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picciol tempo quegli onori, che i loro antichi con molta fatica e con lunghissimo tempo avevano acquistato; la licenza alternata con la tirannide; <<< rodersi l'un l'altro quei che un muro ed una fossa serra »; nessuna parte d'Italia goder pace; le terre italiane essere tutte piene di tiranni, e divenire un Marcello ogni villano che venisse parteggiando (1): e così farsi perpetui gli odii, continue le guerre fraterne, perenni le lagrime; e Italia rimanere perennemente esposta alla contaminazione del « pastor senza legge » e dei forestieri (2). Ed allora quell' << alma sdegnosa >>> invocava il fuoco su Pistoia, poichè in mal fare avanzava il suo seme (3); l'acque d'Arno su Pisa <<< vituperio delle genti (4) »; e chiamava Lucca stanza di barattieri (5), gli abitatori del Casentino « porci degni di galle (6) », gli Aretini « bottoli ringhiosi », i Fiorentini lupi, i Pisani <« volpi pieni di froda (7), i Genovesi «uomini diversi d'ogni costume e pien d'ogni magagna », ed augurava che fossero << dal mondo spersi (8) ». A lui pareva la Romagna « piena di venenosi sterpi (9) »; non trovarsi più cortesia nel paese «che Adige e Po riga (10) »; e la Marca Trivigiana essere divenuta una «terra prava (11)». Che più? La stessa sua Firenze, il « bello ovile » della Commedia, la « patria degna di trionfal fama» delle Canzoni, quella che contiene « ogni sua cosa diletta », non

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è più meritevole che di fama infernale (1); le rimprovera di rinnovare sempre leggi, monete, uffici e costumi (2), di esser pianta <<< del maledetto fiore, ch'ha disviato le pecore e gli agni (3) », di aver messo il giglio a ritroso « e per division fatto vermiglio (4) »; e di lei dice: « superbia, invidia ed avarizia sono - Le tre faville, ch'hanno i cori accesi (3).». E ricercando la cagione prima di tanti mali, vide in Roma congiunta la spada col pastorale, la Chiesa, « per confonder due reggimenti, cader nel fango, e bruttar sè e la soma (6) >»; il pontefice, divenuto «principe de' nuovi Farisei (7)», guastar « la vigna di Paolo e di Pietro (8) », e invaso di santa indignazione esclamava: «........ La vostra avarizia il mondo attrista, Calcando i buoni e sollevando i pravi. Di voi pastor s'accorse il Vangelista, Quando colei, che siede sovra l'acque, Puttaneggiar co'regi a lui fu vista; Quella che con le sette teste nacque, E dalle dieci corna ebbe argomento, Finchè virtute al suo marito piacque. Fatto v'avete un Dio d'oro e d'argento: E che altro è da voi all'idolatra, Se non ch'egli uno, e voi n'orate cento? Ahi, Costantin, di quanto mal fu madre, Non la tua conversion, ma quella dote, Che da te prese il primo ricco padre (9) » !

(1) Inferno, c. xxv.
(2) Purgatorio, C. VI.

(3) Paradiso, C. IX.

(4) Paradiso, C. XVI.

(5) Inferno, c. VI.

(6) Purgatorio, c. xvI.

(7) Inferno, c. XXVII.

(8) Paradiso, c. xvIII. (9) Inferno, c. XIX.

Nè quì soffermandosi, e' metteva in bocca di san Pietro quelle terribili parole, che tutti sanno, e che pure non è disutile pe' tempi che corrono di rammentare:

<<< Quegli, che usurpa in terra il luogo mio,
Il luogo mio, il luogo mio, che vaca

Nella presenza del figliuol di Dio,

Fatto ha del cimiterio mio cloaca

Del sangue e della puzza, onde il perverso,

Che cadde di quassù, laggiù si placa.

Non fu la sposa di Cristo allevata

Del sangue mio, di Lin, di quel di Cleto,

Per essere ad acquisto d'oro usata;

Ma per acquisto d'esto viver lieto

E Sisto e Pio, Calisto ed Urbano
Sparser lo sangue dopo molto fleto.

Non fu nostra intenzion, che a destra mano
De'nostri successor parte sedesse,
Parte dall'altra del popol cristiano:
Nè che le chiavi, che mi fur concesse,
Divenisser segnacolo in vessillo,
Che contra i battezzati combattesse:

Nè che io fussi figura di sigillo
A' privilegi venduti e mendaci,
Ond'io sovente arrosso e disfavillo.

In veste di pastor lupi rapaci

Si veggon di quassù per tutti i paschi:
O difesa di Dio, perchè pur giaci (1)! »

(1) Paradiso, c. XXVIII.

Eppure per questa Italia, divenuta «ostello di dolore, nave senza nocchiero in gran tempesta, non donna di provincie ma bordello (1) », e' non disperò; sperò anzi, che sarebbe soccorsa «dall' alta provvidenza che con Scipio difese a Roma la gloria del mondo (2) »; che « Vaticano e l'altre parti elette sarebbero ben tosto libere dell'adultero (3) »; che un veltro caccerebbe per ogni villa « la maledetta lupa », e la rimetterebbe nell'inferno (4); che un messo di Dio « anciderebbe la meretrice e chi con lei delinque (5) »; e che la santa aquila latina non rimarrebbe « tutto tempo senza reda (6). » E già assorto ed infiammato in questo mistico amore contemplava « la bella immage », e dava a lei, come alle cose amatissime si fa, intelletto, senso e parola (7). Vane illusioni! L'infelice suoriva nell'esilio, e chi sa quali furono le angoscie della sua ora suprema!

VI.

PETRARCA Е ВОССACCIO.

Petrarca, ardentissimo anch'egli di patria carità, vedea i mali presenti, prevedea i più gravi che verrebbero dopo, e rivolgendo, come Dante, i suoi sguardi verso il passato, non avea fede come lui nella ristaurazione del romano inpero. Ed oltre a ciò, l'erudizione istorica, ond'egli era doviziosamente fornito, gli avean troppo disvelate le brutture de'tempi imperiali, perchè ne potesse desiderare il ritorno: l'età dell'oro di Roma risaliva quindi per lui sino a'giorni degli Scipioni, e dell'autorità consolare e tribunizia. L'idea ghibellina gli parve « un inganno », come disse in vari luoghi delle sue opere; e nella più bella delle sue canzoni, alludendo ad essa, cantò:

1) Purgatorio, C. VI.

(2) Paradiso, C. XXVII.

3) Paradiso, C. IX.

4) Inferno, c. 1.

5) Purgatorio, c. xxxi.

6) Ibid.

(1) Paradiso, c. XIX, XX,

<<< Latin sangue gentile

Sgombra da te queste dannose some:
Non far idolo un nome

Vano senza soggetto (1) ».

Rivolse egli dapprincipio le sue speranze a Roberto re di Napoli, la cui pedantesca burbanza era stata ben conosciuta da Dante, che lo avea detto «re da sermone ». Dipoi, quando vide sorgere in Roma la maravigliosa potenza di Cola di Rienzo, e' gridò:

<< Che s'aspetti non so, nè che s'agogni
Italia, che suoi guai non par che senta,
Vecchia, oziosa e lenta.
Dormirà sempre, e non fia chi la svegli?
La man l'avess'io avvolte entro a capegli. >>>

Ma una nazione, che non sente i suoi guai, non può cercarne i rimedi; e non v'è uomo, che possa trarla pei capegli da morte a vita. Ed egli pareva che di ciò si accorgesse, dicendo :

<< Non spero che giammai dal pigro sonno
Muova la testa per chiamar ch'uom faccia. »

Ma pure l'affetto vince la ragione, ed ei dice al fortunato tribuno:

1

(1) Rime, par. 1, can, xxix.

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