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non parlo; ma questo si voglio notare, perchè fatto notevolissimo della sollevazione italiana, e degno di rimanere nelle storie ad onore sempiterno del secol nostro. Tutti quanti gli uomini, che i supremi uffici governativi di Lombardia, di Venezia, di Piemonte, di Toscana, di Roma, di Napoli e di Sicilia negli anni quarantotto e ne' principii del quarantanove esercitarono, nel tempo insomma in cui gli ordini liberi rimasero in vigore, tutti probi ed integri si dimostrarono. Non uno che le proprie facoltà con disonesti modi accrescesse: i ricchi le loro ricchezze scemarono; i non ricchi, poveri diventarono. L'uno potrà chiamarsi in colpa di fiacchezza, l'altro di troppa buonafede; questi errò per imprevidenza, quegli per poca esperienza: nessuno, nessuno per disonestà si rese reo; nessuno la patria vendè, nessuno volontariamente la tradì: lo sappiano i presenti, lo sappiano gli avvenire. Ho detto, che migliaia di esuli l'Italia abbandonarono, ma moltissimi uomini liberi nella patria rimasero: chi non potè per mancanza di denaro; chi non volle per non lasciare la propria famiglia nella miseria e nel dolore, o per fede ne' giurati patti, nelle capitolazioni sottoscritte, nelle amnistie pubblicate. Questi furono gli infelicissimi, imperocchè i vincitori contraffacendo a' patti, alle capitolazioni, alle amnistie, perseguitarono i rei di ribellione; perseguitarono i sospetti, i dubbi, gli innocenti, perseguitarono sino i loro propri partigiani, se servili e capaci d'ogni scelleratezza non li trovarono. Tutto fu messo in mano dell'autorità militare, e vi rimase, e vi rimane ancora mentre io scrivo. Niuna regola, norma o freno a chi vuol gastigare per vendetta ed esterminare per paura. Non bastano a contenere i prigioni le carceri, le fortezze, i castelli: si trasmutano in carceri gli ospedali, i conventi e le chiese. Qui si obbligano i cittadini a popolare i teatri; là si chiudono le scuole: in una città s'impicca, in una altra si moschetta: nuovo sangue tutti i di si versa. Da tre anni dura questo flagello, anzi par che ringagliardisca col tempo. L'Austria signoreggia colle armi e l'autorità del nome in pressochè tutta l' Italia. I padri gesuiti sono ristaurati nella loro antica ricchezza e potenza. Il clero è ridivenuto arbitro della pubblica istruzione e della stampa. Sino le libertà dell'anno quindici paion troppe. Poco manca che le ceneri del gran duca Leopoldo I e dell'imperatore Giuseppe II non siano disperse come quelle di Arnaldo; e già del loro nome e delle loro leggi si fa disonesto strazio. Il prete spadroneggia col carnefice; ma guai s'egli obblia le decretali e si rammenta del vangelo. Domandatene a Napoli, alla Sicilia, alla Lombardia, le cui fortezze sono piene di frati e preti di ogni grado e dignità; domandatene a Bologna dove ancora rosseggia il sangue del padre Ugo Bassi; domandatene a Mantova, che mentre io scrivo vede inorridendo pendere dalle forche un sacerdote insigne per dottrina, per dignità e per santi costumi!

Così questa misera Italia devé piangere perduta, non solamente l' indipendenza e la libertà, ma anco ogni forma di viver civile. E che non ha sopportato? Desolazione di provincie, alienazioni di facoltà, guasti di campagne, arsioni e rovine di città; e, quel che più conta, la morte de' migliori fra' suoi figliuoli: e dopo questo, tante migliaia di persone ridotte in povertà e in miseria, divise da' padri, dalle madri, dalle mogli, da' mariti, da' figliuoli, pegni carissimi e conforti santi della vita. Aggiungete la presenza abborrita de' signoreggianti stranieri, gli strazi crudeli de' prigioni, le morti atroci, cose empie e fuor d'ogni legge umana e divina. E si trovasse almeno fra' percussori chi nell' ambizione fosse magnanimo, chi alla smania di assoluta dominazione congiungesse senno e prudenza; che almeno questa patria nostra infelicissima, avvegnachè priva di libertà e d'indipendenza, potrebbe nutrire i figliuoli nello studio delle scienze, nelle utili industrie, nelle gentili arti del bello! Ma come si può sperare un tanto effetto in uomini più intenti a vendicarsi che a reggere, non ornati di lettere, incapaci del viver -civile ? Spogliati sono di tutte le doti che rendono l'uomo atto alla dominazione: animo cupido, ma senza maestà e dignità; ferocia, non valore; povertà di prudenza e di giudizio; ostinazione, non fermezza; e quella, che gli adulatori chiaman bontà, merita nome di remissione d'animo e di codardia, imperocchè i cuori che clemenza e pietà trovan chiusi, paura e sbigottimento disserrano. Vili furon tutti quando il popolo si sollevò, inesorabili tutti ora sono: la magnanimità e la clemenza sono attributi de' forti.

Di questa abbominazione fu salvo solo il Piemonte. Re Carlo Alberto andò a rinchiudersi in una villa solitaria presso la città di Oporto in Portogallo, dicendo: «Se mai sorgesse una guerra contro l'Austria, qualunque sia la potenza da cui le venga mossa, accorrerò spontaneo anche qual semplice soldato, fra le file dei suoi nemici ». I-disagi della guerra ed i travagli dell'animo, le infermità e il cordoglio consumarono in breve le sue deboli forze e lo condussero a morte il dì 28 di luglio dell'anno 1849. Visse anni cinquanta e nove mesi; regnò anni diciotto; sopravvisse alla fatale giornata di Novara quattro mesi e cinque giorni. Le sue spoglie mortali, con immenso apparato, ed onori funebri straordinari, furono trasportate in Italia e deposte nelle regie tombe di Superga. Fu vago di gloria e di grandi imprese: principe, non amava la libertà; italiano, gli austriaci cordialmente abborriva. Era diffidente e sospettoso: timido ne' pericoli civili; animosissimo ne' marziali: prode soldato, poco esperto capitano, Combattuto da dottrine e pensieri contrari, rimaneva spesso indeciso ed incerto, e lasciava sfuggire le fortunate occasioni, che, passate, non tornano. Del suo era largo, non prodigo; dell' altrui astinentissimo: la probità nell'amministrazione della cosa pubblica amd e tenne in pregio. In privato fu modesto, sobrio, austero, più che a' tempi e al grado parea convenisse. I volgari diletti sdegnava. Amava vita solitaria e contemplativa; leggeva molto la bibbia; la sua malferma salute con notturne preghiere e ascetiche astinenze guastava. In vita sua sventuratissimo, perchè segno di eccessiva lode e di eccessivo biasimo: chi traditore d'Italia e chi liberatore d' Italia lo proclamava; sventuratissimo anco dopo morte, perchè improvvidi lodatori, lodando le colpe, fan diventar colpe le virtù. L'istoria imparziale dirà ch'ei tentò una magnanima impresa, e tramanderà il suo nome onorato agli avvenire, lasciando delle segrete intenzioni giudice Iddio.

Il trattato di pace fra il Piemonte e l'Austria del dì 6 agosto 1849, non fu un accordo, ma una legge imposta dal vincitore al vinto. Ma è merito singolare del re Vittorio Emanuele e de' suoi ministri l'aver serbata fede allo Statuto costituzionale, quando pressochè tutti i principi d'Europa, con maraviglioso accordo, sì sfacciatamente spergiuravano, che parve miracolo raro trovare un re, che riputasse infamia ciò che gli altri politica sapienza e atto religiosissimo riputavano. Merito non minore del Piemonte è l'avere accolto gli esuli delle altre italiane provincie, i quali hanno in esso trovato conforto alle sventure, sovvenzioni alle miserie, alimento alle speranze e quella libertà che nelle native loro provincie piangono perduta. Ma merito più notevole ancora, avendo riguardo a' tempi, è il continuo tentativo che quivi si fa per sottrarre la podestà civile dalla vergognosa dipendenza della podestà ecclesiastica; e avvegnachè l'opera compita sia poca cosa considerata in se stessa, nondimeno può considerarsi come grandissima, mentre così vagellano ed insaniscono i governi, che pare la Chiesa e il Principato fra loro gareggino a chi prima possa oltrepassare la meta, questo della servilità, quella della dominazione.

Oramai mi basti per notizia de' posteri aver messo in luce tanti fatti degni di ricordanza successi in Italia in questi ultimi trentacinque anni, acciocchè gli avvenire conoscano i mali. Ma egli è cosa non men utile di apparecchiarne i rimedi.

II.

Le rivoluzioni di stato nascono da un bisogno vago, prendono forma nella contraddizione, e divengono quindi un diritto definito e determinato. L'idea nazionale si rivelò dapprincipio in Italia in quelli che aveano bisogno di libertà e di unità negli studi e ne' commerci; di poi si destò mano mano nella cittadinanza, e di là allargandosi, invase da una parte il popolo e dall'altra il patriziato. Venne la reazione a contraddirla e a combatterla ; e fu nella contraddizione che si definì e nella lotta che si fortificò. Il principato niegando la nazionalità e la libertà, dimostrò agli Italiani la connessione di questi due termini, e collegandosi coll'Austria ne diede la prova la più luminosa che mai possa desiderarsi. Ciò ch'è oggi chiaro e manifesto a tutti gl'intelletti, non lo era che a pochissimi trent'anni fa. Bisognava che l'Italia per mezzo delle armi austriache fosse ricacciata sotto il giogo della schiavitù nel 1824, nel 1834 e nel 1849: questo ebbe maggiore efficacia di ogni argomentazione, perciocchè il popolo non iscompagna giammai l'idea dal fatto.

Tutte le rivoluzioni sono negazioni dell'ordine esistente; ed ogni affermazione non è che la conseguenza necessaria della negazione precedente. La riforma niegò l'au

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