di queste pratiche rimangono documenti scritti, onorevoli ai due commissarii, e di grande obbrobrio al papa e al cardinale, che si bruttamente abusavano la loro buona fede per temporeggiare sinchè avessero certezza che verrebbero gl'invocati aiuti stranieri, o sinchè spingessero i popoli dello Stato a fare tali atti, che servir potessero di pretesto all' intervento armato. Ed a questo fine tendeva un nuovo breve del papa del di 17 di dicembre, che la creazione della suprema giunta di stato (ripiego della parte moderata per salvare il principato costituzionale) dichiarava attentato sacrilego. A sì grande impudenza e manifesta malafede gli animi s'inacerbirono e infiamma. rono: nella capitale e nelle provincie già udivansi sfrenati discorsi di libertà, e fiere maledizioni al governo de'preti; gli antichi rancori più gagliardi e minacciosi rinascevano; le antiche ingiurie con più disposizione e vendetta si ricordavano: i circoli si stringevano fra loro in alleanza, e così la propria potenza accrescevano: voleasi un'assemblea popolare a suffragio universale e di. retto costitutrice degli ordini del reggimento dello Stato. Già nelle Marche e nelle Romagne questo risolutamente si domandava; già a Roma giungeano numerose petizioni e messaggi; già cominciavasi a mormorare contro a'ministri, e contro al Mamiani specialmente, perchè egli faceva ogni suo sforzo affinchè lo Stato non si mulasse. La guardia civica dapprincipio favoreggiava il ministero; ma a poco a poco fu anch'essa vinta dalla pubblica opinione, e dalla manifesta necessità, essendo oramai a tutti evidente, come fosse opera impossibile conservare lo statuto senza il principe, e serbargli fede a suo dispetto. Il governo andavasi quindi disciogliendo: il Lunati ed il Sereni aveano rassegnato l'ufficio: il Mamiani, per mezzo del Canuti avea aperto pratiche co' governi di Francia e d'Inghilterra, perchè volessero intromettersi pacieri fra il papa e il popolo; ma niente ne concluse, nè miglior successo ebbero le sue negoziazioni col Piemonte, e con la Toscana, intorno alla costituente federale: gli altri ministri aveano altri intenti, e specialmente lo Sterbini, ch'era fra più caldi promotori della costituente roStoria d'Italia, Vol. IV. mana, il desiderio della quale si crebbe, che la giunta suprema, nella quale, per la non accettazione del sena. tore Zucchini, era entrato il Galletti, dovette pubblicare il seguente proclama: « Popoli degli Stati Romani. Benchè ci sentiamo di troppo inferiori all'alta dignità ed uf. ficio, al quale ci hanno chiamati i consigli deliberanti col decreto loro degli 11 del corrente, noi testimoni della estrema necessità da tutti sentita di dare allo Stato un governo ed alle pubbliche libertà uno scudo, abbiamo, vincendo le giuste esitanze, obbedito all'imperiosa chiamata della patria. Le nostre cure continue saranno, con l'aiuto degli altri poteri, di serbare l'ordine interno, aiutare lo svolgimento delle libere istituzioni, ricondurre la prosperità in ogni classe, cooperare con ogni sforzo al conseguimento della indipendenza nazionale. Ma noi dichiariamo al tempo medesimo di assumere un tanto ufficio provvisoriamente e temporaneamente, infino a che una Costituente degli Stati romani avrà deliberato intorno al nostro ordine politico; la quale Costituente chiamata oggimai dal voto universale de'popoli, noi promettiamo, per quello da noi dipende, di dare opera premurosa, affinchè sia al più presto possibile convocata. Popoli di Roma e delle provincie! fidate nel nostro zelo, come noi fidiamo nella concordia infra vei, e nello studio che porrete ad annullare i tristi disegni de' nostri nemici, serbando intatto ed inalterabile l'ordine, la tranquillità e l'obbedienza alle leggi. Roma. Dalla nostra residenza, il 20 dicembre 1848. Tommaso Corsini; Giuseppe Galletti; F. Camerata ». II Mamiani si affrettò allora a rassegnare l'uffizio; ed un nuovo ministero fu nel seguente modo costituito: monsignor Muzzarelli, ministro della pubblica istruzione e temporaneamente degli affari esterni; l'avvocato Armellini, ministro dell'interno; |