sciadore francese a Vienna a fine di ottenere un salvacondotto per un legato Veneto. Rispose il governo austriaco: non potere l' imperatore entrare in negoziazioni con una città ribelle; il maresciallo Radetzky aver piena autorità per accogliere la sua sottomissione. Scemò alquanto questa imperiale superbia quando si conobbe che opera difficile fosse l'espugnazione della fortissima città; ed il Bruck, uno dei plenipotenziarii austriaci per la pace che si negoziava col Piemonte, scrisse al Manin, che egli era disposto ad aprire delle pratiche di accordo con il veneto governo. Due dì innanzi era giunta una lettera di Kossuth, il quale in nome della insorta e vincitrice Ungheria, esortava i Veneziani a resistere, e promettea soccorsi in danari, in soldati e in due fregate a vapore. Queste promesse ed il mutato linguaggio dell'Austria dettero nuove speranze al Manin, che si affrettò a convocare l'assemblea e a farle note le sue corrispondenze con la Francia, con l'Inghilterra, con Bruck e con Kossuth. L'assemblea deliberò che Venezia persisterebbe a resistere, ma nel medesimo tempo diede autorità al governo per continuare le negoziazioni. Allora Manin mandò suoi legati a Bruck, e queste pratiche cominciate a Mestre si proseguirono a Verona; ma dopo molti abboccamenti e proposte niente si concluse, perchè Manin ponea per fondamento della pace l'indipendenza e Bruck la sottomissione. Verso la fine di giugno l'assemblea veneziana respinse diffinitivamente le proposte austriache, ed ordinò si pubblicasse il carteggio. Perduta questa ultima speranza di pacifico accordo, l'assemblea diede piena autorità per le cose di guerra ad una commissione composta del generale Ulloa, del tenente colonnello Sirtori e del Baldisserotto ufficiale della marina veneta. Era questa una seconda dittatura ed un secondo comando militare, che parea doversi trovare in continue quistioni di competenza con Manin e con Pepe; ma il vero amor della patria appiana ogni difficoltà: Manin nominò Pepe presidente della commissione, questa ne fu contenta, l'assemblea quella nomina con. fermò; meritato omaggio reso al vecchio e venerando soldato della libertà italiana. La commissione rese la disciplina delle milizie più severa, la giustizia militare più espeditiva; tolse l'ufficio e il grado agli inetti; ac. crebbe le difese; inscrisse nuovi artiglieri; prese molti utili provvedimenti; sostitui all'ammiraglio Bua, uomo inerte e d'incerta fama, un giovine ufficiale di nome Bucchia, sul quale fondavansi grandi speranze. Un'altra commissione avea autorità sulla pubblica annona: regolò il prezzo ed il modo della vendita delle vettovaglie, che tutti i di più scarseggiavano; stabili la quantità che ciascuna famiglia potrebbe comprarsene ; ordinò, sotto pena di confisca, la dichiarazione degli approvvisionamenti; determinò in che proporzione la segala, che abbondava, si dovesse mescere con le altre granaglie nella confezione del pane. Il governo decretò un nuovo imprestito di sei milioni di lire su tutti gli immobili, e lo converti, come i precedenti, in carta moneta. Nella notte del 6 al 7 luglio gli Austriaci tentarono sorprendere la batteria del piazzale del ponte, che era il nodo della prima linea di difesa. A un'ora dopo la mezzanotte un brulotto nemico scoppiava presso la batteria, senza cagionarvi alcun danno. Mezz' ora dopo un pallone si alzava da Campalto, e nel medesimo tempo scoprivansi due barche incendiarie, che scendevano pel canale di sinistra. Mentre i Veneziani volgevano a quelle barche la loro attenzione e il fuoco delle loro artiglierie, sessanta soldati austriaci, che spontanei si erano offerti per quella arrischiata fazione, guidati da un ufficiale dello stato maggiore e dalle tenebre co perti, si avanzavano per il ponte, e traversate le rotture a guado o in barca, giungeano al pie' della batteria, vi si arrampicavano inosservati, ed improvvisamente gittavansi sugli artiglieri. Questi, confusi e sbalorditi, dopo breve zuffa, fuggivano; ma ben tosto accorse la riserva, comandata dal capitano Mastroviele, che, assaliti con gran impeto gli assalitori, li precipitò nella laguna, dove la più parte di essi perirono. In quella fazione fu ferito di sciabola al viso il colonnello Cosenza: era la quarta ferita che in due mesi ei toccava. L' indomani gli assedianti, nell' intento di bombardare Venezia, tentarono un mezzo proposto loro da un Inglese. Una fregata, ancorata dietro il lido, lanciò buon numero di palloni, che, giunti a certa altezza, dovevan lasciar cader delle bombe sulla citta. Delle dette bombe non poche esplosero in aria, altre caddero in mare o nella laguna, e sino nel campo austriaco; ma in Venezia nessuna. Conosciuta la vanità di questo trovato, si rivolsero a mezzo più sicuro ed efficace. Essendo noto come una forte carica e data alle grosse artiglierie una inclinazione di 45 gradi, si possa ottenere una portata di cinque mila metri, gli Austriaci cominciarono ad alzare i parapetti delle loro batterie e a dare la richiesta inclinazione ai letti o paiuoli interni, sui quali collocarono i cannoni e gli obici con saldissime lavette. Così furono acconciate le batterie di San Giuliano, della testa del ponte, di Bot. tenigo e di Campaltone: rimasero però quivi delle artiglierie disposte nei modi ordinarii per continuare a trarre contro alle batterie veneziane e alle barche delle lagune. Intenti a questo lavoro, ei smisero il pensiero di espugnare Brondolo, e da quel lato verso Piove si ritrassero, ardendo le case, guastando i coltivati e in. nondando il terreno. Risaputo questo, il presidio di Brondolo passò la Brenta, cacciò in fuga i soldati rimasti a custodire le chiuse, le distrusse, die' il consueto scolo alle acque, e trasportò nella fortezza le munizioni dal nemico abbandonate. Di poi, addi primo di agosto, si fece un' altra sortita, con mille e ducento uomini e quattro cannoni, sotto il comando del Sirtori. Gli Austriaci furono cacciati da Santa Margherita, e rotti a Calcinara, dove perderono una bandiera, armi e munizioni. I nostri rientrarono a Chioggia, dopo aver preso dugento bovi, e grande copia di grani, farine, vino, e legumi, sì che ne furono colme cinquanta barche. Nella notte del dì 28 di luglio, mentre tutto era tranquillo in Venezia, inattesamente le batterie austriache aprirono un fuoco generale e terribile, ed i loro proiettili, passando ad una grande altezza al di sopra della linea di difesa, andavano a cadere sulla città. Nacque allora in Venezia una grandissima confusione: in più della metà delle contrade sentivasi lo scoppio delle bombe, il ronzio delle granate ed il fischio delle palle. I cittadini uscivano dalle case percosse, colle donne e i figliuoli, e cercavano rifugio nei quartieri più lontani. Le vie e i canali erano ingombri di gente e di roba. Dappertutto un correre, un gridare, un chiamarsi a nome, un andare e venire di gondole cariche di persone e di masserizie: ma nessuno vi era che muovesse lamento dell'ostinata resistenza, che anzi l'un l'altro incuorava a sopportare questo nuovo flagello, tanto più terribile quanto meno preveduto. A poco a poco la sorpresa e lo sgomento cessarono, ed altro non udivasi che grida di maledizione e di scherno ai nemici. I fuggiaschi erano fraternamente accolti dagli abitatori dei quartieri più sicuri: molti albergavano sotto i portici della piazza di San Marco, e nei pubblici edifici e giardini. Il governo ordinò fossero sgombrati i quartieri colpiti, e ne affidò la custodia alla guardia civica. I proiettili cadeano sino a due mila metri dentro Venezia: le palle di cannone portavano a cinque mila e dugento metri; le granate, a quattro mila e dugento; le bombe, a tre mila e ottocento. Questo bombardamento, o per meglio dire cannoneggiamento, imperocchè erano le palle e non le bombe che molestavan la più gran parte della città, durò ventiquattro dì. Gli Austriaci adopravano anche palle infuocate per produrre degli incendi, ma, non avendo fornelli a riverbero, la sola superficie si arroventava, si che, per la grande parabola che doveva descrivere, facilmente freddavansi: ciò non ostante alcune case ed una chiesa furono preda delle fiamme. Frattanto la carestia diveniva insopportabile; il coleramorbo, sviluppatosi da qualche tempo, crescea in vigore per i cibi malsani, i calori cocentissimi di quella estate, e l'affollamento della popolazione ridottasi tutta in alcuni quartieri. Nè le notizie che di fuori giungevano erano acconce a dare alcuna speranza di salvamento: l'Ungheria era vinta dalla Russia; Roma dalla Francia: e la Francia precipitavasi da se stessa nella servitù; Alemagna vi era tratta; Inghilterra tacea: le altre provincie d'Italia erano diventate cadavere. Furono alcuni in Venezia che compilarono una petizione diretta all'assemblea, nella quale chiedeano si capitolasse: il cardinale patriarca sottoscrisse il primo. Quando il popolo questo riseppe, si |