levo a tumulto, trasse al palazzo patriarcale, sfondo le porte, e non trovandovi il cardinale, guastò quanto dentro v' era, e gittò per le finestre i mobili e le suppellettili. Il mandato dell'assemblea cessava addi 15 di agosto: ai nuovi comizi pochi elettori concorsero; pochi candidati riunirono il numero necessario di suffragi. Le stragi del colera, e la certezza che ben tosto sarebbero mancate affatto le vettovaglie, più che le armi dei nemici, toglievano la fiducia ai più animosi. L'esercito continuava a combattere animosamente: il naviglio a starsi inerte come per lo passato. Dopo replicati ordini del governo ed istanze dei cittadini, salpò addi 8 di agosto: erano quattro corvette, cinque bricks, un piroscafo da guerra, tre da rimorchio e dieci legni minori. Gli Austriaci avevano in quelle acque tre fregate, due corvette, cinque bricks e quattro piroscafi: al muovere delle navi venete, presero il largo. I Veneziani attendevano con sicurezza una battaglia navale, e l'auguravano fortunata, quando la sera del dì 10 videro rientrare tranquillamente le loro navi, e dietro mostrarsi nuovamente le austriache. Il popolo ne senti grandissima indignazione e ne chiese conto al Manin, il quale promise sarebbe sottoposta a sindacato la condotta degli ufficiali di marina, ed i colpevoli severamente puniti. Due giorni dopo il governo pubblicò, che ragioni gravissime (non disse quali) avevano obbligato il naviglio a rientrare in porto ma che uscirebbe di nuovo. Ed uscì, ma non per combattere; e dopo una breve corsa andò ad ormeggiarsi a Malamocco, d'onde più non si mosse. Manin fece sapere a Bruck, che l'assemblea era disposta a ripigliar le negoziazioni del mese di giugno: e frattanto per provveder ai bisogni del momento, e per sovvenire i soldati e i cittadini, che in breve avrebbero dovuto lasciar la patria, faceva fare dal municipio una nuova emissione di sei milioni di carta moneta. Bruck rispose che non v' erano più negoziazioni possibili: Radetzky chiedea resa immediata ed assoluta della città, delle fortezze, delle navi e delle armi, promettendo libero imbarco a chi volesse lasciar la città, perdono a tutti i semplici soldati e sotto-ufficiali delle truppe di terra e di mare. L'indomani che fu il dì 15, contaronsi quattrocento casi di colera: morti ducento settanta. Le bare dei caduti sotto le palle nemiche s' incontravano con quelle degli spenti dalla pestilenza: parea che gli uomini e la natura a danno di Venezia congiurassero. Rifugge l'animo dal narrare i particolari di questa dolorosa agonia! Addì 22, i legati del municipio ferma. rono le condizioni della resa col generale Gorzkowsky (che da qualche tempo tenea il luogo di Turn infermo) e col generale Hey, capo dello stato maggiore del maresciallo Radetzky. Furono queste: « Sommessione, secondo i precisi termini del proclama del maresciallo Radetzky del 14 corrente. Consegna, entro quattro giorni, di quanto è contemplato nel proclama stesso, nei modi da concertarsi. Si dichiara che le persone che debbono lasciare Venezia sono: Tutti gli imperiali regii ufficiali, che hanno servito colle armi contro il loro sovrano legittimo; tutti i militi esteri; le persone civili nominate nell'elenco che sarà consegnato ai deputati veneti. La carta comunale viene ridotta alla metà del suo valore nominale, ed avrà corso forzato solamente in Venezia, Chioggia e negli altri luoghi dell'estuario per lo accennato diminuito valore fino a tanto che, d'accordo col municipio veneto, sarà ritirata e sostituita, il che dovrà avere luogo in breve spazio di tempo. L'ammortizzazione poi di tale nuova carta dovrà seguire a tutto peso della città di Venezia e dell' estuario suddetto, mediante la già divisata sovrimposta annua di centesimi venticinque per ogni lira d'estimo, e con quegli altri mezzi sussidiarii che gioveranno ad affrettare la totale estinzione. In riguardo di questo argomento non saranno inflitte multe di guerra, e si avrà ri guardo per quelle che furono già inflitte ad alcuni abitanti di Venezia relativamente ai loro possessi di terraferma. In quanto alla carta denominata patriottica, che viene totalmente ritirata dalla circolazione, non che circa gli altri titoli di debito pubblico, si verrà in progresso alle opportune determinazioni. >>> Il dolore della perduta libertà rende insani! All'udire quei capitoli vi fu chi gridò al tradimento. Si levò terribile tumulto: il palazzo del governo fu assalito: s' imprecò morte a Manin. Ma egli, fattosi alla finestra, con quella sua voce potentissima, parlò alla concitata moltitudine, rimproverò il colpevole attentato, scongiurò perchè la gloria di Venezia con si grande scelleratezza non si bruttasse. In tutte le sue parole e negli atti era grande sprezzo della propria vita e sollecitudine grandissima del veneto onore. Concluse dicendo: « Chi è buon patriotta mi segua»; e scese in piazza, e tutti il seguirono, e la sedizione fu spenta, con suo onore e lode, imperocchè impedi che quei forsennati, i quali su di lui aveano scaricato le proprie armi, fossero in verun modo offesi e maltrattati. L'indomani rassegnò ogni potere nelle mani del muni. cipio. Le navi francesi ed inglesi accolsero migliaia di esuli e di proscritti. Gorzkowzky prese possesso della città, a nome dell'imperatore, addi 28 di agosto: Radetzky fece la sua entrata solenne addì 30, e andò alla basilica di San Marco, dove quel medesimo patriarca, che avea reso lodi a Dio per la liberazione della patria, e che sino al di innanzi aveva fatto alzare publiche preci perchè salvo fosse « questo asilo delle italiane speranze », cantava lodi a Dio per il trionfo dell'Austria e la ritornata servitù. Nei quattro mesi dell'assedio i Veneziani perdettero novecento uomini; gli Austriaci mille e dugento: i primi lanciarono ottantamila proiettili; gli altri cento venti mila. Di più: le fatiche, il calore, le febbri d'aria ed il colera uccisero otto mila Austriaci, ed altrettanto ne resero inabile al servigio militare. Fatto il computo, si trova che durante tutta la guerra Venezia spese sessanta milioni di lire, senza tener conto dei doni in generi fatti dai privati cittadini. Quando tutte le provincie italiane furon vinte, migliaia di esuli lasciarono la patria infelicissima. Il Piemonte in Italia, e, fuori, la Francia, l'Inghilterra, la Grecia, la Turchia, gli Stati Uniti di America, la Confederazione Argentina e sino la lontana Oceanica videro quei miseri, e al nome italiano i popoli impietosirono. De' loro mali (*) Nell'anno 1844 si cominciò a pubblicare in Firenze una edizione delle Rivoluzioni d'Italia del Denina da me annotate. Siegue all'opera del Denina un discorso istorico, il quale doveva contenere per sommi capi gli avvenimenti più notevoli seguiti in Italia dal 1789 al 1815. Questo discorso era in corso di pubblicazione quand' io lasciai Firenze nel febbraio dell'anno 1848. Posteriormente l'Editore credette conveniente di farlo proseguire da altro scrittore; ma trascurò di avvertirne i lettori, così che appare opera mia quella che non è. Dichiaro quindi che quella continuazione dal 1815 in poi, non mi appartiene in verun modo. Storia d'Italia 55 |