ad ognuna i suoi interessi, i suoi statuti, i suoi privilegi. Fate che i cittadini si persuadano d'essere qualche cosa in casa loro; permettete che il popolo si diverta co' trastulli innocenti de' maneggi, delle ambizioni, delle gare municipali; fate risorgere lo spirito patrio colle emancipazioni delle comuni, e il fantasma dello spirito nazionale non sarà più il demonio imbriacatore di tutte le menti». Così è: le libertà municipali e provinciali sarebbero inciampo, sviamento, ostacolo allo spirito nazionale. Vedete la Svizzera. Gli uomini autorevoli ne'piccoli cantoni, e che non hanno le condizioni necessarie per divenire autorevoli nella nazione; quelli che tengono il monopolio della sovranità cantonale, e che sarebbero semplici cittadini nell' unità nazionale, si oppongono per interesse, per orgoglio, per vanità alla unificazione, suscitano gare, discordie, odii sempre più forti nelle più piccole congreghe: il patto federale sta per loro; per loro gli aiuti de' potentati vicini, a'quali è sempre gradita la discordia e debolezza de' confinanti. Ciò che accade agli svizzeri, seguirebbe certamente agli italiani, perchè dappertutto gli uomini nascono e vivono con le medesime passioni. Ma passiamo ad un'altra difficoltà non men grave. Vi sono parecchi che scrivono e parlano di federazione; ma non è chiaro quali sarebbero gli stati chiamati a comporla. Or se s'intendesse osservare la divisione territoriale de' capitoli di Vienna, egli è probabile che bisognerebbe ricominciare la guerra siciliana, imperocchè la Sicilia, la quale consentirebbe volentieri ad entrare nella comune confederazione come repubblica o come principato siciliano, ovvero a divenire parte dell' Italia. una, molto difficilmente si piegherebbe alle condizioni di principato o repubblica delle Due Sicilie. Io non approvo e non condanno questa sua disposizione; ma attesto un fatto che risulta chiaramente da quanto si è narrato nelle presenti istorie. L'Italia sarà quindi posta nel triste bivio, o di rinnovare la scellerata guerra degli anni 1848 e 1849, o di sopprimere l'articolo 404 del trattato di Vienna. Se riconoscete uno stato siciliano, voi non potete non riconoscere uno stato veneto, e non sopprimere quindi gli articoli 93, 94 e 95 del detto trattato. E se il male divenisse, com'è probabile contagioso? Se Genova si rammentasse di aver goduto della sua autonomia sino a pochi anni fa, e d'esserne stata dispogliata con la violenza e con l'inganno? Bisognerebbe allora togliere l'articolo 86 ed anco gli articoli 404 e 102 che risguardan Lucca. Ma dove vi soffermereste in quest' opera di dissoluzione e di disfacimento? Perchè non risorgerebbero le repubbliche di Siena, Pisa, Arezzo, Verona, Padova, Mantova, Brescia, Bergamo, Pavia, Lodi, Asti, Alessandria, Bologna, Forlì, Sanminiato e Sangeminiano? Non han forse queste città un nome-illustre, una storia propria, una fresca ricordanza della loro antica potenza e della perduta libertà? Non stanno sempre sotto i loro sguardi i palagi ne' quali sedevano i loro magistrati, le ringhiere d'onde parlavano al popolo i loro oratori, le bandiere de'loro carrocci, i trofei delle loro guerre fraterne? I greci avevano proibito rizzare trofei di pietra per vittorie riportate sopra i propri connazionali; ma i nostri padri rendevano i monumenti delle loro vittorie fratricide durevoli quanto il loro odio, funesto incitamento ai figli ed ai nipoti. Non gridate San Marco e Trinacria, che voi correte pericolo di sentirvi rispondere San Giorgio, Marzocco, Biscia, Lupa, Balzana e tutti i nomi che già ci divisero e ci resero preda e ludibrio di tutte le straniere nazioni: è proprio della nostra indole essere ottimi o pessimi. Un diritto solo voi avete superiore al diritto de' municipii e delle provincie, quello della nazione; un nome solo più venerato degli altri nomi, quello di Roma. Se sopprimete quel diritto e quel nome, voi susciterete la disunione, la confusione, la discordia; aprirete la porta alla guerra civile, e la libertà e salute d'Italia renderete impossibili. Ed allora accadrà, che voi farete involontariamente ciò che nell'anno 1848 fece maliziosamente la casa d'Austria, la quale, minacciata dalle varie nazionalità che soggioga, le scisse e le divise, inventando una nazionalità rutena, una nazionalità masura e sino una nazionalità tirolese. Nè si alleghino a favore dell'ordinamento federale i pretesi odii municipali, imperocchè affermarne la esistenza, dopo quanto abbiamo veduto ne' nostri giorni è una solenne calunnia: gli odii municipali sono spenti, ed il solo federalismo potrebbe farli riaccendere; ma fossero anco ardentissimi, sarebbe questa una ragione di più a favore dell' unità. Ricordanze di odii non sono che fra città e città del medesimo stato, come a cagion d'esempio, fra Firenze e Siena, Torino e Genova, Bologna e Roma, Parma e Piacenza, Palermo e Messina, Milano e Brescia, e non già fra città di diverse provincie: la confederazione adunque non sarebbe rimedio acconcio al male, se questo esistesse, ed è la sola unità che avrebbe potenza. di farlo cessare. A quelli poi, che ancor sognano la confederazione de' principi, e che niente hanno veduto ed imparato in questi ultimi quattro anni, mi contenterò rammentare che le difficoltà del quarant'otto, invece d'essere scemate, sono cresciute. V'era allora chi al re di Napoli, in compenso degli aiuti da prestarsi alla guerra dell' indipendenza, concedea la conquista di Tunisi e di Tripoli, e chi offriva al pontefice la Sardegna e al granduca di Toscana l'Istria; i quali consigli non pare fossero molto graditi nelle corti di Napoli, di Roma e di Firenze. La lega di tutti i principi italiani, auspice e procuratore il pontefice, contro al re Carlo Alberto, non è un fatto nuovo nella storia d'Italia, è la rinnovazione della lega guelfa or volta contra agli Svevi, or contra a're di Napoli, a' Visconti, a' Veneziani, a' duchi di Savoia, a tutti quelli insomma, che sono divenuti molto potenti in Italia. Pio IX seguì l'esempio costantissimo de'suoi predecessori. Ciò che accadde nel quarant'otto accadrebbe nuovamente in ogni nuova occasione, qualunque fosse il nome del pontefice e de' principi, e la loro personale disposizione; imperocchè non basta mutare gli uomini per mutare la natura del principato in generale e dell' ecclesiastico in particolare. Ma intorno a questo argomento non più mi soffermo, non volendo fare l'oltraggio agli italiani di credere che quattro anni di sanguinosa esperienza non sieno a loro tornati di alcun giovamento. Vero egli è che i popoli ingannati si lasciano spesso ripigliare a' medesimi inganni; ma perchè questo accada, bisogna che trascorra tanto tempo che più non vivano o sieno di troppo invecchiate le vittime del primo inganno. Or l'inganno è troppo fresco, e le battiture che stiamo sopportando sì atroci e bestiali da non essere facilmente dimenticate. XI. DELLE RAGIONI CHE SOGLIONSI ADDURRE Dicono alcuni: «Le forze militari non si misurano a numero di popolo: il regno di Napoli doppio del Piemonte non è forse più forte; ed il Piemonte doppio della Svizzera e non diviso, non l'eguaglia in forze ». Savie sono queste considerazioni, e veramente grande errore sarebbe il credere, che la forza di uno stato sia sempre ed unicamente in ragione della sua grandezza. Scrisse già il Machiavelli: << Dove gli eserciti romani solevano sempre essere vittoriosi sotto i consoli, sotto i decemviri sempre perderono. Ma come prima il magistrato dei dieci fu spento, e che loro come liberi cominciarono a militare, ritornò in loro il medesimo animo, e per conseguente le loro imprese aveano il medesimo fine felice secondo l'antica consuetudine (1) ». Non è dunque nell'unità, ma nel mal governo del regno di Napoli, che deve cercarsi la cagione della sua debolezza, la quale scema in Piemonte civilmente governato, e cessa fra gli Svizzeri. Ed a questa non poche altre se ne debbono aggiungere, come la ricchezza, la scienza e le arti della guerra, la natura degli uomini e dei luoghi, e sopratutto gli ordini delle milizie, i quali nel Piemonte, specialmente nella fanteria ch'è il nervo degli eserciti, non sono buoni. Dicono ancora: <<< Le repubblichette svizzere bastano alla loro difesa; e l'Italia che potrebbe avere dieci volte più armati, con ben maggior riparo di lagune e di maremme e di fiumi e d'isole e di fortezze e di navi non basta. Conviene adunque cercare altrove che nel numero il principio della forza; riporlo sopratutto nella volontà, cioè in questo che chi comanda abbia la medesima volontà, o a parlare più mondano e più vero, i medesimi interessi di chi obbedisce. >> Or questo niente prova contra alla unità, imperocchè può nella confederazione chi co (1) Discorsi, l. 1, c, XLIII. |